È probabile che «l’inconfutabile dato» sull’aumento dei furti nei supermercati sarà già da questa mattina oggetto del dibattito politico. Ciascuno sosterrà che siamo di fronte a una prova evidente dell’impoverimento degli italiani. Ma quanto alla ricerca della causa ci sarà un serrato ed elevato confronto: i tremontiani diranno che tutto dipende dalla recessione globale.
I brunettiani dalla mancata riduzione delle tasse, l’opposizione dirà che è una vergogna che non sia ancora stato sostituito il ministro delle attività produttive e che comunque è sempre e solo colpa di Berlusconi (ma Veltroni dirà che anche Bersani ci ha messo del suo), i leghisti se la prenderanno con Roma ladrona e qualcun altro con la coppia Fini-Tulliani. Quel che nessuno metterà in discussione è il dato di partenza: e cioè che i furti nei supermercati sono aumentati perché c’è la crisi e siamo tutti più poveri. Così il Barnum mediatico ha infatti immediatamente presentato la notizia. Al primo lancio d’agenzia già alla seconda riga si dava per scontato che siamo diventati mariuoli per necessità, ladri di biciclette come negli anni del neorealismo. Leggo testualmente: «Il furto costa caro ai supermercati italiani, ancor di più in tempo di crisi economica… A pesare sull’aumento dei furti è stata la recessione». Ma come no: d’altra parte l’indagine è stata fatta da alcuni «retailer» e c’è anche il parere di un «chairman marketing» che ci ha spiegato l’importanza della «loss prevention».
Andando a caccia di qualche residuo vocabolo italiano leggo tuttavia nelle ultime righe, buttato lì come ininfluente dettaglio, che gli articoli andati più a ruba (in senso letterale) sono «capi di abbigliamento, soprattutto firmati e accessori, e cosmetici». Un’altra agenzia parla di «soprattutto profumi, bottiglie di liquore, parmigiano e salumi vari, ma anche materiale elettronico». Prodotti non propriamente indispensabili per il sostentamento. Fanno eccezione il parmigiamo e i salumi ma, visto l’andazzo, non è da escludere che siano stati razziati per l’happy hour. Resisto alla tentazione di essere altrettanto facilone di chi sostiene l’equazione «aumento dei furti uguale crisi e povertà» sostenendo che, viceversa, questi dati testimoniano ancora una volta la cialtronaggine di noi italiani. Mi permetto invece di chiedere quale sia l’attendibilità delle indagini che ci vengono proposte ogni giorno. Solo ieri, ad esempio, abbiamo scoperto che esiste un «Barometro mondiale dei furti»; ed è singolare che a un’ora dall’annuncio del suo studio se ne sia materializzato sul computer un altro identico, eseguito dal mitico «Osservatorio di Milano».
Qualche giorno fa uno studio ci ha documentato come noi italiani, in tempo di crisi, ci siamo rimboccati le maniche e siamo tornati a fare i lavori più umili, togliendoli agli immigrati; ora parrebbe invece che neanche in crisi rinunciamo alla polo griffata e alla crema antirughe. Chi ha ragione? Chissà. Del resto anche istituti grandi e seri si contraddicono spesso, spiegandoci un giorno che siamo fuori dal tunnel e il giorno dopo che siamo alla canna del gas. Ci vorrebbe insomma una bella indagine sull’inaffidabilità delle indagini. Che magari arriverebbe alla conclusione che tanta confusione è, in fondo, colpa della recessione.
La Stampa 19.09.10