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Interpellanza urgente del Partito Democratico sull'avvio dell'anno scolastico

Interpellanza urgente presentata dall’On Manuela Ghizzoni
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, per sapere – premesso che:
a distanza di due anni dall’entrata in vigore del decreto-legge n. 112 del 2008, varato dal Governo e convertito dalla legge n. 133 del 2008, che all’articolo 64 ha previsto il taglio di quasi 8 miliardi di euro, in tre anni, agli organici del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA), pari a poco meno di 132.000 posti, determinati dalla cancellazione di 87.341 cattedre e 44.500 posti di personale ATA, sono sotto gli occhi dell’opinione pubblica gli effetti devastanti che si sono abbattuti sul nostro sistema d’istruzione pubblica, sulla sua qualità e sulla sua tenuta;

il drastico taglio di personale, previsto dall’articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, ha determinato nell’anno scolastico 2009-2010 la cancellazione di 42.105 cattedre e 15.167 posti di Ata. A questi tagli e nonostante l’ampia disponibilità di posti vacanti e disponibili, è corrisposto il mancato rinnovo del contratto a tempo determinato per 14.000 docenti e per 8.000 A.T.A., con grave nocumento per la continuità didattica e professionale. Nell’anno scolastico 2010-2011 la riduzione di organico è di altri 25.560 posti di docenti e 15.167 ATA. Il numero di docenti precari a cui non sarà confermata la nomina è stimato in non meno di 15.000;

peraltro, il provvedimento cosiddetto «salva precari» non risponde alle esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici della scuola e crea disparità tra loro, escludendo ad esempio dai benefici coloro che hanno prestato 180 giorni di servizio in più scuole. Inoltre, i contratti di disponibilità sono stati una risposta irrisoria: le regioni hanno utilizzato risorse proprie e secondo le proprie competenze, impiegando i precari anche in attività lavorative diverse, quando non estranee, da quelle svolte nelle scuole, in modo spesso dequalificante. Inoltre in alcune regioni i progetti sono stati attivati in ritardo o addirittura a cavallo tra due anni scolastici, e in alcuni casi hanno escluso i collaboratori scolatici;

la riduzione del tempo scuola in ogni ordine e grado e la cancellazione di cattedre di insegnamento e di posti ATA, a fronte di un aumento della popolazione studentesca (nell’anno scolastico che inizia a fronte di 20.000 studenti in più avremo 3.700 classi in meno), si accompagnano al forte incremento del numero degli alunni per classe, anche in presenza di alunni disabili, nonché alla decurtazione delle risorse per il normale funzionamento delle istituzioni scolastiche, che vantano, inoltre, nei confronti dello Stato crediti per oltre un miliardo di euro;

è facile comprendere come tali condizioni influenzeranno negativamente l’attività didattica, i livelli di apprendimento, la qualità dell’offerta formativa, le possibilità di successo formativo per i più deboli, l’integrazione degli alunni disabili e l’organizzazione delle istituzioni scolastiche, destinati a peggiorare ancora nei prossimi anni a causa degli ulteriori tagli di risorse programmato dal Governo anche a seguito delle disposizioni contenute nella recente «manovra Tremonti» (decreto-legge n. 78 del 2010), che comporterà la decurtazione del bilancio Miur di circa 312 milioni e la fortissima riduzione di finanziamenti di regioni ed enti locali, sempre più in difficoltà nell’erogare risorse e servizi ai sistemi scolastici territoriali;

pertanto non stupisce ma preoccupa vivamente che per l’anno scolastico che inizia – in continuità con il precedente – in tutto il Paese, a migliaia di bambini sia stata negata l’iscrizione alla scuola dell’infanzia, poiché il Ministero non ha autorizzato nuovi posti di docenza. Alcune regioni (come la Toscana), per far fronte alle esigenze educative dei bambini e delle loro famiglie, hanno provveduto direttamente all’attivazione delle necessarie sezioni di scuola dell’infanzia, ponendo le spese del personale sui propri bilanci e surrogando lo Stato, che, ad avviso degli interpellanti, irresponsabilmente non adempie alle competenze che gli assegna la Costituzione;

nella scuola primaria, in tutto il Paese, in almeno un migliaio di casi, è stata negata l’autorizzazione all’apertura di classi a 40 ore (che non possiamo più chiamare tempo pieno, poiché la cancellazione delle compresenze imposta dal Ministro ne ha mutato il modello didattico), sebbene richieste dalle famiglie. Non sono rari i casi in cui classi prime avviate lo scorso anno scolastico con un orario di 40 ore settimanali, quest’anno funzioneranno con un tempo scuola inferiore, con notevole disagio per gli apprendimenti degli alunni e difficoltà per l’organizzazione delle famiglie. Inoltre, diventano sempre più residuali le esperienze di moduli arricchiti a «tempo lungo» (dalle 31 alle 39 ore), sulle quali il Ministro continua a non diffonde i dati (evasive, sempre ad avviso degli interpellanti, sono state anche le risposte a interrogazioni presentate da sottoscrittori della presente interpellanza);

