L’intervento del Segretario del PD, Pier Luigi Bersani, alla chiusura della Festa Democratica nazionale
Care democratiche, cari democratici, cari amici, cari compagni,
questa nostra splendida festa è vissuta nel cuore stesso della città di Torino, città del Risorgimento e del lavoro. Città bellissima e ospitale. Assieme a voi saluto Torino e la ringrazio. Assieme a voi saluto il suo Sindaco, i dirigenti cittadini, provinciali e regionali del Partito. Grazie davvero.
E’ stata una grande e bellissima festa. Chi ha voluto aggredirla non è riuscito a sfregiarla. Nelle nostre feste, a differenza di ormai tutte le altre, si discute anche con chi non la pensa come noi, si discute anche con gli avversari politici, si discute dentro alle tensioni della politica e della società.
Si discute nelle piazze, all’aperto, secondo le normali regole della convivenza e dell’ordine pubblico. Penso che meriteremmo un ringraziamento da tutti quelli che sperano ancora che il nostro Paese possa essere un Paese civile. In ogni caso noi non accetteremo mai, così come ci ha cantato Francesco de Gregori in questa splendida piazza, che la gente rimanga chiusa in casa la sera.
Anch’io, assieme a tutti voi, mi rivolgo ai volontari della festa e li abbraccio tutti e a uno a uno: veri protagonisti di questo straordinario avvenimento. E saluto, attraverso loro, le decine di migliaia di volontari che hanno fatto vivere in Italia oltre 2.000 feste. Il nostro record. Fra di loro tutte le generazioni; quelle più anziane ma anche tanti giovani, sempre di più, e tanti nuovi italiani, sempre di più. Nessuno meglio di loro ci restituisce quello che è nostro. Il volto cioè di un grande Partito popolare che vive la politica nel suo territorio, che mette la politica nella vita comune dei cittadini, che crede ad una politica che guardi la gente da vicino e all’altezza degli occhi. Nessuno pensi di venirci a spiegare il radicamento! Abbassi la cresta chi vuole darci lezioni di territorio o farci la caricatura come fossimo un Partito in pantofole. Abbiamo scarpette e scarponi e se ne accorgeranno. Ma, e qui siamo già fuori dai ringraziamenti e siamo già nella politica, in quell’impegno dei volontari dobbiamo riconoscere qualcosa di più e di più profondo di quello che può stare in un ringraziamento.
Grazie ai volontari. Solidarietà e civismo idee sorelle.Dobbiamo riconoscere ciò che muove milioni di volontari in Italia, non solo nella politica, ma nell’impegno sociale, culturale, ambientale e in ognuno dei mille e mille luoghi del Paese. Dobbiamo riconoscere la generosità, la gratuità di un impulso civico, di un lavoro fatto perbene, fatto per te e per gli altri, per la tua comunità. E’ ben difficile che un volontario così non sia poi nella vita di ogni giorno un buon cittadino, una persona perbene, che si comporta bene. L’idea di fraternità si dà la mano con l’idea di onestà. Sono due idee sorelle. Solidarietà e civismo sono idee sorelle. Se vogliamo ritrovare la strada dobbiamo tutti sapere che non si può stare bene da soli. Dobbiamo saperlo proprio nel momento in cui, è la crisi stessa che ce lo dice, l’unico motore della crescita può essere solo l’equità, possono essere solo redditi e consumi che nascano dal lavoro e non dalle bolle o dal debito, che nascano dalla crescita dei mercati interni e non solo dalle esportazioni, perché se tutti vogliono solo esportare, Cina, Germania e adesso anche Stati Uniti dovremo vendere a Marte i nostri prodotti. Quindi più equità, più crescita comune, più lavoro.
Serve un grande risveglio italiano. Sulla base di questi principi voglio oggi avanzare a voi e al Paese l’idea di un grande risveglio italiano. Di questo vi parlerò, di un risveglio italiano, non tacendo ovviamente della più stretta attualità politica, ma cercando di alzare la testa verso il futuro di un Paese che non potrà tornare a crescere senza un sogno, senza un progetto e senza rimboccarsi le maniche per conquistarli.
Vogliamo essere un grande partito nazionale.
