L’attribuzione del Premio Lasker a Napoleone Ferrara è un’ottima notizia per almeno tre motivi. Il primo è la motivazione scientifica: la scoperta della proteina Vegf – che ha un ruolo nella crescita tumorale – e l’identificazione di una molecola in grado di contrastare la sua azione, bloccando lo sviluppo della malattia.
È l’applicazione del principio rivoluzionario dei farmaci intelligenti, che sono la grande promessa della ricerca contro il cancro e la speranza per milioni di malati. Si chiamano «intelligenti» perché, come i missili più sofisticati che riconoscono il bersaglio, si dirigono selettivamente contro le cellule malate, per distruggerle o disinnescarne la pericolosità, riducendo al minimo la tossicità per il resto dell’organismo. Alcuni farmaci – come quello individuato da Ferrara – interferiscono con un meccanismo vitale per il tumore quale il rifornimento di sangue, altri vengono attivati solo quando sono agganciati alle loro cellule-bersaglio.
I farmaci intelligenti già utilizzati in clinica, da soli o in associazione alla terapia tradizionale (oltre all’Avastin trovato grazie agli studi di Ferrara e utilizzato per alcuni tumori del rene e del colon), sono circa una decina. Le molecole in studio tuttavia sono migliaia e le prospettive promettenti; ma va detto che agli occhi dei malati i risultati sembrano tardare ad arrivare.
È vero che, sull’onda dell’entusiasmo per la decodifica del Dna e per l’enorme massa di nuove informazioni sulla malattia derivate dalla conoscenza dei geni che ci siamo ritrovati fra le mani, noi ricercatori abbiamo sperato che la realizzazione del grande sogno, la pillola anticancro, sarebbe stata ancora più rapida e abbiamo forse trasmesso un eccessivo ottimismo. Invece il percorso sta seguendo sistematicamente le sue tappe e i suoi ritmi; rimane tuttavia la certezza che la direzione è quella giusta e il prestigioso Premio Lasker a Ferrara ce lo conferma.
Il secondo motivo di soddisfazione è legato al fatto che il Lasker vada a un italiano, a conferma dell’eccellenza dei nostri ricercatori. Certo è un «cervello in fuga», ma questo nulla toglie ai suoi brillanti risultati e significa che la nostra formazione scientifica e la nostra creatività sono ai massimi standard internazionali. Sostengo da anni che per aiutare lo sviluppo della scienza non si tratta solo di far rientrare i cervelli italiani in Italia, seguendo una sorta di neo-nazionalismo scientifico ormai obsoleto, ma di attirare qui studiosi di diversi Paesi e diverse scuole di pensiero per creare una comunità scientifica internazionale nel nostro Paese, che grazie allo scambio di cultura, la cross-fertilization, dia un nuovo respiro alla ricerca. Abbiamo la tradizione e la capacità innovativa per creare in Italia un «melting pot» della scienza.
Il terzo motivo che mi rende felice è legato alla storia del Premio Lasker. Ho avuto il piacere di conoscere di persona Mary Lasker che nel 1971 assieme a un gruppo di cittadini americani riuscì a far approvare dal parlamento il National Cancer Act, la «legge del cancro», con cui il governo si impegnava a destinare più fondi alla ricerca oncologica, che stava languendo a favore di quella spaziale e tecnologica. Il Cancer Act ebbe un effetto di stimolo per tutta la ricerca contro il cancro nel mondo. In Italia il Progetto finalizzato sul controllo della crescita neoplastica fu varato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche sull’onda del rinnovato impegno americano. Una conferma di come la partecipazione della popolazione civile sia un motore fondamentale della scienza.
La Repubblica 28.09.10