Il modo in cui si parla e si scrive di compravendita di deputati da parte del presidente del Consiglio, di un suo sperato «montepremi», di mercato, offerte, prezzi eccetera, è vergognoso. Naturalmente potrebbe essere una faccenda di linguaggio, l’adozione di una maniera di parlare sbrigativa e priva di ogni ipocrisia, l’uso di una disinvoltura magari brutale però schietta: ma non è così. I termini esprimono esattamente quanto si vuol dire, corrispondono a concrete certezze. L’ipocrisia c’entra poco: il punto è che evidentemente si considerano i voti parlamentari una merce acquistabile come tante altre, si ritiene che in politica (e non soltanto in politica) tutti possano essere comprati & venduti. E’ vero? Non è vero affatto: è un’idea che appartiene esclusivamente a un gruppo e che può contagiare la gente. E’ vero invece che s’è perduta una sensibilità democratica, che si è acquistato un disprezzo della morale.
Il ministro Gelmini, ad esempio, se deve parlare di una fascia di lavoratori della scuola che si oppone alle sue iniziative, dice di non farne alcun conto «perché sono politicizzati». E allora? E’ un’accusa? Vanifica l’opinione? Chi è politicizzato è perciò stesso una persona non credibile, disonesta, le cui idee valgono nulla? Se i governanti hanno della politica una simile considerazione, cosa bisognerebbe pensare dei ministri e del loro presidente, che esercitano la politica per professione? Bisogna credere che per loro sì, va bene, mentre per chiunque altro fare politica è una colpa sociale?
Sono queste le cose che contribuiscono a rendere i governanti impossibili da stimare, che legittimano i qualunquismi, che sottosviluppano il Paese anziché svilupparlo. Subito dopo la Seconda Guerra mondiale, estirpare le idee fasciste che erano state impiantate durante un ventennio nel cervello della gente fu un’impresa dura: in certi casi fu necessario il passare delle generazioni, il mutare della cultura, l’aspro svincolarsi dai luoghi comuni. E adesso si dovrebbe ricominciare?
La Stampa 17.09.10