è stato praticamente soppresso il tempo prolungato nella scuola media, pur richiesto dalle famiglie, perché il Ministero ha negato l’attribuzione dell’organico necessario, nonostante le strutture lo consentissero e gli enti locali se ne fossero accollati gli oneri;

nelle prime classi degli istituti tecnici e professionali, il riordino imposto dal Governo di «epocale» ha, ad avviso degli interpellanti, solo la riduzione delle ore di laboratorio e di molte materie di indirizzo – con l’effetto deleterio di allontanare la scuola dalle esigenze dei distretti produttivi territoriali – mentre nelle classi successive alla prima è assoluta l’incertezza sulla diminuzione d’orario poiché, dopo il ricorso accolto dal TAR, il Consiglio di Stato si pronuncerà solo a fine mese sulla legittimità della riduzione del quadro orario vigente;

la presunta riforma dei licei ha cancellato le straordinarie esperienze di sperimentazione, condotte negli ultimi dieci anni, riducendo gli orari con il solo obiettivo del risparmio della spesa;

per i fortissimi tagli al personale ATA, le istituzioni scolastiche, soprattutto quelle, numerosissime, distribuite su più plessi, avranno difficoltà oggettive a funzionare e a garantire il livello minimo di igiene e la necessaria sorveglianza degli alunni; sarà inoltre impossibile far fronte agli indispensabili servizi di segreteria per carenza di personale amministrativo;

i tagli di cattedre, in alcuni casi mascherati sotto le presunte «riforme» (dal maestro unico alla riduzione di insegnamenti e ore per le medie e le superiori), hanno avuto pesanti riflessi anche sul fronte dei docenti di ruolo: secondo stime accreditate, 12.000 insegnanti sono risultati perdenti posto e, tra questi, moltissimi sono ancora in attesa di conoscere la nuova assegnazione, poiché gli esuberi creati dai tagli non possono essere riassorbiti neanche con utilizzazioni in altre scuole: centinaia di docenti rischiano di essere utilizzati solo per l’effettuazione di supplenze;

ad oggi, numerosi uffici scolastici provinciali non hanno ancora ultimato le operazioni di nomina del personale docente e ATA con grave danno sia per i docenti sia per la continuità didattica;

sono stati ridotti all’inverosimile, dove addirittura non sono scomparsi, gli organici dei docenti per la formazione degli adulti, delle scuole serali e della scuola in carcere;

l’aumento smisurato del numero degli alunni per classe, oltre che incidere negativamente sulla qualità dell’insegnamento e quindi dell’apprendimento, determina il mancato rispetto dei parametri per la sicurezza antincendio e, spesso, per l’agibilità delle aule, anche tenuto conto del fatto che l’edilizia scolastica italiana necessita, in troppi casi, non solo di essere posta in sicurezza (solo il 46 per cento delle nostre scuole ha il certificato di agibilità statica, condizione che ci pone all’ultimo posto in Europa dopo l’Albania, con il 53 per cento) ma anche di essere ampliata e resa più adatta alle esigenze didattiche e pedagogiche di una scuola che cambia e che accoglie cittadini in formazione;

l’Ocse, nel ricordarci che il sapere rappresenta la migliore risposta alla crisi, informa che il nostro Paese – prima dei tagli operati dal citato articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 – investiva in istruzione e formazione solo il 4,5 per cento del PIL a fronte del 5,7 per cento della media Ocse: un dato già sconfortante destinato a peggiorare per la riduzione di 8 miliardi di euro alla scuola e 1,3 miliardi all’università imposti dal Governo. Il Rapporto OCSE indica l’Italia, in termini di spesa pubblica per istruzione, come fanalino di coda in Europa e al di sotto della media dei paesi Ocse (ad esempio, l’Italia spende 7.948 dollari per studente, mentre la Francia ne spende 8.932 dollari, la Germania 8.270 dollari, la Finlandia 8.440 dollari, la Spagna 8.618 dollari, la Svezia 10.262 dollari, la Svizzera 13.031 dollari, gli Stati Uniti 14.269 dollari). Lo studio, inoltre, chiarisce che il nostro Paese spende per il personale non il 97 per cento, come pervicacemente dichiarato dal Ministro, bensì l’81,5 per cento (la media OCSE è il 79,2 per cento), e, contestualmente, rende noto che il rapporto tra docenti e alunni nel nostro Paese è sostanzialmente pari alla media Ocse, se depurato dai dati sul numero di insegnanti di sostegno e degli insegnanti di religione;

i ritardi nell’attuazione del Titolo V della Costituzione in materia di istruzione e il rinvio sine die del previsto trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni sono la manifestazione plastica che il Governo è impegnato, ad avviso degli interpellanti, a realizzare una politica scolastica centralistica, incentrata sui tagli lineari che penalizzano le esperienza virtuose, sulla mortificazione dell’autonomia scolastica e delle competenze degli enti locali e territoriali. Evidentemente, ad avviso degli interpellanti, le forze di governo, all’attuazione concreta dei princìpi di autonomia scolastica e di leale collaborazione con le regioni e gli enti locali preferiscono l’occupazione della scuola da parte di un partito politico, come la recente vicenda di Adro conferma. A tale proposito, preoccupa l’assenza di una netta e forte critica da parte del responsabile del Dicastero, che dovrebbe innanzitutto tutelare il principio costituzionale della libertà dell’insegnamento -:

