"Tornano i cattivi maestri", di Luigi La Spina
Peccato. Sembrava che, dopo tanti anni, la parola, anche in Italia, si fossa liberata dalla prigione ideologica e linguistica che l’aveva costretta. Che si potesse ricostruire un periodo storico o analizzare un problema d’attualità senza i meccanici collegamenti mentali del pregiudizio e della semplificazione. Che il cambio delle generazioni riuscisse a spazzar via, da una parte, il livore accusatorio di una memoria ferita e, dall’altra, l’ossessione giustificazionista di una memoria che ancora rimorde. Invece, colpisce ritrovare nelle parole, ancora di oggi, i vecchi stilemi che una volta potevano fare molta paura e che, ora, e speriamo di non illuderci, sembrano soprattutto suonare stonati e suscitare un moto di noia, ma anche un po’ di tristezza. Ci riferiamo a piccoli e non tanto piccoli segni che sono ritornati a comparire sui nostri giornali, sulle tv dei serali tornei verbali, nelle giungle anarchiche degli sfoghi adolescenziali su Internet. Gli esempi sono numerosi e frequenti, ma partiamo solo dall’ultimo in ordine di tempo, forse il meno importante, il meno colpevole e, persino, il più trascurabile. Ma, proprio per …