La «compravendita degli ascari» è l´ultimo atto di un dramma italiano. Con il rozzo tentativo di assoldare un drappello di centristi «responsabili» per sostituire una truppa di «futuristi» finiani, Silvio Berlusconi completa il suo capolavoro della tarda modernità. Ha svuotato la democrazia, trasformandola in un brand. E ha svilito la politica, trasformandola in una merce. È uno sbocco naturale, per l´uomo che dal ´94 in poi ha conquistato il consenso e gestito il governo con le leggi del marketing. Ma accelera la dissoluzione istituzionale, e alimenta la disaffezione sociale.
Il presidente del Consiglio può anche smentire, come risulta abbia fatto durante il Consiglio dei ministri di ieri. Può anche giurare che «non c´è stata nessuna compravendita», e che «quasi tutti» i parlamentari che confluiranno nel nuovo gruppo messo in piedi appositamente dal repubblicano Nucara sono stati eletti nel centrodestra.
Purtroppo la meschina «campagna acquisti» come metodo di cooptazione politica risulta agli atti di diverse inchieste: fanno fede le intercettazioni telefoniche del 2008 tra il premier e Agostino Saccà (dalle quali risulta il tentativo di convincere con seggi e poltrone l´allora deputato Giovanni Randazzo, eletto tra gli italiani in Oceania, a lasciare la maggioranza dell´Unione per far cadere il governo Prodi) e le confessioni di una settimana fa di Arcangelo Martino nell´inchiesta sulla P3 (dalle quali risulta l´analogo tentativo di convincere con versamenti in denaro il senatore Giuseppe Scalera e altri diniani a migrare nel Pdl).
Purtroppo il triviale hard-discount dei deputati di queste settimane risalta anche nelle cronache del Parlamento, trasfigurato in un suk mediorientale: fanno fede le interviste pubblicate dal nostro giornale (e non smentite) a deputati come Michele Pisacane e Antonio Razzi, in cui si parla espressamente di un «montepremi» per chi avesse fatto il salto della quaglia, tra offerte di due viceministeri, quattro sottosegretariati, diversi collegi sicuri e addirittura il mutuo per la casa.
È probabile che in nessuna di queste «transazioni», tentate o realizzate, si possano ipotizzare profili penali. Valuteranno i magistrati. Ma il punto non è questo. C´è innanzi tutto un gigantesco problema di ordine etico, che interroga un premier abituato a raffigurarsi agli italiani come «portatore di una moralità mai conosciuta»: la Repubblica muore e il senso civico deperisce, quando un´istituzione come il Parlamento viene usata da un presidente del Consiglio come il suo personale «mercato delle vacche», invece di essere il luogo in cui si estrinseca concretamente la sovranità degli elettori e in cui gli eletti «servono il popolo».
E c´è anche un enorme problema politico, che non è certo legato all´«efficacia» pratica della campagna acquisti (come qualche sedicente liberale lamenta) ma piuttosto alla sua legittimità democratica: non c´è coerenza né senso delle istituzioni, ma solo truce tatticismo, in chi da un lato usa la sacra intangibilità della maggioranza uscita dalle urne del 13 aprile 2008 per tacciare di «tradimento» un gruppo di finiani, e dall´altro lato abusa della tecnica dei «mini-ribaltoni» a sfondo commerciale per assumere «a contratto» un manipolo di casiniani.
Quel che è peggio, è che questa volontaria «manomissione» del perimetro della maggioranza da parte del premier avviene con un solo obiettivo: garantirsi in Parlamento i numeri necessari non per ottenere la fiducia il 28 settembre (quella è già scontata), ma per farsi approvare poi le nuove norme ad personam con le quali sfuggirà, ancora una volta, ai suoi processi. Ecco il penoso tornante della storia sul quale Berlusconi sta trascinando il Paese. La politica ridotta a pura «quantità». Senza qualità. E, soprattutto, senza verità.
La Repubblica 18.09.10