come pensi il Ministro, in questa situazione, di far fronte alle esigenze delle famiglie italiane in termini di orario scolastico, di qualità dell’istruzione, di successo formativo, di buon funzionamento organizzativo delle istituzioni scolastiche, di sorveglianza degli alunni, di sicurezza e idoneità delle strutture, di servizi alle famiglie e se non ritenga di fermare finalmente questa deriva e di ridare dignità alla scuola italiana e prospettiva di sviluppo al nostro Paese.

(2-00820)
«Ghizzoni, Ventura, Lenzi, Siragusa, Bachelet, De Pasquale, Coscia, De Biasi, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo».

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PRESIDENTE. L’onorevole Bachelet ha facoltà di illustrare l’interpellanza Ghizzoni n. 2-00820, concernente iniziative volte a garantire il funzionamento delle istituzioni scolastiche e la qualità della offerta formativa (vedi l’allegato A – Interpellanze urgenti), di cui è cofirmatario.
GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Signor Presidente, caro sottosegretario Pizza, dato che il Ministro svicola, e anche ieri in Commissione si è tutelato chiedendo alla sua maggioranza di votare che non vi fosse contraddittorio, spetta a lei l’ingrato compito di dover rispondere alle nostre domande, domande invero di tutto il nostro gruppo parlamentare relative ad un avvio piuttosto catastrofico dell’anno scolastico. Si tratta di un’interpellanza urgente piuttosto ampia e, quindi, ne richiamerò solo i punti principali rimandando naturalmente al testo integrale per i dettagli.
Dopo due anni e mezzo di Governo la scuola appare massacrata e l’offerta formativa è diminuita in qualità e quantità. L’obbligo scolastico è stato, di fatto, riportato da 16 a 15 anni ma in compenso abbiamo più bocciati. Che grande successo, specialmente nella scuola dell’obbligo. Monsieur Thélot, consigliere del Presidente Chirac – e quindi non un pericoloso bolscevico -, ci spiegava, in un convegno di Treelle, che nel XXI secolo l’esclusione scolastica vuol dire esclusione sociale, vuol dire creazione di problemi non solo per i ragazzi e per le famiglie ma per l’intera società.
Potremmo, però, pensare che vi è stato almeno un miglioramento della valutazione e della meritocrazia di cui il Ministro parla così spesso. Ebbene, i numeri dell’Invalsi sono stati usati come un manganello mediatico per giustificare tagli che però sono stati indiscriminati. Non vi è stato alcun tentativo di finanziare selettivamente le scuole che ne hanno bisogno o che lo meritano. In compenso, anche all’Invalsi sono stati diminuiti i fondi e cioè un eventuale sviluppo di un sistema di valutazione funzionante è stato bloccato.
Naturalmente, possiamo andare a vedere i dettagli di questi numeri. I tagli del triennio, quelli operati dalla legge n. 133 del 2008, sono pari, come lei ben sa, a circa 132 mila posti, fatti di 87 mila cattedre e 44 mila personale amministrativo, tecnico e ausiliario. Quel taglio ha determinato nell’anno scolastico scorso la cancellazione di 42 mila cattedre e di 15 mila posti ATA.
A questi è corrisposto il mancato rinnovo del contratto a tempo determinato per 14 mila docenti e 8 mila ATA e c’è stato un grave danno per la continuità didattica. Nell’anno scolastico che comincia ora la riduzione di organico scolastico è di altri 26 mila circa posti di docenti e 15 mila ATA. Il numero di docenti precari cui non sarà confermata la nomina è stimato a non meno di 15 mila unità.
Certo, ci dispiace per loro e abbiamo visto, fra l’altro, che il cosiddetto «salva-precari» non ha salvato né i precari, né la scuola. Ci dispiace per l’iniquità anche del provvedimento stesso che ha escluso dai benefici coloro che hanno prestato centottanta giorni di servizio in diverse scuole, ma soprattutto è facile comprendere come queste condizioni influenzano negativamente l’attività didattica, i livelli di apprendimento, la qualità dell’offerta, la possibilità di successo formativo per i più deboli, l’integrazione degli alunni diversamente abili.
Anche a seguito delle disposizioni nella recente manovra Tremonti che comporta la decurtazione del bilancio del MIUR di circa 312 milioni, e anche soprattutto la fortissima riduzione dei finanziamenti a regioni ed enti locali, ci sarà sempre maggiore difficoltà ad erogare risorse e servizi ai sistemi scolastici territoriali.
Farò due esempi. Un’amica, docente nel Lazio, mi spiegava che quest’anno in una delle sue classi aveva ben due diversamente abili, ben sette che non parlavano italiano e un’alunna che non lo parlava affatto, essendo appena arrivata dall’estero. Invece, un’altra collega dell’Emilia Romagna mi diceva che da loro la regione è riuscita a mantenere il sostegno e che è contenta perché, anche se per un’altra bambina, l’insegnante di sostegno serve anche a suo figlio, ed è molto brava.
