In decenni ormai lontani, settembre era il mese degli esami di riparazione e al primo di ottobre le scuole riaprivano per promossi e ripetenti. Pur se di dubbia validità per gli studenti di ieri, questo calendario andrebbe benissimo per i politici di oggi: quale che sia il giudizio sulla classe politica, non vi è dubbio che negli occhi della gente essa esca largamente bocciata dalla pausa estiva. Ai parlamentari e agli uomini di governo che rientrano nelle aule (di Palazzo Madama e di Montecitorio) si conceda magari ancora la prossima settimana per assestarsi e poi, da bravi ripetenti, ricomincino a studiare e a fare i compiti e cerchino di ottenere dei buoni voti. Altrimenti le loro famiglie – cioè gli italiani – faranno loro abbandonare gli studi. Per chi vive in un mondo di appartamenti a Montecarlo, di società offshore, di feste di partito, di simboli artificiali, come quello del sole padano, è probabilmente difficile immedesimarsi nei problemi di chi ha un solo appartamento con mutuo da pagare e la cui festa principale consiste nel vedersi riconfermato un lavoro precario. Eppure questa è la situazione di milioni di italiani; e il loro numero, purtroppo, sta crescendo abbastanza rapidamente.
Quando rientreranno davvero nei loro luoghi di lavoro, i parlamentari e gli uomini di governo dovranno prima di tutto rendersi conto di aver sbagliato i conti nei lunghi mesi della loro ricreazione estiva. Con la dura frenata degli Stati Uniti, l’economia mondiale sta andando assai meno bene di quanto molti pensavano all’inizio dell’estate: nessun Paese ha ancora raggiunto i livelli di produzione precedenti la crisi, ossia quelli del primo-secondo trimestre 2008 ma l’Italia è tra i più lontani, tanto che, al ritmo attuale, potrebbe metterci alcuni anni. Assai più degli altri grandi Paesi europei che raggiungeranno probabilmente quel livello entro il 2011. Quando raggiungerà quel traguardo, per l’aumento generale della produttività del lavoro, al quale dovrà adeguarsi, l’Italia potrebbe avere oltre un milione – un milione e mezzo di occupati in meno.
Questi problemi sono stati minimizzati o accantonati per mesi, o forse per anni; la mancanza, da parte del mondo politico in generale, di grandi progetti e di programmi concreti per una ripresa della crescita, in grado di assicurare lavoro in un contesto economico sostenibile appare pressoché totale. Il suo segno più visibile è l’incapacità del governo e delle forze che lo sostengono di trovare un titolare per il ministero delle Attività Produttive, al quale competerebbe un ruolo chiave in un programma del genere. Non c’è il programma, non c’è il ministro ma fioccano le assicurazioni che tutto va bene, che l’Italia è un Paese simpatico nel quale si vive egregiamente, che non ci dobbiamo preoccupare; e se un giovane su quattro non trova lavoro, può forse trovare un pasto gratis a qualche festa di partito, e i ricercatori universitari, dei quali di fatto si rischia di annullare un progetto di vita, possono sempre cercar fortuna all’estero.
Ai parlamentari che torneranno nelle loro aule deve essere detto fermamente, rubando l’espressione al generale De Gaulle e ponendola fuori contesto, che «la ricreazione è finita». E certo gli italiani non si sono divertiti. Durante la ricreazione l’Italia ha ancora perso terreno, si è accentuata la distanza che la separa dalla maggior parte dei Paesi ricchi; il Paese si rifugia sempre di più in un localismo eccessivo, in una parodia di federalismo che porta al rifiuto di vedere al di là del proprio campanile. Nella principale città del Nord poche ore di pioggia provocano danni e allagamenti, mentre la principale città del Sud non riesce neppure a raccogliere i propri rifiuti. Bisogna uscire da tutto questo, bisogna dimenticare le storie spensierate dell’estate con le società offshore e le feste di partito. Il Paese sa già che l’autunno sarà duro. Speriamo che se ne accorga anche la classe politica.
La Stampa 27.09.10