Cari amici e compagni, partiamo da un fatto. In un Paese come il nostro le migliori espressioni di solidarietà e di civismo hanno sempre la loro radice in un luogo, in un territorio. I mille luoghi italiani. Che Paese magico è il nostro! Ovunque una piazza, una torre, le campane, la fontana. Luoghi diversi tutti, tutti particolari e distinti, eppure tutti così riconoscibili, tutti così italiani. Una Nazione magica, la nostra, capace di esserci prima ancora di esistere. La Nazione più facile da riconoscere per chi ci guarda dal mondo, eppure una Nazione per cui è sempre stato difficile e ancora oggi è difficile farsi davvero comunità nazionale, farsi Stato, organizzare e garantire un progetto e un cammino comuni. Ancora oggi da noi, per la politica, la dimensione nazionale non è una cosa ovvia, come in altri Paesi, ma è una sfida, una sfida attuale e difficile. Qui, a Torino, il Partito Democratico raccoglie questa sfida. Vogliamo essere un grande Partito nazionale, che dice le stesse fondamentali parole a Napoli e a Varese; vogliamo dare sostanza vera ad un orgoglio nazionale, ad una dignità italiana. Questo impegno lo consegno qui, a nome vostro, al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Caro Presidente, ti vogliamo bene.
I 150 anni impegno per costruire nuova unità.I 150 anni per noi non sono una commemorazione. Sono l’impegno a costruire le ragioni nuove di una nuova unità del Paese. Alle nostre spalle noi riconosciamo i fondamentali pilastri su cui appoggiare il futuro. Riconosciamo nella nostra storia i passaggi che possono ancora produrre energia per il futuro che vogliamo costruire. Riconosciamo il Risorgimento che ebbe qui a Torino il suo cuore pulsante e la sua direzione politica. Riconosciamo, nei decenni successivi all’unità, il grande movimento di solidarietà, di mutualità, di auto organizzazione, di emancipazione, variamente ispirato dalle culture cattolica, socialista, laica e repubblicana; un movimento che portò il popolo ad un protagonismo nuovo e ad una nuova presa di coscienza e che generò via via le grandi forze politiche popolari. Riconosciamo la battaglia antifascista, la Resistenza, la Liberazione e la nostra Costituzione repubblicana, la più bella del mondo, la Costituzione che ha dato luce, che darà luce a tutte le conquiste sociali e civili dell’Italia. Riconosciamo gli anni del dopoguerra, della ricostruzione e del riscatto, del risveglio economico e sociale, dell’incontro fra il popolo e la nuova democrazia e di una crescita economica che seppe dare la mano all’emancipazione sociale, di cui Torino fu uno straordinario e imparagonabile crocevia. Riconosciamo la risposta democratica e di popolo al sanguinoso attacco stragista, terrorista e mafioso degli anni ’70, ’80 e ’90. Riconosciamo l’irrompere fin dagli anni ’60, di una cultura partecipativa nuova che aprì le porte ad un protagonismo fino ad allora sconosciuto della società civile a partire da una rivoluzione femminile, formidabile e incompiuta, capace tuttavia di modificare l’universo mentale dell’intera nostra società. Riconosciamo le battaglie, le vittorie e le sconfitte dei riformisti italiani e le loro conquiste che ancora vivono: dalla scuola pubblica, allo statuto dei lavoratori, al servizio sanitario nazionale, fino al compimento del nostro destino europeo sotto la guida di Romano Prodi. Sentiamo che questi ed altri passaggi della nostra storia nazionale vivono ancora nella politica di oggi e ci parlano non con il linguaggio della nostalgia o della nobile conservazione, ma con il linguaggio dell’impegno e della battaglia per il futuro.
E’ in atto disgregazione che rende più difficile sentirci italiani.
Ma a fronte di tutto questo, noi non possiamo non vedere che qualcosa di profondo è avvenuto e sta avvenendo. Qualcosa che ci dissocia, che ci disgrega, che ci frantuma; qualcosa che sta rendendo più difficile il sentirci italiani e concepirci come una comunità che cerca la sua strada nella dimensione europea e globale. Ecco allora il punto. Io non vi parlerò di tutto, tralascerò tante cose. Ma di questo vi voglio parlare. Noi italiani sappiamo di essere meglio di quello che ci succede. Molto meglio. Ma non vediamo la strada, non siamo sicuri del cammino. Di questo voglio parlarvi, dell’essenziale. E cioè del nostro progetto per l’Italia, delle proposte e delle promesse che vogliamo fare al nostro Paese.