Un altro dei risultati gravi delle nuove regole è un aumento indiscriminato di alunni per classe. Questo meriterebbe un discorso a parte. Purtroppo non abbiamo spesso possibilità di replica sulla grande stampa, ma leggere dalla signora Abravanel che la qualità dell’apprendimento non dipende dal numero degli alunni per classe è davvero qualcosa che almeno in quest’Aula merita una replica. Esiste un libro di econometria usato dalla maggioranza degli studenti di economia del mondo che è di Stock e Watson nel quale si studia come Pag. 20esercizio la correlazione statistica tra alcuni dati, ad esempio il numero di alunni per classe e l’apprendimento, oppure anche il numero di alunni che non parlano bene la lingua nazionale e l’apprendimento. Sono dati noti: sopra i 25 alunni per classe l’apprendimento crolla.
Inoltre, abbiamo anche un altro problema non piccolo, ossia quello che riguarda la legge n. 626 del 1994 e la sicurezza. Tuttavia, questo sembra irrilevante: il fatto di poter essere significativamente al di sopra di 30 alunni viene considerato uno dei successi dell’opera di razionalizzazione.
Potremmo dire: ma almeno il rapporto tra deficit e PIL è migliorato? No, è aumentato. La crisi è stata prevenuta dalla grande manovra del grande economista Tremonti? No, la recessione è stata fra i peggiori in Europa e la ripresa fra le più lente d’Europa. In compenso, la nostra scuola sta perdendo i suoi pezzi.
Questo si riflette naturalmente nelle diverse parti della scuola. Nella scuola dell’infanzia è stata negata l’iscrizione a molti bambini e spesso agli enti locali è stato impedito di aprire scuole che pure avevano in parte contribuito a mettere su. Nella primaria le 40 ore sono state la barzelletta del maestro unico. Abbiamo avuto la retorica del maestro unico, ma per realizzare le 40 ore (che non è più un tempo pieno) si sono usati a volte sino a 16 diversi maestri: il primo per le 22 ore complete e gli altri atti per i frammenti.
Alla retorica del maggior impegno nella lingua inglese sono corrisposti migliaia di licenziamenti e di abolizioni di posti specialistici per l’inglese nella scuola primaria. Nelle medie è stato praticamente soppresso il tempo prolungato e nelle superiori è stata sostanzialmente azzerata una grande quantità di sperimentazioni che era in realtà in nome dell’autonomia.
Era certamente possibile attraverso dei curricula semplificati e una certa percentuale di offerta didattica delle scuole sopperire, almeno in parte, a questo problema. Ma se nello stesso tempo in cui si irrigidiscono i curricula si tagliano i fondi è ben difficile che non si impoverisca in modo drammatico l’offerta didattica impedendo, anche talvolta sul territorio, di andare avanti ad esperienze molto vicine alle aziende.
Questo lo diceva Beniamino Brocca che fino a poco tempo fa è stato il responsabile scuola dell’UDC, non un pericoloso rifondarolo. È stata proprio la grande sperimentazione di Brocca che è stata distrutta non nel senso in cui una Pag. 21sperimentazione potrebbe essere superata, e cioè traendone i punti principali e avvalendosene per un nuovo modello di scuola, ma è stata semplicemente cancellata.
I tagli del personale amministrativo, tecnico e ausiliario hanno naturalmente ricadute sulla pulizia, sulla sorveglianza, sulla sicurezza e sui lavori di segreteria. Perfino i docenti a tempo indeterminato sono in molti casi perdenti posti e verranno spostati da una scuola all’altra come effetto della riduzione dell’offerta formativa e anche le nomine si trovano in questo momento nel caos. Sono stati diminuiti perfino i fondi, già scarsi, per la formazione e l’educazione degli adulti. Questo vuol dire anche avere abolito o impoverito enormemente le scuole serali che oggi più che ai lavoratori servivano come polmone per l’insegnamento dell’italiano come lingua straniera agli immigrati. Erano anche quelle le ore della scuola per il carcere: tutto questo sta morendo!
Molti ci avevano spiegato che l’Italia spende troppo per la scuola, ma i dati OCSE usciti pochi giorni fa ci hanno finalmente detto la verità. Anche aggiungendo quanto viene dato dagli enti locali e dalle regioni, l’Italia si attestava prima dei tagli al 4,5 per cento del PIL contro una media europea del 5,7 per cento investito nella istruzione e, di conseguenza, i tagli non potranno che portarci più lontano dall’Europa.
