Il nuovo regolamento sulla formazione iniziale degli insegnanti fornisce un’ulteriore conferma della vacuità politica del Ministro Gelmini. Questa è una della poche materie in cui il Ministro ha deciso senza essere sotto il comando dei tagli ordinati da Tremonti. Avrebbe quindi potuto fornire qualche prova dei sui proclamati intenti di modernizzazione della scuola. Invece tutti i nodi che si è trovata di fronte o li ha lasciati irrisolti o li ha sciolti in senso conservatore.
Parliamo di una di quelle vicende – la formazione iniziale degli insegnanti – in cui la politica scolastica italiana ha accumulato enormi ritardi. Solo i decreti delegati del 1974 (conquistati con la minaccia di sciopero generale dei sindacati confederali) stabiliscono finalmente che per insegnare è necessaria una formazione specialistica e universitaria. Passano però altri 16 anni prima che il Ministro dell’Università Ruberti predisponga i percorsi e si deve aspettare il 1998 per trovare un Ministro dell’Istruzione – Berlinguer naturalmente – che metta in atto questa riforma. Prendono così avvio i corsi di laurea in scienze della formazione primaria e le scuole di specializzazione per l’insegnamento nelle scuole secondarie (SSIS). Finalmente, con il nuovo millennio, anche in Italia per diventare insegnanti di deve conseguire una formazione alta (universitaria anche per i docenti della scuola dell’infanzia ed elementare) e specialistica (anche i docenti della secondaria devono conoscere oltre alle discipline anche le scienze dell’educazione). E soprattutto tutti i docenti devono acquisire competenze professionali specifiche per l’insegnamento attraverso l’interazione scuola-università: tirocini, laboratori e ricerca didattica.
Inutile dire che siamo di fronte a una delle condizioni essenziali per elevare la qualità della scuola italiana. È altrettanto evidente che questi cambiamenti, davvero epocali, non potevano non incontrare difficoltà e ostacoli nella loro prima attuazione. Nella concreta attuazione molti ambienti universitari hanno fatto prevalere un atteggiamento ostile alla formazione professionalizzante e alla collaborazione con il mondo della scuola: l’integrazione tra teoria e pratica spesso non si è realizzata, le relazioni tra i docenti universitari e i supervisori (gli insegnanti esperti che collaboravano con l’università) sono state difficili così come quelle tra università e istituzioni scolastiche in cui si sono svolte le attività di tirocinio.
Una innovazione difficile, quindi, che non è stata, per altro, sostenuta dalla continuità politica, visto che già nel 2001 il Ministro Moratti annunciava la chiusura delle SSIS (senza per altro mai riuscire ad attuare il suo nuovo decreto).
Il ministero Fioroni riprende la questione nella Finanziaria 2008, abroga i provvedimenti Moratti e stabilisce la definizione, mediante regolamento ministeriale, della formazione iniziale e del reclutamento del personale docente, attraverso concorsi ordinari, con cadenza biennale (comunque salva la validità delle graduatorie ad esaurimento). Il governo Prodi però cade prima del varo del Regolamento attuativo.
L’attuale governo, con la legge 133/2008, sopprime le SSIS, ma non abroga le nome varate da Fioroni e affida la definizione della nuova formazione degli insegnanti ad un gruppo di lavoro coordinato dal Prof. Israel.
Il provvedimento varato dal Ministro Gelmini non affronta i nodi della formazione iniziale degli insegnanti emersi dall’esperienza di questi anni, ma ne accentua i difetti e le disfunzioni.
Il Regolamento definisce nuovi percorsi per la formazione iniziale degli insegnanti: 5 anni di università, comprensivi del tirocinio, per insegnare nella scuola dell’infanzia e primaria e 6 anni (5 di università e 1 di tirocinio) per insegnare nella scuola secondaria inferiore e superiore. Percorsi lunghi e impegnativi cui non corrisponde alcuna prospettiva sulle modalità di assunzione. Il decreto, infatti, non mette in relazione la nuova formazione iniziale dei docenti con nuove forme di reclutamento necessarie per offrire prospettive più certe ai giovani che scelgono di diventare insegnanti e ai precari che da anni attendono di essere stabilizzati.
Inoltre i percorsi sono fortemente differenziati: per la scuola primaria e dell’infanzia sono previsti percorsi quinquennali a ciclo unico, mentre per la secondaria inferiore e superiore si prevede, dopo la laurea disciplinare triennale, un corso di laurea magistrale biennale ed un successivo anno di tirocinio formativo attivo. Questa scelta di differenziare nettamente i percorsi per la scuola primaria da quelli per la secondaria contraddice l’obiettivo “storico” dell’unitarietà della funzione docente; in questo modo diventano impossibili anche i «passaggi» degli insegnanti da un ordine all’altro di scuola.
L’impianto culturale complessivo della formazione è pesantemente sbilanciato a favore della formazione disciplinare teorica e a discapito di quella pedagogico-didattica. Questa scelta è in netto contrasto con il profilo del docente indicato dall’Unione Europea, fondato su un curricolo formativo integrato tra teoria e pratica, tra laboratori e tirocinio, che poggi su tre gambe: psicologia, discipline e pedagogia, in una logica d’integrazione tra i tre elementi.
Nella formazione dei docenti della scuola secondaria si accentua la formazione disciplinare teorica, la pratica didattica è confinata nell’anno finale di Tirocinio Formativo Attivo (TFA). L’attività di tirocinio, ridotta ad un solo anno rispetto ai due delle precedenti Scuole di Specializzazione (SSIS), è un’isola non comunicante con il biennio magistrale: appare difficile, in un tempo così compresso, sviluppare attività di ricerca-azione, invece essenziali per la formazione di un profilo docente con capacità di riflessione sulla pratica didattica, di ricerca e di apprendimento permanente.
Nella scuola primaria torna una formazione coerente con il modello del “maestro unico tuttologo”, cui la Gelmini vorrebbe tornare superando “i modelli del tempo pieno e dei moduli”, fondati invece sulla specializzazione dei docenti solo su alcune discipline: a questo fine il percorso formativo dei futuri insegnanti della scuola primaria è imbottito di discipline in una logica enciclopedica e nozionistica, a discapito della qualità della didattica,
Alla compressione della formazione professionalizzante corrisponde un ruolo subalterno della scuola nei confronti dell’università: non sono valorizzate le competenze maturate sul campo nemmeno nella progettazione delle attività di tirocinio formativo attivo, dove alle istituzioni scolastiche autonome non è riconosciuto un ruolo paritetico. Nel decreto è, infatti, attribuito all’università un ruolo preponderante nella regia della programmazione e nella conduzione dei laboratori e del tirocinio, nella designazione dei docenti esperti per i laboratori, nella valutazione finale del tirocinio e nell’esame abilitante. Le istituzioni scolastiche nel loro insieme non rappresentano un interlocutore per l’università, ma si limitano alla presa d’atto delle designazioni dei tutor.
Infine il regolamento ignora del tutto l’istruzione degli adulti, nonostante la sua riorganizzazione, attraverso l’istituzione di unità scolastiche specifiche e autonome (centri provinciali per l’istruzione degli adulti), esiga la formazione di insegnanti con competenze specialistiche.
da ScuolaOggi 22.09.10