Il nostro Paese scivola. E’ inutile ed è infantile nascondere la realtà. Ormai da anni il nostro Paese sta scivolando. Non perderò tempo con i numeri, ma non c’è numero, non c’è parametro, non c’è confronto che non ci dica questo. Ci allontaniamo rapidamente dai Paesi più forti d’Europa con cui abbiamo abitato per molti anni e ci avviciniamo rapidamente ai Paesi più deboli. La crisi (ormai è chiaro, al di là delle favole che ci raccontano tutti i giorni) sta accelerando questa discesa e questo distacco. In due anni abbiamo perso ricchezza quasi per il doppio rispetto all’Europa. I timidissimi segnali di ripresa noi li stiamo prendendo non per il doppio ma per meno della metà. Abbiamo perso molti metri e nella rincorsa siamo in coda. Tutto questo lo si tocca con mano nella vita reale. Redditi e consumi si indeboliscono, il debito pubblico aumenta drasticamente, il risparmio delle famiglie si assottiglia, c’è meno lavoro, si allarga un’ombra sulla tenuta dei fondamentali servizi, c’è un’inquietudine profonda per le prospettive della nuova generazione mentre cresce uno strato di cinquantenni che non riescono a trovare lavoro e reddito sufficiente. Tutto questo avviene mentre aumentano le differenze e gli squilibri. La disuguaglianza aumenta, il ceto medio si indebolisce, cresce la fascia di povertà, la ricchezza si concentra in fasce sempre più strette e sempre più distanti dalla condizione di vita normale dei cittadini e siccome il 10% della popolazione non può mangiare dieci volte al giorno, tutto questo impedisce la ripresa e la crescita. Fra nord e sud il divario aumenta sotto ogni parametro, a cominciare dall’occupazione dei giovani, e aumenta la sfiducia di poterlo colmare. Anche settori produttivi si dividono fra chi ha saputo e potuto innovare e si è collegato alle esportazioni e chi no, fra chi lavora con il pubblico e chi con il privato, fra chi ha qualche risorsa di liquidità e chi è impiccato alle banche. C’è chi non lavora e non guadagna, c’è chi lavora e non guadagna abbastanza, e c’è chi guadagna qualcosa lavorando e chi guadagna molto non facendo nulla.
Alla politica spetta un progetto comune e il berlusconismo impedisce la riscossa del Paese.
E’ sempre più difficile dire una parola che valga per tutti, è sempre più arduo unificare le intenzioni e gli interessi di uno sforzo comune. E’ questo, fondamentalmente, che sarebbe toccato alla politica: un progetto comune. E qui sta il cuore della nostra critica. Quello che chiamiamo berlusconismo e che si aggira per l’Italia da quindici anni e che in un patto di ferro con la Lega ha governato per sette anni degli ultimi nove, ha accompagnato questo scivolamento dell’Italia, ha favorito la disarticolazione del Paese, il suo ripiegamento corporativo e oggi ne impedisce la riscossa innanzitutto deformando i codici e essenziali che reggono il senso di sé di una comunità nazionale. Per descrivere questa deriva non servono molte parole, che ci siamo perfino stancati di ripetere. Facciamo il riassunto. Quell’idea deformata di democrazia, il “ghe pensi mì” non ha portato nulla di concreto nella vita degli italiani, nulla di nulla. Nessuna vera riforma per il Paese, solo una favola al giorno per i sondaggi del giorno dopo; la discussione pubblica piegata solo e sempre ai problemi suoi , mai a quelli del Paese; nel messaggio di governo una psicologia da miliardario per il quale l’ottimismo non costa niente perché c’è sempre il sole e non piove mai; all’ombra del Capo autostrade aperte alla corruzione, cordate degli amici degli amici con leggi fatte apposta per loro e case pagate dalla Fata turchina e un ribaltamento di valori. Valori a rovescio, in questi anni, e doppia morale: bella vita e comportamenti a piacimento per il Capo e la sua cerchia e la riscoperta di un’etica rigorista sulla pelle degli altri, magari del povero Welby o di tutti quelli che devono morire attaccati a mille tubi in un ospedale. Valori a rovescio, e disprezzo per la vita comune. La condizione femminile ridotta ad oggettistica del berlusconismo; lavoratori che devono andare sui tetti per farsi sentire; imprenditori onesti che fanno le cose perbene che si vedono sorpassati dalle fortune di chi ha portato i soldi all’estero o da chi non paga le multe del latte. Gliele paghiamo noi, le multe, mentre i genitori che hanno i figli alle scuole dell’obbligo fanno collette per la carta igienica o per l’ora di inglese. Un ribaltamento di valori. E l’immagine dell’Italia all’estero devastata da una politica da imbonitori. Mentre abbiamo soldati che rischiano la vita i Afghanistan riduciamo una caserma dei nostri Carabinieri a Roma ad un palcoscenico stile Gheddafi. E sotto a tutto questo c’è forse stato, negli anni di Berlusconi e della Lega qualcosa di concreto e di positivo che possiamo misurare? Ci sono forse meno tasse, per chi le paga? No, ce n’è di più, c’è il record storico delle tasse! C’è più lavoro? No, ce ne è meno. C’è meno burocrazia, c’è qualche nuova politica sociale? I Comuni stanno meglio? L’ambiente sta meglio? In che cosa è migliorato il Paese con questa lunga cura di Berlusconi e della Lega? In niente è migliorato! E questa è la ragione di fondo della crisi del centro destra, la percezione che si sta perdendo la presa e che le cose non girano. E non girano per un motivo molto semplice. Non può migliorare se chi lo governa, come avviene in tutti i meccanismi populisti è schiacciato sul presente, deve vivere del consenso quotidiano, della propaganda quotidiana, di una comunicazione pubblica messa al guinzaglio, di un dibattito pubblico messo al guinzaglio.