Infine – ma solo in ordine di tempo – vorrei sottolineare che dell’attuazione del Titolo V, che tanta prospettiva potrebbe avere per la scuola e per un vero rilancio dell’autonomia scolastica e della responsabilità anche in campo formativo ed educativo, non si parla più. Evidentemente la Lega, per la terza o quarta volta, fa credere ai sui elettori di essere interessata alle autonomie regionali, ma si consola soltanto marchiando i banchi di scuola come i cavalli di Tex Willer con i simboli del suo partito.
La vicenda di Adro è particolarmente scandalosa in sé e anche perché lo stesso Ministro che ha dato corda ad un dirigente scolastico regionale di un’altra regione italiana perché facesse provvedimenti punitivi verso professori che si erano permessi solo di discutere e votare in collegio docenti un documento che criticava il Ministro Gelmini non ha ancora trovato altro che dire una battuta dai toni folcloristici.
Mi permetto di dire che il povero professor Gianfranco Miglio, a cui è stata intitolata la scuola in cui è stata fatto quell’atto assolutamente inedito in Italia, ossia mettere il simbolo di un partito sui banchi di scuola e sui tappetini all’ingresso, e che era anche un grande studioso cattolico di diritto che ha formato generazioni di politici e di storici, credo si rivolterebbe nella tomba. D’altra parte, Bossi, quando Miglio – a cui pure è stata intitolata la scuola – abbandonò la Lega, lo definì con finezza «una scureggia nello spazio».
Dunque, noi ci auguriamo che il Ministro, e vorremmo sapere come vorrà farlo, possa dare all’inizio dell’anno scolastico qualche speranza in più rispetto alla catastrofe che mi sono permesso di descrivere brevemente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Futuro e Libertà per l’Italia).
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l’istruzione, l’università e la ricerca, onorevole Giuseppe Pizza, ha facoltà di rispondere.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l’istruzione, l’università e la ricerca. Signor Presidente, in merito a quanto rappresentato nell’atto in discussione, faccio presente quanto segue. L’articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha previsto l’adozione per un triennio, a decorrere dall’anno scolastico 2009-2010, di interventi e misure volti in primo luogo a incrementare gradualmente di un punto il rapporto alunni-docenti; in secondo luogo a ridurre del 17 per cento la consistenza del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) determinata per l’anno scolastico 2007-2008. Tali misure sono coerenti con gli standard europei.
Il complesso delle azioni previste dal citato articolo 64 in materia di revisione e riordino del sistema scolastico si inquadra nel più ampio programma di razionalizzazione e contenimento della spesa per il pubblico impiego e si ispira ai principi di efficacia, efficienza ed economicità, che debbono caratterizzare l’impianto del moderno sistema amministrativo. In tale ampio e delicato quadro si colloca la realizzazione dei risparmi di spesa assegnati a questo dicastero.
Peraltro, l’azione di contenimento è in linea con quanto già previsto dal precedente Governo che, per il triennio 2007-2010, aveva stabilito una riduzione complessiva di 49 mila posti tra docenti ed ATA. Parte di tale riduzione, non realizzata per il sopravvenire delle nuove elezioni, è stata compresa nelle riduzioni di cui all’articolo 64.
La relazione tecnica di accompagnamento all’articolo 64 collega le sopraindicate economie all’attuazione di un piano triennale di riduzione dei posti (comprensivo anche di quelli preventivati dal precedente Governo pari a 20 mila unità) articolato in 42.105 posti per il 2009-2010, in 25.600 posti per il 2010-2011, in 19.700 posti per il 2011-2012, per un totale di 87.400 posti nel triennio. A tali posti si aggiungono quelli relativi al personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) corrispondenti a 15.166 unità per il 2009-2010, 15.167 unità per il 2010-2011 e 14.167 unità per il 2011-2012, per complessive 44.500 unità.
Tale piano, a norma dell’articolo 64, è bene ricordarlo, è finalizzato alla «revisione dell’attuale assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico» e ad una «maggiore razionalizzazione delle risorse umane e strumentali disponibili, che conferiscano una maggiore efficacia ed efficienza al sistema scolastico».
La disposizione citata prevede, inoltre, che la mancata realizzazione delle descritte economie comporta l’applicazione della «clausola di salvaguardia», con una corrispondente riduzione di pari importo dei finanziamenti di bilancio di questo Ministero. Tale clausola, com’è noto, è stata introdotta dal precedente Governo e applicata nel 2008, con una forte riduzione dei finanziamenti per copertura delle supplenze.
