Non sarà dunque per timore della presunta invasione musulmana, ma per l´invenzione ancor meno verosimile di una «minaccia interna» rappresentata dal popolo rom, che l´Europa derogherà dalla sua conquista democratica più significativa, cioè la libera circolazione dei cittadini dell´Unione in tutti i suoi Stati membri?
È un brutto scherzo della storia che a farsi protagonista di tale retromarcia sia un presidente francese originario dell´Ungheria, cioè di una nazione tuttora afflitta da pulsioni xenofobe nei confronti di una minoranza già vittima di persecuzioni atroci sul suo territorio. La culla della nozione moderna di cittadinanza, fondata sul diritto comune anziché sul sangue, ha intrapreso un´azione restauratrice di confini superati, quasi che il trascurabile insediamento di alcune migliaia di nomadi potesse davvero determinare un problema di sicurezza per sessanta milioni di abitanti, senza curarsi del precedente gravissimo che verrà di certo strumentalizzato altrove: il ritorno alle frontiere sbarrate, e la penalizzazione di altre minoranze nazionali.
A Berlusconi e Bossi non pare vero di mettersi sulla scia di Sarkozy, cavalcando la pulsione reazionaria che non distinguerà certo i rom e i sinti sulla base del loro passaporto. Poco importa a questi irresponsabili «statisti» che la grandissima maggioranza dei rom e dei sinti che abitano in Francia e in Italia siano loro concittadini, e come tali non estradabili. Essi sanno benissimo che la gente riunisce nell´odio queste fasce marginali della società, e nega loro lo stesso diritto all´esistenza. «Quelli rubano», sono un popolo ladro per sua stessa natura, se vivono nelle baracche dei campi abusivi non è perché vi sono costretti da un destino infame – alimentato da stereotipi molto simili all´antisemitismo – ma invece perché sarebbe quella la loro inestirpabile vocazione di antisociali.
Fino a ieri la differenza tra Francia e Italia era data dal fatto che oltralpe i comuni sono tenuti a allestire luoghi attrezzati per i gitani, zingari, rom o sinti che dir si voglia. Mentre in Italia queste strutture non sono state quasi mai adibite, generando il fenomeno pericoloso delle bidonville in preda ai clan. Ma a Sarkozy non è parso vero di solleticare i bassi umori di un´opinione pubblica divenutagli ostile, enfatizzando il pericolo dei nuovi venuti da Romania e Bulgaria, nonostante si tratti di una quota minima sul totale degli emarginati.
Sarkozy ha finto a Bruxelles un´indignazione repubblicana – del tutto estranea ai governanti italiani – perché sa bene che in Francia la cultura dei diritti è parte costitutiva della storia patria. Ma è ben felice, come prima di lui la destra italiana, dello scandalo sollevato, confidando che la sua durezza lo rimetta in sintonia col popolo che ha deluso.
Così facendo, l´asse italo-francese provoca irresponsabilmente un vulnus nella giovane democrazia comunitaria. Accanendosi contro un numero esiguo di persone –riprese da telecamere compiacenti nel mentre vengono imbarcate sugli aerei con qualche centinaio di euro in tasca – viola il principio fondativo di un´Unione nata per superare la tragedia storica del vecchio continente, di cui i rom, insieme agli ebrei, rappresentano la memoria indelebile.
«Se li prenda nel suo paese», ha inveito Sarkozy contro la commissaria Viviane Reding. Esattamente come i leghisti di casa nostra irridono chi auspica processi di integrazione dei nomadi nelle nostre città con l´argomento più volgare: «Se vi piacciono tanto, perché non ve li ospitate nelle vostre belle case da privilegiati?». Esattamente come Gheddafi a Roma pretendeva la taglia di 5 miliardi all´anno per tenerci lontani gli «scarti umani» dell´Africa, Sarkozy e Berlusconi parlano dei rom come di un´entità spregevole, come se non si trattasse di persone ma di rifiuti. Sanno perfettamente di alimentare nei loro cittadini gli istinti più bassi, quelli che a rischio dell´impopolarità una classe dirigente degna di questo nome dovrebbe sentirsi impegnata a debellare. Lesionano l´edificio europeo cavalcando la paura, solo perché dominati a loro volta dalla paura di perdere il proprio potere personale.
La Repubblica 17.09.10