In principio fu la signora Lucia. Correva l´anno 1997 quando, alla prima performance del suo cursus honorum di “resistente” antipadana, l´ormai mitologica patriota veneziana Lucia Massarotto esibiva il tricolore sul balcone di casa facendo imbestialire il popolo leghista radunato sul sacro suolo di Riva Sette Martiri. Ora la “signora della bandiera” non può più prodursi nel suo numero (urticante per i leghisti) di fiera oppositrice della padanizzazione: è stata sfrattata da casa. Persino Bossi ha smussato l´avversione verso di lei. In compenso da quel giorno di 13 anni fa – in un meccanismo quasi surreale per cui a fare notizia, soprattutto al Nord, non è più tanto l´ostensione del Sole delle Alpi e di altri simboli della Lega ma quello del vessillo che rappresenta l´unità nazionale – la signora Lucia ha fatto scuola. Si sfoggia sempre più spesso il tricolore per reazione al marketing padano, per opporsi alla deriva della monocultura cromatica del Carroccio e ribadire, sembra incredibile, che il territorio del Nord-Italia è Italia e non Padania. Nei vessilli e nelle leggi.
La bandiera dello Stato non viene più esposta solo nelle occasioni “classiche” – raduni militari (soprattutto feste degli alpini), vittorie della Nazionale di calcio, parate della destra sociale: oggi il pretesto è offerto più che altro dalle esuberanze leghiste. E allora Adro, per dire l´ultima. Tra le reazioni alla “marchiatura” a colpi di soli delle Alpi dell´istituto Gianfranco Miglio, fortemente voluta dall´amministrazione del paese, ce n´è stata anche una in carne e ossa. Il 18 settembre, convocati dal blogger Pietro Ricca, quello che diede del buffone a Berlusconi, un gruppo di manifestanti si è dato appuntamento in piazza Costantino Ruggeri, a Adro, per dire no all´incontinenza leghista tracimata nel battesimo simbolico della scuola della discordia. Erano gli stessi che il 12 settembre hanno denunciato di essere stati aggrediti a Venezia mentre sfilavano, tricolori in mano, sfidando l´invasione leghista per il classico raduno di fine estate. Quel giorno, in realtà, dopo tredici anni, la città aveva provato a scrollarsi di dosso l´etichetta leghista: Venezia ha accolto i militanti del Carroccio con 500 tricolori affissi su finestre e balconi. “Veneziani tutti italiani” era lo slogan della contromanifestazione organizzata dal Pd (con il sostegno anche di Idv, Psi, Rifondazione comunista, Verdi, Udc, Sinistra e Libertà e dei partigiani dell´Anpi) e dalla signora Anna Maria Beccaris. «Venezia è nell´Italia che esiste e non nell´inesistente Padania» fu la tesi degli autoconvocati dell´orgoglio italiano.
L´insofferenza verso i simboli del Carroccio spalmati nelle città e nei paesi del Nord – nell´arredo urbano, nelle piazze, sulle strade, sui ponti, sui mezzi dei servizi sociali e sui notiziari dei Comuni, persino nelle scuole – è aumentata di pari passo con la loro diffusione. Una settimana dopo Venezia, per solidarietà con i manifestanti aggrediti dai leghisti e per esprimere il suo dissenso nei confronti del sindaco di Adro, c´è stato un sindaco che è addirittura salito sul tetto di casa per issare il tricolore su un pennone. È Renzo Galletto, primo cittadino di Montalto Dora (Torino): all´insolita iniziativa ha assistito tutta la giunta comunale e qualche cittadino. «Sono profondamente indignato: cinque ragazzi che esibivano il tricolore in opposizione alla festa della Lega sono stati perseguiti come soggetti provocatori. E un sindaco ha voluto affermare che prima viene la sua appartenenza politica e poi la sua funzione istituzionale».
L´ultima moda degli amministratori leghisti sono le strisce pedonali verdi. O, anche in aggiunta, i dossi per l´attraversamento davanti alle scuole. In provincia di Verona è andata in scena una battaglia: a Veronella il sindaco ha fatto dipingere le strisce con il colore del Carroccio. Per tutta risposta il suo collega di Isola della Scala ha varato le strisce pedonali tricolori. Inevitabile il formarsi di due fazioni avverse (politicamente e di conseguenza nei gusti estetici) di cittadini a pochi chilometri di distanza. Pensandoci bene è una vecchia-nuova sfida, quella tra sostenitori della Padania e difensori dell´Italia. Lo sanno bene gli esponenti del Carroccio: e cioè gli stessi creatori della mitologia e della simbologia “verde”. La reazione “italiana” alle loro bordate non si è mai fatta attendere.
Negli ultimi anni sono stati diversi i comizi di Bossi e di altri parlamentari leghisti (Borghezio su tutti) “macchiati” da qualche contestatore (solitario o in gruppo) che ha esibito il tricolore o almeno cercato di farlo. Provocatori? Forse sì. Per i big padani, di sicuro. Il “Trota” Renzo Bossi non era ancora assurto alla carica di consigliere regionale. Le sparate contro Roma, il Sud e la Nazionale italiana (lui è team manager di quella padana) forse le stava preparando. Di certo la Lega era già lanciatissima nella sua campagna di avversione del tricolore. Anche a costo di andare contro la Costituzione (articolo 12: «La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso»). «Non basta più, accanto servono le bandiere regionali», ha tuonato l´anno scorso il capogruppo in Senato Federico Bricolo (che ha presentato una proposta di legge). In precedenza c´era stata la proposta di inserire un crocifisso nel tricolore (ala cattolico-integralista del Carroccio, ben rappresentata da Borghezio). La bandiera nazionale, per ora, è ancora lì, uguale a se stessa. Con lo spicchio verde distribuito in ugual misura a quello bianco e a quello rosso.
La Repubblica 03.10.10