Le modalità di attuazione degli interventi di riduzione sono state definite nel piano programmatico sul quale è stato acquisito il parere favorevole del Parlamento. In applicazione delle azioni e degli interventi previsti dal piano sono stati emanati i relativi regolamenti, sui quali sono stati acquisiti i pareri favorevoli del Parlamento e del Consiglio di Stato.
Venendo alle specifiche richieste avanzate dagli interpellanti si osserva quanto segue. Per quanto concerne gli organici, premesso che per l’anno scolastico 2010-2011 le previste riduzioni di 25.600 docenti e 15.167 ATA, nell’adeguamento dell’organico di diritto alle situazioni di fatto, sono state attenuate. Infatti, l’amministrazione ha tenuto in debito conto i seguenti fattori necessari ad assicurare la qualità dell’offerta formativa: sdoppiamento di alcune classi particolarmente affollate in presenza di alunni disabili; formazione di classi, in deroga ai parametri programmati, nelle zone disagiate e di montagna; autorizzazione di corsi serali per studenti lavoratori; esigenze legate alla garanzia della continuità del tempo pieno e comunque all’ampliamento del tempo scuola prospettate da alcuni assessori regionali e rappresentate dai direttori regionali; assicurare la funzionalità amministrativa delle scuole.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 11,20)
GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l’istruzione, l’università e la ricerca. Complessivamente, ad oggi, gli incrementi di posti autorizzati, sia docenti che ATA, ammontano complessivamente ad oltre 5 mila unità, di cui oltre mille per Pag. 25il personale ATA; unità di personale che sicuramente potranno contribuire ad assicurare il mantenimento della qualità e quantità del servizio scolastico.
Per quanto riguarda il tempo pieno, pur in presenza di un’azione di contenimento degli organici, negli ultimi due anni è stato notevolmente incrementato il numero delle classi a tempo pieno per venire incontro alle richieste delle famiglie. Le classi a tempo pieno sono passate dalle 34.317 dell’anno scolastico 2008/2009 alle 37.275 del corrente anno, con un incremento di 2.958 unità. La richiesta delle famiglie di classi a tempo pieno è comunque da anni superiore alla sua effettiva possibilità di realizzazione. Infatti, nessun Governo ha mai potuto soddisfarla in toto, in ragione del vincolo di risorse da assegnare al modello in questione. Tali risorse rientrano nella complessiva dotazione organica stabilita annualmente di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze.
In ordine all’aumento degli alunni per classe, l’articolo 64 della legge n. 133 del 2008, come peraltro la legge n. 296 del 1997 del precedente Governo, ha previsto l’aumento di un punto percentuale del numero degli alunni per classe rispetto ai 20,6 alunni per classe dell’anno 2007/2008. Nel corrente anno il rapporto è pari a 21,3 alunni per classe, quindi ancora inferiore alla previsione normativa. Dalle rilevazioni effettuate, a fronte di sole 881 classi (pari allo 0,2 per cento) con un numero di alunni pari o superiore alle 30 unità (quasi tutte presso gli istituti di II grado), ve ne sono 7.936 (pari al 2,1 per cento) con meno di 12 alunni e altre 108 mila con un numero pari o inferiore a 20 alunni (pari al 30 per cento).
Quanto al precariato, proseguendo nell’opera di stabilizzazione del precariato, si è proceduto alle assunzioni in ruolo di ben 16.500 unità di personale docente (10 mila) ed ATA (6.500), e ciò in deroga al blocco delle immissioni in ruolo previsto per le altre amministrazioni dalla legge n. 112 del 2010 di stabilizzazione della finanza pubblica.
Delle 10 mila immissioni in ruolo del personale docente ben 5 mila sono state destinate al sostegno e all’integrazione degli alunni disabili. Tale soluzione ha consentito di dare stabilità e continuità didattica all’offerta formativa rivolta agli alunni disabili, che, com’è noto, subiscono in maniera più avvertita il disagio legato al cambio annuale dei docenti di sostegno.
Il numero dei precari, ovvero di coloro che sono inclusi nelle graduatorie ad esaurimento, è di 229 mila. Tale cifra diminuisce progressivamente sulla base delle nomine in ruolo autorizzate. Si evidenzia, pertanto, la positiva e sostanziale tendenza alla diminuzione dei precari abilitati. Per l’anno 2010/2011 verranno conferite circa 116 mila supplenze, di cui solo 20 mila su posti effettivamente vacanti e disponibili (nomine fino al 31 agosto) e quindi utili per le nomine in ruolo, mentre i rimanenti, pari a circa 96 mila (nomine fino al 30 giugno), sono posti solo disponibili di fatto per ciascun anno (posti in deroga sul sostegno, spezzoni di orari, comandi ed altre analoghe fattispecie).

