È la riforma della legge elettorale il passaggio cruciale che ora si apre per l´intera politica italiana. Non si tratta né di un noioso tecnicismo da politologi, né di una materia riservata agli uomini del Palazzo.La riforma della legge elettorale è piuttosto l´unico strumento ora praticabile (anche se non è per nulla a portata di mano) per quanti vogliano tentare di rifondare la politica in Italia. I motivi per cui i finiani potrebbero far cadere l´esecutivo certo non mancano: dalla legge-scudo per Silvio Berlusconi a una riforma iniqua del processo civile, dalla riproposizione del provvedimento sulle intercettazioni agli stessi numerosi progetti di riforma della legge elettorale già presentati.
E un governo tecnico che nascesse dalla crisi dell´attuale maggioranza non sarebbe per nulla, contrariamente a quanto sostiene il ministro Alfano, un´ipotesi parafascista: sarebbe anzi il gesto di responsabilità di un ceto politico finalmente consapevole del baratro in cui sta sprofondando il Paese.
Un sistema politico che oggi all´unisono – tranne i due partiti più apertamente populisti – teme le elezioni perché sa che i cittadini guardano alla politica, com´è raccontata e praticata oggi in Italia, con un misto di disinteresse, disgusto e disperazione. Il che dimostra che siamo ormai in presenza di una crisi della democrazia repubblicana, di cui la legge elettorale è insieme prodotto, causa, e manifestazione.
Questa legge si fonda infatti su un premio di maggioranza che trasforma gli asini in cavalli, e le coalizioni minoritarie in maggioritarie; e si fonda al tempo stesso sulle liste bloccate, ossia sulla cooptazione dell´intero Parlamento a opera delle segreterie dei partiti. Il mandato libero – che, certo, a norma di Costituzione garantisce l´indipendenza dell´eletto ma che lo obbliga anche a essere credibile agli occhi dei cittadini per potere, appunto, essere eletto – si trasforma, grazie a questa legge, in irresponsabilità politica e morale davanti agli elettori, in supina obbedienza alle segreterie di partito e, eventualmente, in occasione, per il deputato o il senatore, di passare all´obbedienza della segreteria di un altro partito, che gli offra qualcosa di più. Oligarchie e trasformismo infettano così la rappresentanza, delegittimandola radicalmente; e infatti non a caso è scavalcata dal caudillismo populista e megalomane del capo del governo.
La legge elettorale vigente, inoltre, alimenta, col premio di maggioranza, la tendenza (già presente nel nostro Paese) a dar vita a mega-partiti dotati di nessuna identità e di scarsa coerenza interna, costruiti come sono per rispondere a una domanda di aggregazione bipolare a tutti i costi; è infatti figlia dell´illusione che il bipolarismo (che in realtà c´è sempre, nella misura in cui ci sono maggioranza e opposizione, orientamenti di destra e di sinistra) debba essere anche bipartitismo (quasi perfetto), prodotto forzosamente da meccanismi elettorali.
I partiti acquistano, grazie a questa legge, enorme potere e al contempo pochissima capacità di azione, e si espongono continuamente a defezioni, scissioni – nobili o trasformistiche che siano – che rendono di fatto impossibile l´attività governare nel medio periodo. E questo vale tanto per la destra quanto per la sinistra.
Questa legge, insomma, condensa in sé tutta la retorica semplificatoria e antipolitica con cui l´Italia reagì alla degenerazione della democrazia parlamentare della prima repubblica in partitocrazia e in tangentocrazia. Reazione tardiva e infantile, che pretese di ridare serietà alla politica col negare la sua essenza di mediazione, che si deve confrontare con la complessità dei problemi della società di oggi. Si pretese di eleggere, di fatto, il governo e di rendere superfluo il Legislativo; si teorizzò la centralità – come se fosse un patto giurato – del programma elettorale, che a destra non era che un insieme di slogan e a sinistra una monografia accademica che pretendeva di elencare minuziosamente i mali del mondo e di dettarne la cura; ci si illuse sui benefici effetti dell´alternanza, che non ci sono stati. Anziché rafforzare la sovranità del popolo – che, in ogni caso, in un regime parlamentare, è sempre destinata a essere rappresentata – , la pretesa semplificazione e la vantata immediatezza hanno reso la politica più artificiosa, manipolatoria, autoreferenziale, arcana. Che il governo abbia ricevuto una fiducia che è una sfiducia ne è il frutto più paradossale e più vero.
È importante che si dibattano i pregi e i difetti dei sistemi elettorali che dovrebbero sostituire il Porcellum: proporzionale alla tedesca, doppio turno alla francese, Mattarellum, estensione nazionale del sistema provinciale, e così via. Ma ancora più importante è che la nuova legge elettorale consenta al partito di essere votato per la sua proposta politica, e al candidato di essere eletto per la sua credibilità; che consenta alle forze politiche di emergere nella loro reale consistenza e articolazione secondo le esigenze e la storia del Paese, e di fare politica attraverso le alleanze tra diversi e non attraverso le ammucchiate. E soprattutto che consenta al Paese di sperare che possano essere battute la politica populistica, la retorica aggressiva e la prepotenza sovrana di Bossi e Berlusconi – gli avversari strutturali della riforma della legge elettorale –, e di accettare che la politica sia quello che deve essere: analisi, riflessione, azione, e non «una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla».
La Repubblica 02.10.10