Doveva risuonare la voce d’un inglese, per raccontarci come siamo fatti noi italiani. Nell’editoriale pubblicato ieri dalla Stampa, Bill Emmott ce l’ha cantata chiara: lasciate perdere il maggioritario, dalle vostre parti non funziona. Ha generato coalizioni artificiali, governi instabili, e in conclusione zero riforme. Meglio per voi il proporzionale, anzi un proporzionale perfetto, all’irlandese. Così ogni idea, ogni opinione, ogni cultura potrà specchiarsi in Parlamento. Senza nessuna camicia di gesso, che tanto va poi regolarmente in pezzi al primo starnuto.
La diagnosi di Emmott riecheggia una lezione che fu di Montesquieu: sono le leggi che devono adattarsi agli uomini, non gli uomini alle leggi. Sicché nessun vestito normativo è buono in assoluto, dipende dalla taglia del popolo che dovrà indossarlo. Anzi: secondo Montesquieu dipende anche dal clima, dal territorio, e naturalmente dalla storia. La nostra storia racconta un’Italia dei Comuni mai del tutto tramontata, tant’è che ne sopravvivono 8 mila, ciascuno rivale dell’altro. Ma se è per questo, sopravvive inoltre una congerie di corporazioni, lobby, sindacati, ordini professionali.
E naturalmente di partiti, dentro e fuori il Parlamento. Noi italiani siamo così, 60 milioni di commissari tecnici, ciascuno con la sua formazione in testa per la nazionale di pallone. Potremmo mai intonare un’unica canzone quando discutiamo di politica? Potremmo mai filare d’accordo, sia pure per lo spazio d’una legislatura? No, e infatti Bobbio disse una volta che la nostra storia costituzionale si è snodata attraverso un’altalena di crisi di governo (spesso molto lunghe) e di governi in crisi (spesso molto brevi). La sola novità che la seconda Repubblica ci ha recato in dote è la sostituzione della crisi con un eterno stato di pre-crisi, ma il rantolo è lo stesso.
Però se la premessa è esatta, sulla conseguenza che ne trae Bill Emmott va depositata un’opinione dissenziente. Non perché il bipolarismo sia diventato la nostra legge di natura; questo vincolo funziona esclusivamente nella geografia terrestre, dove un polo di centro non esiste, esistono soltanto il Polo Nord e il Polo Sud. Viceversa nella politica italiana il terzo polo prese forma già in Assemblea costituente (dove oltre ai cattolici e ai marxisti operò una pattuglia quanto mai agguerrita d’orientamento liberale), e in seguito ha sempre continuato a manifestarsi in varia guisa. Evidentemente la scelta binaria ci sta stretta, di fidanzate ne vogliamo almeno tre. Quanto al bipartitismo, poi, non ne parliamo; o meglio ne parlano soltanto i Radicali, che tuttavia non hanno mai accettato di diluire la propria identità in una formazione politica più vasta.
Ma davvero tutto ciò significa che per salvarci dovremmo scimmiottare le istituzioni dell’Irlanda? A parte le difficoltà di comprensione (lì il presidente si chiama Uachtarán na hÉireann), a parte il fatto che da quelle parti il capo del governo nomina 11 senatori su 60 (vabbè, tutto sommato funziona così pure in Italia), a parte che fin qui eravamo stati noi a offrire sangue italiano agli irlandesi (quello di Trapattoni), sta di fatto che il loro sistema elettorale rischia d’aumentare i nostri guai, anziché diminuirli. Tranquilli, non entro in tecnicismi: metodo Hare (peraltro non troppo diverso dal metodo d’Hondt con cui nella prima Repubblica venivano assegnati i seggi del Senato), formula a voto singolo trasferibile (tu voti per me, dopo di che se io ho già fatto il pieno elettorale il tuo voto lo acchiappa il mio rivale), e via elencando. Ma il punto è che un proporzionale esasperato – sia pure con una soglia minima per far scattare il seggio – finirebbe per frazionarci ulteriormente, mettendo a nudo tutti i nostri vizi. No, non è questa la terapia di cui abbiamo bisogno. Non cresceremo d’una spanna passando dal bipolarismo coatto alla disgregazione forzata. Meglio per noi i sistemi misti, com’era il Mattarellum: tre quarti di maggioritario, un quarto di proporzionale. E se il Porcellum, con il suo premio di maggioranza esorbitante, ha alimentato un bipolarismo falso e muscolare, formulo a mia volta una proposta: correggiamo il maggioritario con un premio di minoranza. Per com’è messa l’opposizione di sinistra, sarebbe un’opera di carità.
La Stampa 15.09.10