Caro Walter, in uno dei molti tuoi interventi di questi ultimissimi giorni hai scritto: «Discutere non è dividersi, mai. Noi dobbiamo essere una grande macchina democratica». Giusto.
Ma proprio per questo – e per l’esperienza di dirigente che hai – sai che, se si parte con il piede sbagliato, la macchina rischia di bloccarsi.
Proporre un documento di riflessione non solo è legittimo, è utile. Ma se si vuole che venga recepito come tale, allora non è indifferente come lo si propone. Tu che, più di ogni altro, sei esperto di comunicazione sai che un messaggio viene recepito non solo per quel che dice, ma per come è proposto. Il metodo è sostanza. C’erano molti modi per proporre la tua riflessione. In vista della direzione di domani potevi renderla pubblica, come contributo a quella discussione. Oppure potevi proporre a tutta Area Democratica – di cui fai parte – di assumere quel documento. Se proprio era necessario avere il consenso dei parlamentari potevi far arrivare il documento a tutti i deputati e senatori – comunque si fossero collocati nel congresso – e poi raccoglierne le adesioni.
Si è scelto invece un altro percorso: far trapelare ai giornali che si preparava un documento, senza peraltro darne i contenuti; poi, prima ancora che il testo fosse noto e compiuto, si è avviata la raccolta di adesioni non rivolgendosi a tutti i parlamentari, ma solo ad alcuni, con una curiosa selezione a priori fondata su una presunta affinità, peraltro tutta da dimostrare. Una raccolta di adesioni che in poche ore ha assunto i caratteri di una affannosa ricerca di firme, che ha del tutto oscurato la finalità originaria. D’altra parte non ti sfugge che per giorni sulla stampa il documento Veltroni è stato evocato non per i suoi contenuti, ma esclusivamente per il numero dei firmatari e i loro nomi. E siccome anche in politica 2+2 fa sempre 4, quel documento si è trasformato più che in contributo per la discussione, in uno strumento di organizzazione di una parte dei parlamentari del Pd.
Intendiamoci: dare vita ad un’area organizzata all’interno del Pd è del tutto lecito, come previsto peraltro dallo statuto. Ma non ci si può offendere se qualcuno lo dice. E soprattutto bisognerà pur prendere atto che a una larga parte dei nostri militanti e elettori quella iniziativa è apparsa più come fattore di divisione che di unità, soprattutto alla luce della grave crisi che vive la maggioranza di governo.
Scrivo queste cose rammaricandomi, perché sono certo che i 75 parlamentari che hanno sottoscritto sono mossi da una sincera preoccupazione per il futuro dell’Italia e per le sorti del Pd. E peraltro il documento contiene una giusta sollecitazione all’innovazione e al coraggio di aprirsi alla società che sarebbe sbagliato lasciar cadere. E vengono indicate priorità e proposte in grado di raccogliere largo consenso dentro e fuori il Pd. Ma tutto questo è largamente messo in ombra proprio dal modo in cui si è condotta l’iniziativa.
In ogni caso, poiché ho come regola di trarre sempre il positivo dalle cose, chiarito che a mio avviso il metodo è stato sbagliato, mi interessa discutere la sostanza e, ex malo bonum, chiudo questa mia riflessione con un duplice appello: a te, Walter, di non fare un’altra corrente, di cui davvero nessuno avverte il bisogno. E a Pier Luigi Bersani e a tutto il gruppo dirigente di non arroccarsi e di raccogliere il buono che in quel documento c’è per il miglior esito di quella comune impresa che si chiama Partito democratico.
da Europa Quotidiano 22.09.10