Da quei banchi passano tutti i futuri cittadini. Difficile evitare la retorica del “pilastro della democrazia”: lo è per davvero. In più la scuola elementare conserva nell´immaginario qualcosa di romantico, dal libro Cuore in poi. Nell´Ottocento il maestro aveva un ruolo sociale definito, accanto al gendarme e al prete. A questa missione civilizzatrice e conservatrice si sovrappone, con l´avvento della Repubblica, l´icona del maestro di frontiera, possibilità di riscatto per i figli dei diseredati, schiacciato tra la Costituzione e le sperequazioni profonde di un paese arretrato, mentre le elementari restano quelle uscite dalla riforma Gentile, verticali e nozionistiche.
E oggi? Nessuno osa discutere la centralità della scuola e la sua missione educativa, tanto più in una società in piena crisi (economica, politica, di valori). Ma in cosa consista questa missione, e su come realizzarla, c´è molta confusione. Chi non ha bambini, difficilmente sa cosa succedesse dietro il portone di una scuola primaria dopo la riforma del ´90. Poi nel 2008 il governo comincia a predicare il “ritorno al passato” come panacea contro tutti i mali. Chi ha più di vent´anni è cresciuto a pane e maestro unico e può rimanere facilmente sedotto dall´effetto-nostalgia: che male c´era nel vecchio sistema? Insegnanti, genitori e dirigenti invece protestano, sono amareggiati, indignati, preoccupati (provate a scorrere le centinaia di testimonianze su Repubblica. it). Sono davvero tutti dei conservatori miopi e politicizzati? Che cosa sta succedendo, davvero, dentro la scuola pubblica dei bambini italiani?
Ci aiuta diradare le nebbie il nuovo saggio di Girolamo De Michele, La scuola è di tutti (minimum fax, pagg. 338, euro 15) «E´ necessario combattere una battaglia per le “precise parole”, per l´esattezza», dichiara. Allora decodifica i “frames” concettuali dietro gli slogan con cui il centrodestra ha mascherato la realtà brutale dei tagli di bilancio alla scuola pubblica e analizza con scrupolo i numeri – solo apparentemente obiettivi – del Ministero e dei rapporti internazionali. Ma soprattutto, inserisce i problemi italiani nel quadro più ampio di una crisi (cioè un momento di potenziale evoluzione, non un´”emergenza”) dell´educazione in atto da decenni a livello globale.
La scuola è chiamata all´arduo compito di preparare bambini e ragazzi a muoversi in una società più complessa, fornendo, oltre alle nozioni, metodi per “imparare a imparare”, anche fuori dai banchi. Non è più affiancata nell´opera educativa da soggetti forti come parrocchia o famiglia, ma assediata da una “società diseducante” i cui modelli contraddicono valori e comportamenti che l´insegnante cerca di trasmettere. De Michele intreccia questi problemi coi dati allarmanti sull´”analfabetismo funzionale” che affligge 2/3 degli italiani, e li rende prede facilmente manipolabili nella società dell´informazione, o sulla mobilità sociale quasi inesistente per i giovani italiani. Una visione ampia, articolata, che mostra la funzione essenziale della scuola pubblica in una democrazia che voglia essere veramente tale.
In questo discorso, il caso della scuola primaria è illuminante. L´Italia, eterna pecora nera, affrontò costruttivamente la “crisi educativa”, con esiti addirittura eccellenti. Dopo decenni di confronti tra politici e specialisti di pedagogia e didattica, nell´85 la scuola elementare si dota di nuovi programmi che mettono al centro il “saper fare” accanto al conoscere, per una “progressiva costruzione delle capacità di pensiero riflessivo e critico e di una indispensabile indipendenza di giudizio”, le competenze relazionali, la capacità di ascoltarsi e stare insieme, oltre alla disciplina. Su queste basi, nel ´90 si avvia una riforma, che ha passato il vaglio della Corte dei Conti, la stagione di lacrime e sangue pre-ingresso nell´euro e un rodaggio faticoso, per regalarci una posizione di eccellenza nelle classifiche internazionali (TIMMS 2007 per la matematica e PIRLS 2006 per la lingua). Con buona pace di chi sostiene che servì solo al sindacato per moltiplicare i posti.
Cosa offriva la primaria pubblica del nuovo millennio? “Modulo” o tempo pieno, ossia due o tre maestri, specializzati in aree disciplinari diverse: ben venga un´attenzione specifica per l´area logico-matematica, in cui l´Italia è sempre indietro. Programmazione collegiale, cioè più teste che concordano la didattica e rispondono alle esigenze dei bambini: più sguardi pronti a cogliere i loro disagi come i talenti. Ore di compresenza: indispensabili per gestire la presenza di bimbi stranieri che non padroneggiano l´italiano, per il recupero di chi resta indietro, specie nelle aree più disagiate, ma anche per gite e laboratori.
Tempo scuola più lungo (da 27 a 40 ore) e più ricco: al pomeriggio non c´era più il vecchio doposcuola, merenda e compiti, ma lezioni e laboratori, cioè apprendimento attivo. Una ricchezza per i bambini, una necessità per i genitori che lavorano. A parità di maestri incompetenti e lavativi, che non mancano mai (la Gelmini parla di premi al merito, ma nessuna misura è stata varata), il sistema offre più risorse e garanzie. La primaria pre-Gelmini rispondeva alle esigenze di una società profondamente mutata con spirito democratico: molto per tutti i bambini e speciale cura per i più deboli.
Bello, no? Bene, lo stanno demolendo. Il Ministero raccomanda maestro unico, 4 ore mattutine e taglia i posti. Ma i genitori chiedono le ore e la qualità del tempo scuola lungo e i dirigenti sono chiamati all´impossibile quadratura del cerchio. Regna il caos. Classi affollate, patchwork di maestre per coprire i buchi (alla faccia del bisogno di continuità rassicurante). I maestri, sottopagati e sotto pressione, ancorché occupati, di sicuro non lavorano sereni (si parla di merito e mai di motivazione).
Lo scenario tracciato da De Michele è inquietante: c´è un disegno politico per smantellare la scuola pubblica, per foraggiare il business delle scuole private, perché l´ignoranza rende le persone più controllabili. Anche chi non condividesse questa tesi, sarà costretto a domandarsi il perché di una politica così dannosa. Non è “la solita storia”. Disperdono un patrimonio, picconano la base sana della piramide educativa. Danneggiano i bambini e le loro famiglie e la società in cui dovranno vivere, non gli “insegnanti fannulloni”. Almeno, la smettano di mentire.
La Repubblica 19.09.10