L’Aquila, drammatica metafora del berlusconismo. E l’Aquila, che salutiamo qui ribadendo la nostra solidarietà e il nostro impegno, non è forse la drammatica metafora di questo modo di governare? Vendersi sotto i riflettori il miracolo di un giorno per poi lasciare il problema al buio, senza una prospettiva? E non è stato così per tutto, in questi anni? Non è stato così per la crisi? A che cosa è servito dire che non c’era e vendersi ogni giorno un raggio di sole? A che cosa è servito se non a stare con le mani in mano? Ecco allora alla fine del riassunto di che cosa io accuso Berlusconi e la Lega. Di aver lasciato il Paese senza un’idea di futuro, di avergli rubato l’orizzonte, di aver trasformato il sogno in una favola, in una bolla di sapone. Qui vedo il nostro compito; aiutare l’Italia a riprendere il suo sogno. Far vivere un progetto nuovo che solleciti uno sforzo comune, in cui chi ha di più deve dare di più. Il progetto, dunque. Propongo oggi due pilastri di questo progetto il primo: più lavoro e nuovo lavoro per tornare a crescere e per vivere meglio; il secondo: una riscossa civica per tornare a crescere e per vivere meglio.
Lavoro è dignità e libertà della persona.
Il Lavoro. Si dice che il lavoro non è tutto, si dice che è una parola antica. Certo che non è tutto, certo che è una parola antica, ma questo può dirlo chi il lavoro ce l’ha, e ce l’ha in modo dignitoso e amichevole verso la sua vita e le sue vocazioni. Il lavoro con dignità, il lavoro non per morire e non solo per sopravvivere ma per vivere da persona. Il lavoro che serve, sì, per mangiare, per farsi una famiglia e avere un tetto, per allevare i figli; ma il lavoro che è anche la libertà di una persona, la sua dignità, la sua possibilità di stare con gli altri e di avere un ruolo nella società. Il lavoro dipendente, in ogni sua forma pubblica e privata, ma assieme il lavoro dell’artigiano, del commerciante, dell’agricoltore, del professionista, del piccolo imprenditore, dell’artista. Non parlano forse così gli italiani, che siano attori o idraulici o informatici o operai o giovani disoccupati: c’è il lavoro, manca il lavoro, mi piace o non mi piace il mio lavoro. E’ il lavoro, alla fine, che mette la società con i piedi per terra e che garantisce una giusta scala di valori. La nostra proposta di crescita in campo economico e sociale si organizza attorno al lavoro: più lavoro per avere più crescita. Attorno a questo concetto noi mettiamo a convergenza e a sintesi le proposte che stiamo già concretamente elaborando. Vogliamo prima di tutto un fisco che aiuti il lavoro e la crescita. Siamo pronti ad avanzare una proposta che mette al dettaglio una profonda riforma fiscale. I paletti essenziali sono questi: spostare il carico fiscale dal lavoro, dall’impresa e dalla famiglia con redditi medio-bassi verso l’evasione fiscale e verso i redditi da finanza e da patrimonio. Non è possibile che l’aliquota del primo scaglione di un lavoratore sia più alta dei redditi da finanza e da patrimonio. Semplificheremo le aliquote intermedie, aiuteremo le famiglie con un bonus figli, favoriremo il lavoro femminile, ridurremo le imposte sull’impresa a favore di una loro patrimonializzazione, con una profonda ristrutturazione di tutta la fiscalità d’impresa, faremo una fiscalità favorevole alle attività verdi e introdurremo misure precise ed efficaci per ridurre l’evasione fiscale. Lanceremo una Maastricht della fedeltà fiscale per metterci in cinque anni nella media europea. Ciò significa 40-50 miliardi di Euro con immediato alleggerimento sul carico fiscale di lavoro, impresa e famiglia e con un margine di risorse per investimenti. Con un fisco così si può fare equità, si può fare giustizia e si fa occupazione.