Dal rapporto tra numero dei pensionamenti che è pari a 23.000 e quello della riduzione di posti di organico che è pari a 25.600, si evince che il numero dei supplenti che non avrebbero possibilità di nomina annuale fino al termine delle lezioni sarebbe di circa duemila, che vanno ad aggiungersi ai circa 12 mila del decorso anno per un totale di 14 mila unità. Tale numero, in realtà, si riduce notevolmente per effetto dell’autorizzazione in sede di organico di fatto, al funzionamento di ulteriori posti sia di insegnamento ordinario, pari circa a mille che di sostegno pari a oltre 3.200. Pertanto, il leggero incremento, rispetto al decorso anno, del numero dei supplenti senza incarico – che è di circa duemila, come dicevo prima – viene interamente riassorbito nei posti autorizzati in organico di fatto che ammonta ad oltre quattromila, migliorando la situazione dei precari perdenti posto rispetto al decorso anno, nel corso del quale, con interventi previsti dalla legge sul precariato, la situazione è stata gestita senza particolari disagi. L’incidenza della riduzione dei posti è più sensibile nelle regioni del Mezzogiorno a causa della costante diminuzione degli alunni in tutti i gradi di istruzione. Nel centro-nord, invece, si assiste al fenomeno inverso. Pertanto, nonostante il meccanismo delle riduzioni di organico operi in misura proporzionale, si realizza il fenomeno di una maggiore concentrazione in valore assoluto nelle regioni del sud dove si registra una maggiore sofferenza dei precari. Per far fronte alla situazione dei docenti annuali precari perdenti posto sono state prorogate anche per l’anno scolastico 2010-2011 le misure legislative a favore dei docenti precari: precedenza assoluta in tutte le nomine, riconoscimento del punteggio intero, automatismo della liquidazione dell’indennità di disoccupazione laddove dovuta da parte dell’INPS e priorità nell’assegnazione di progetti avviati a seguito di convenzioni con le regioni. Tali misure sono state estese anche al personale che aveva la supplenza annuale dello scorso anno che l’ha persa per l’anno scolastico 2010-2011. Oltre alle misure sopra descritte, per i precari sono previste convenzioni con le regioni per attivare occasioni occupazionali attraverso progetti per il rafforzamento dell’offerta formativa con il riconoscimento dell’intero punteggio ai fini della posizione in graduatoria. Le Pag. 28regioni che hanno già definito le convenzioni sono Veneto, Puglia, Molise, Calabria, Sicilia, Campania, Piemonte e Basilicata. Sono invece in corso di definizione le convenzioni con le regioni Lazio, Lombardia e Sardegna.
PRESIDENTE. L’onorevole Coscia, cofirmataria dell’interpellanza, ha facoltà di replicare.
MARIA COSCIA. Signor Presidente, purtroppo ci troviamo di fronte ad un’ennesima risposta all’interpellanza da noi presentata in altre occasioni, devo dire molto burocratica. Sono particolarmente colpita, nonostante il sottosegretario sia molto amabile, dalla distanza abissale che c’è tra la realtà del Paese e i problemi drammatici che si stanno verificando in questi giorni all’interno delle scuole, ovvero un grande caos, una grande confusione, un’assoluta incertezza nelle scuole superiori rispetto a ciò che bisogna insegnare ai ragazzi. Le prime classi non hanno ancora avuto in tutte le scuole il team di insegnanti che spetta loro, quanto alle seconde, terze e quarte classi soprattutto degli istituti superiori ancora non si sa cosa si debba insegnare visto che sono state ancora accorpate ore e ridotti gli orari. Insomma, penso alle decine di migliaia di famiglie che avevano richiesto il tempo pieno nella scuola primaria e che invece non hanno avuto risposta, a fronte degli impegni che il Premier, in prima persona, il Presidente Berlusconi, con il ministro, più volte aveva assunto, assicurando addirittura che il tempo pieno sarebbe stato aumentato del 50 per cento rispetto all’anno precedente, cosa che non è avvenuta.
Più volte si dice che si forniscono dati che poi non corrispondono alla realtà, perché sono dati, secondo noi, per così dire taroccati (per esempio sono scomparsi i modelli di orari dalle 31 alle 39 ore e non ne vengono forniti altri; è legittimo il sospetto che le sperimentazioni vengano presentate come «tempo pieno» e non lo sono).
A parte il tema della qualità del tempo pieno – perché ciò che è avvenuto, ahimè, è stato semplicemente quello di lasciare il numero delle ore, facendo venir meno, purtroppo, nel modo più assoluto la qualità di quel modello didattico, fondato sul lavoro di team e di compresenza – in molti contesti, dove gli orari sono stati garantiti, il pomeriggio assistiamo ad un tourbillon di insegnanti che, invece di dare sicurezza e un punto di riferimento ai bambini, non fanno altro che disorientarli ulteriormente.
Vi è dunque una differenza, come dire, abissale tra la realtà drammatica che si sta vivendo in questi giorni nelle scuole e la risposta che ci è stata fornita. Prendo atto che questa volta almeno non sono citati dati europei, se non en passant solo per giustificare ad esempio il tema dell’aumento del numero degli alunni per classe, quando si dice genericamente che sono tendenze in linea con i parametri europei. Ciò non è assolutamente vero. Non è assolutamente vero, perché la realtà del nostro Paese è diversa da quella di altri Paesi europei per la sua composizione geografica ed orografica: fare una media rispetto a situazioni di piccoli centri di montagna, che comunque hanno ovviamente bisogno di avere una scuola, con un numero di bambini quindi nettamente inferiore rispetto alle scuole delle grandi città, soprattutto quelle delle periferie, significa fare, come dire, la solita statistica che non corrisponde alla realtà.
E soprattutto, nella realtà dei fatti, accade che, in tantissime scuole, abbiamo classi che arrivano fino a 33 alunni se non addirittura a 37-38 e, come diceva il collega Bachelet, ciò sta mettendo in discussione i parametri minimi di sicurezza e di garanzia per i nostri ragazzi e per gli studenti, le condizioni minime di tutela della salute ed anche la possibilità per gli insegnanti di proporre una didattica di qualità, a cui i nostri ragazzi hanno diritto, al pari dei loro amici e colleghi europei. Questa purtroppo è la realtà.
Come dicevo, quindi, questa volta si è sorvolato su dati, non forniti da noi, dall’opposizione, ma su dati forniti dall’OCSE, che ancora una volta ha certificato che il nostro Paese è tra i Paesi più indietro rispetto alla spesa e all’investimento sull’istruzione e sulla formazione e ciò in riferimento alla situazione del nostro Paese prima dei tagli (possiamo quindi immaginare che saremo gli ultimi degli ultimi nelle prossime ricerche). Prima dei tagli l’Italia spendeva il 4,5 del prodotto interno lordo rispetto ad una media europea, anzi dei Paesi OCSE, quindi non solo europea, del 5,7. A questi si aggiungono altri dati significativi ed importanti: il nostro Paese è il penultimo per la spesa pro capite per studente, ovvero 7.948 dollari, a fronte di una spesa di quasi il doppio negli Stati Uniti, 14.269 dollari. Ma non bisogna andare negli Stati Uniti, pensiamo alla Francia, che ne spende circa 9 mila, o alla Svezia, che ne spende oltre 10 mila.
Insomma, siamo un Paese che, invece di investire sulla risorsa fondamentale, che sono i nostri bambini e i nostri ragazzi e quindi il futuro del nostro Paese, e di fare dell’istruzione e della formazione un punto di forza per aiutare il Paese ad uscire da una crisi durissima e pesante, come i dati anche recenti di questi giorni della Banca d’Italia purtroppo confermano, fa il contrario.

