Qualche mese fa, a Sondrio, un insegnante cinquantenne, dopo aver inutilmente richiamato i suoi alunni che vociavano durante la lezione, ha aperto la finestra, è salito sul cornicione ed ha minacciato di buttarsi di sotto. I colleghi, dopo un po’, l’hanno convinto a soprassedere. È andata bene: lo scorso marzo un collega di Genova si era lanciato davvero dal tetto del suo palazzo, depresso dopo una denuncia per molestie presentata ai carabinieri da una studentessa. Meno drammatico, ma assai spiacevole, l’episodio accaduto tempo prima a un professore di disegno di Novara, Luigi Sergi, colpito con un dritto in piena faccia da un alunno disubbidiente.
Stessa sorte toccata tra il 2009 e il 2010 a un collega di educazione artistica di Prato (il pugno l’ha dato un padre fuori controllo), a due docenti di istituti di Scampia e Acerra (in quest’ultimo caso l’insegnante è stata aggredita dalla madre di un’alunna con una rivista sbattuta in testa) e a un insegnante di Quarto Oggiaro, periferia difficile di Milano, che nella zuffa seguita a un rimprovero è stata colpita dalla nonna di una tredicenne.
La scuola è ricominciata da una settimana, tra polemiche sulla riforma voluta da Mariastella Gelmini, le proteste per i tagli-monstre imposti da Giulio Tremonti e le manifestazioni dei supplenti. Mentre i professori italiani sono rientrati in trincea a combattere la solita battaglia. Perché se vivere dietro una cattedra, a causa di stipendi da fame e un calo di prestigio sociale costante è diventato “un mestiere da sfigati”, chiosa a “L’espresso” la sociologa Chiara Saraceno, “negli ultimi dieci anni uno dei lavori più precarizzati e peggio pagati d’Italia è diventato anche stressante e faticoso, a volte persino pericoloso.
Una conseguenza indiretta della perdita di autorevolezza e della diffusione di comportamenti fino a poco tempo fa considerati inaccettabili”. Già. A leggere le brevi di cronaca dei giornali locali si scopre che negli ultimi 12 mesi si sono registrati decine di casi di violenza contro professori, da Trento alla Sicilia: un dossier sul tema non potrebbe non includere le botte da orbi inflitte a un maestro nel cortile della sua scuola di Terni, o l’aggressione a sprangate subite da un collega bolognese, né la corsa in ospedale del musicista Fabio Paggioro, infilzato alla schiena con un coltello da cucina da un pargolo in un’aula di una scuola di Chioggia. Episodi singoli apparentemente irrilevanti, che nell’insieme disegnano le disastrose condizioni ambientali in cui lavorano persone che svolgono – dicono gli economisti – un ruolo cruciale per lo sviluppo sociale ed economico del Paese.
Portafogli vuoti L’Italia, è cosa nota, investe nella scuola e nell’università cifre più basse rispetto ad altre nazioni, europee e non. Tra i partner dell’Ocse solo la Slovacchia destina all’istruzione una percentuale del prodotto interno lordo più bassa della nostra. I dati sono fermi al 2007, ma è assai probabile che le ultime manovre abbiano peggiorato la classifica. Cile, Repubblica Ceca, Ungheria, Corea e Messico puntano sulla formazione molto più di noi. Le scuole cadono a pezzi e le dotazioni sono ai minimi termini, è non è un caso se, dati Ocse alla mano, i nostri insegnanti siano tra i meno pagati del mondo occidentale: i maestri elementari guadagnano, dopo 15 anni di anzianità, solo 31 mila dollari lordi (pari a 24 mila euro), poco più di mille euro al mese. Un po’ di più finisce nelle tasche dei professori di medie e licei. In Germania e Svizzera i colleghi guadagnano quasi il doppio, la Spagna viaggia su altri livelli e anche in Francia, stipendi d’ingresso bassi come i nostri crescono molto verso fine carriera.
