In Italia, secondo i dati del Censis, ci sono quasi sei milioni di partite Iva. Solo poco più di due milioni, però, sono gli iscritti agli ordini professionali (avvocati, architetti, commercialisti …).
Gli altri esercitano attività non regolamentate. Sono informatici, consulenti, pubblicitari, ricercatori, designer, amministratori di condominio, ma anche consulenti aziendali, formatori, traduttori, guide turistiche, grafici, interpreti, bibliotecari, enologi, agenti di commercio, rappresentanti, praticanti, tributaristi, archeologi, musicisti, redattori editoriali, restauratori, fumettisti. Un ventaglio ampio, ma soprattutto anomalo. Perché, di fatto, più del 60 per cento non esercita una vera attività autonoma o libero professionale. Per loro l’apertura di una partita Iva serve a mascherare un rapporto di lavoro dipendente che il committente non intende riconoscere: è una forma di ricatto cui ci si deve assoggettare per lavorare.
Il fenomeno delle partite Iva individuali, in crescita in tutta Europa ma che da noi assume dimensioni più rilevanti rispetto alla media, è determinato da diversi fattori. Alle necessità di auto impiego di chi non trova altri sbocchi lavorativi, si aggiungono le esigenze, reali, di aziende di piccole dimensioni che necessitano di competenze e specializzazioni reperibili solo al loro esterno e la volontà di altre imprese che ricorrono a queste forme di incarico semplicemente per sostituire il lavoro dipendente sfruttando i costi più bassi. Come ci insegna l’esperienza, il campionario è svariato. E non ci sono settori che possano dirsi immuni. Di fronte a questa realtà i controlli per individuare e reprimere gli abusi sono necessari, ma non bastano. Serve un’azione legislativa che regolamenti le professioni e fissi, in modo adeguato alla mutata realtà, i requisiti del lavoro autonomo.
Una prima proposta in tal senso è già stata presentata in Senato dall’ex ministro del Lavoro Tiziano Treu: una utile base per definire una normativa efficace.
La questione va ripresa anche alla Camera con una proposta che sottolinei e completi alcuni obiettivi che possiamo sintetizzare in tre punti: sconfiggere le false partite Iva (quelle che mascherano un lavoro di fatto dipendente); estendere, anche a questi lavoratori, tutele e diritti; stabilire (per legge) un salario minimo per le attività non regolate da contratto.
La crisi che stiamo attraversando e la mancata riforma degli ammortizzatori sociali hanno messo a nudo l’inadeguatezza delle tutele del lavoro intellettuale moderno, che continua paradossalmente a convivere con le forme tradizionali con le quali è tuttora disciplinato il mondo delle professioni. E’ una situazione anacronistica che il Pd, con le sue proposte, deve contribuire a correggere attraverso una larga discussione con i soggetti interessati.
L’Unità 23.09.10