Il nostro Paese, rispetto ad altri, è quello che è più indietro nella capacità di vedere una nuova prospettiva. Invece di fare dell’istruzione e della formazione una leva fondamentale per costruire un nuovo futuro per il nostro Paese, accade, lo ripeto, esattamente il contrario: si sono considerate l’istruzione e la formazione solo un capitolo di bilancio da tagliare in modo indiscriminato, senza guardare dentro tale spesa, senza lavorare per il suo miglioramento e la sua qualificazione, per recuperare il ritardo e dati drammatici come quello della dispersione.
Abbiamo anche in questo caso un primato negativo: siamo il Paese che ha più ragazzi che abbandonano la scuola, circa il 25 per cento; vi sono poi 2 milioni di ragazzi che non vanno né a scuola né al lavoro: abbiamo quindi il più alto indice di disoccupazione dei nostri giovani. Insomma, vi è una situazione veramente pesante e drammatica, e abbiamo purtroppo avuto un’ennesima risposta burocratica e un sorvolare su una vicenda di questi giorni.
Si tratta di una vicenda simbolicamente rilevantissima per un Paese come il nostro, un Paese democratico, che fa della scuola pubblica la sua risorsa fondamentale: il pluralismo della scuola pubblica come un punto di riferimento che unisce tutti gli italiani. Rispetto alla vicenda del comune di Adro, che ha non politicizzato, bensì invaso una scuola con i simboli di un partito, invece si sorvola e si fa persino dell’ironia. È una questione di una gravità inaudita, a cui un Governo serio dovrebbe rispondere in modo netto, e chiedere a quel comune di rimuovere i simboli di un partito; perché il luogo della scuola è assolutamente fondamentale nell’educazione e nella crescita pluralista, e per offrire ai nostri bambini e ragazzi la possibilità di acquisire quelle conoscenze e quelle competenze, e anche quella capacità critica, tale da potersi poi fare opinioni e giudizi autonomi.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MARIA COSCIA. Non possiamo quindi – mi dispiace, sottosegretario – che essere assolutamente e decisamente insoddisfatti.
Vogliamo ancora una volta, però, rilevare le contraddizioni del Ministro, che emergono anche sulla vicenda dei precari: non si può affermare il giorno prima che non vi è alcuna possibilità di assorbimento dei precari, e il giorno dopo ci si racconta, con le dichiarazioni di questi giorni, che forse nel giro di qualche anno si potranno assorbire. Sottosegretario, la prego di riferire al Ministro: sarebbe il caso di non continuare a prenderci in giro. Si formuli un piano!
Se è vero che vi è la possibilità di assumere nel corso degli anni, non si sa bene quanti anni, i precari, ci si presenti in Parlamento, prima in Commissione e poi in Aula, con un piano; perché non si può richiamare il Governo Prodi per dire che ha messo in atto una clausola di salvaguardia (mentre il Governo Prodi contestualmente al lavoro di razionalizzazione della spesa, ha messo in campo un piano di assunzione pluriennale dei precari, ma solo per una parte dello stesso questo Governo ha proceduto), e poi continuare a raccontare favole a cui ritengo non creda nessuno. Vi sfidiamo allora: venite in Parlamento, portateci un piano, discutiamo e vediamo se poi sono «balle» che raccontate o sono fatti reali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).