Nel corpaccione della categoria ci sono differenze significative: nonostante le difficoltà pedagogiche e il carico di lavoro più pesante, le maestre elementari (sono donne nel 99,2 per cento dei casi) prendono molto meno dei colleghi che lavorano nelle medie inferiori e superiori. “Mai capito perché. La differenza con gli universitari, poi, è abissale”, ragiona la Saraceno, per anni professoressa all’Università di Torino: “Ricordo che fino alla fine degli anni ’70 la mobilità tra licei e atenei era molto più alta. Quando i nostri stipendi sono stati agganciati a quelli dei magistrati, il gap è diventato mostruoso”. C’è chi sta ancora peggio delle maestre. Alla base della piramide ci sono quelli che hanno vinto il concorso e non hanno ancora una cattedra, i precari in lista d’attesa e i supplenti, che a loro volta si dividono in privilegiati (contratti annuali o mensili) e “somministrati”, che lavorano “a chiamata” anche per un pugno di ore la settimana. Secondo il ministero dell’Istruzione i dipendenti del settore a tempo indeterminato sono 700 mila, ma i precari sfondano quota 229 mila (quelli iscritti in graduatoria), quasi un quarto del totale. La precarizzazione riguarda soprattutto le generazioni più giovani. L’Italia detiene un record mondiale: alle medie e nei licei, solo lo 0,5 per cento dei docenti ha meno di 30 anni, dato che tocca un patetico 1,4 alle elementari. Le guerre tra poveri sfiorano il tragicomico: lo scorso ottobre a Loreto, in provincia di Ancona, in un istituto alberghiero un giovane docente a tempo ha aspettato che la vicepreside uscisse dalla classe per rubare il bancomat e prelevare 500 euro dal conto corrente. Il prof è stato beccato dalle telecamere di sicurezza dell’ufficio postale, e si è giustificato adducendo di gravi difficoltà economiche e familiari.
Caduta di status. Sempre più anziani, i docenti italiani hanno assistito alla loro proletarizzazione in parallelo alla femminilizzazione del mestiere. Gli esperti più attenti considerano i due aspetti strettamente legati: visto dall’immaginario collettivo come un lavoro poco impegnativo che garantisce un secondo stipendio in famiglia alle donne della piccola e media borghesia, né la politica né i sindacati hanno considerato prioritaria la difesa del loro salario. Si arriva al paradosso che oggi gli insegnanti sono per il governo un peso da tagliare (“Sono troppi”, si dice, anche se poi è stato alzato a 33 il numero massimo di studenti per classe), per il Pd un bacino di voti garantiti sempre e comunque, per Tremonti una mucca da spremere: il blocco dei contratti e delle anzianità di servizio, prevede la Flc Cgil, costerà una diminuzione salariale che andrà ad erodere, a secondo del ruolo e della scuola, da 800 a 3 mila euro l’anno.
Se un tempo l’insegnante di scuola e il farmacista appartenevano di fatto alla stessa classe sociale, oggi il docente è finito in basso alla gerarchia sociale: non solo perché la professione è pagata una miseria, ma anche perché il prestigio e l’aura di cui si ammantava sono ormai un lontano ricordo. Prima la (necessaria) democratizzazione tra docenti, studenti e famiglie imposta dalle contestazioni del 1968 e del 1977, poi la diffusione di modelli di comportamento permissivi e meno disciplinati: il combinato disposto ha provocato una perdita verticale di legittimazione. La scuola di massa, il consumismo, il disinteresse per la cultura e le condizioni materiali in cui gli insegnanti si muovono hanno fatto il resto, squalificando il mestiere. La Saraceno evidenzia che i ragazzi sono molto più maleducati e “smagati di un tempo”, mentre “i genitori spesso meno istruiti ma più ricchi si sentono superiori ai maestri dei loro figli: così mancanza di rispetto e stipendi bassi hanno provocato reazioni sbagliate di una categoria che, ricevendo poco restituisce sempre meno. Bisognerebbe spezzare il circolo, iniziando a premiare i professori più capaci e meritevoli”.
Per adesso, non se ne parla. In classe le regole restano un optional, mentre le bocciature vengono sempre più di frequente impugnate da genitori, che si trasformano in avvocati davanti ai Tar (che in genere danno ragione al ricorrente).
Il rischio di cadere nella sindrome da “burnout”, caretterizzata da stress, frustrazione e apatia, è dietro l’angolo: qualche anno fa la Fondazione Iard calcolò che il 16 per cento dei prof intervistati faceva ricorso ad ansiolitici, ipnotici e antidepressivi. Leggendo le cronache, non ci si stupisce più di tanto. A Trapani un docente ha organizzato per sms il suo funerale, facendosi trovare impiccato dai suoi familiari, mentre nella vicina Palermo un docente del conservatorio, Ignazio Miraglia, è finito alla sbarra accusato di concussione: alcuni studenti sostenevano di essere stati costretti a comprare da lui gli strumenti musicali. Le deposizioni degli ex alunni non hanno convinto i giudici, che hanno assolto l’imputato. Lo scorso maggio un collega di una scuola professionale di Bressanone ha perso quattro dita in una fresa, mentre nel messinese, sei mesi prima, un insegnante (in pensione) si è trovato nella cassetta della posta una bomba a mano Breda 35 della Seconda guerra mondiale, funzionante e con una delle due sicure strappate. Non si conoscono gli autori della bravata, ma di certo nel 2010 i Franti d’Italia non usano più le cerbottane.
L’Espresso 23.09.10