Sappiamo bene che per il lavoro e la crescita ci vogliono riforme e risorse. Non siamo dei demagoghi. Siamo un Partito di governo momentaneamente all’opposizione. Ci sono risorse che si possono aggiungere al recupero fiscale. Sappiamo dove e come reperirle sia mettendo le mani nella spesa corrente della Pubblica Amministrazione che è aumentata a dismisura nonostante i tagli indiscriminati alla scuola a cominciare dai beni e servizi, dalla semplificazione di strutture amministrative, da standard di costi nella sanità e nei grandi servizi, sia con entrate straordinarie da mettere in gioco a cominciare dalla messa a gara delle frequenze liberate dal digitale terrestre, sia risagomando spese di investimento, perché ai fini dell’occupazione un conto è il Ponte sullo stretto e un conto sono 500 cantieri locali sia dal lato di nuovi meccanismi che diano spinte ed orizzonte agli investimenti privati. Meglio 500 cantieri locali che il Ponte sullo Stretto. Per il lavoro sappiamo dunque dove prendere i soldi e sappiamo dove metterli. Prima di tutto li mettiamo nel sapere, nella conoscenza. Senza il sapere il lavoro di domani non c’è. Il sapere è tradito in Italia. E’ colpito dal più grande licenziamento di massa della nostra storia e da una riorganizzazione caotica capace solo non di qualificare ma di ridurre l’offerta formativa, di ricerca e di cultura.
Università: non siamo per baroni e carrozzoni.
Non è questione di conservare quel che c’è è questione di potenziare e migliorare l’offerta di conoscenza. Non ci facciano, per favore, la caricatura. Non siamo per indiscriminate sanatorie, non siamo per i baroni o per i carrozzoni. Valutazione, merito, qualità, responsabilità e autonomia delle Agenzie formative e culturali, ringiovanimento e unificazione contrattuale della ricerca italiana, nuovi contenuti nei sistemi formativi a cominciare da quelli tecnici e così via. Le dieci proposte sull’Università che abbiamo varato all’ultima Assemblea Nazionale, le proposte sulla scuola che arricchiremo nella prossima Assemblea e che porteremo davanti alle scuole che stanno aprendo in questi giorni, non rifiutano l’innovazione ma anzi la chiedono. Noi rifiutiamo la riduzione dell’offerta formativa e della ricerca, rifiutiamo la riduzione dell’obbligo, rifiutiamo l’abbandono scolastico e il nuovo analfabetismo, rifiutiamo l’idea che un professore che insegna da 15 anni sotto il titolo di precario venga trattato come un mangiapane a tradimento e lasciato per strada senza neanche un tavolo di crisi, rifiutiamo il rischio di collasso gestionale dell’Università, rifiutiamo il massacro dell’offerta culturale fatta passare in toto come culturame parassitario. Al di là dei problemi di prospettiva siamo a una vera e propria emergenza per la scuola, l’università e la cultura. Ecco una proposta per l’emergenza. Il Governo rinunci all’ossessione del controllo sull’universo televisivo. Si mettano immediatamente a gara le frequenze liberate dal digitale terrestre, incassiamo un po’ di quei miliardi che dagli Stati Uniti fino alla Germania tutti si sono presi e investiamo quei soldi subito sulla conoscenza e sul sapere. La nostra proposta per il lavoro si compone di alcuni fondamentali Progetti-paese che siamo pronti a discutere nel dettaglio. Progetti di politica industriale (in attesa che Mastro Geppetto ci faccia un ministro di legno) e cioè un piano per nuovi brevetti e la loro industrializzazione e per la qualificazione dell’offerta turistica alberghiera e dei servizi. Basta trasferimenti generici alle imprese. Per le imprese due sole cose: una fiscalità migliore e un sostegno all’innovazione. Solo l’innovazione può darci lavoro nuovo; o pensiamo forse che le marche tedesche vendano più auto perché in Germania non ci sono i tre operai di Melfi? Un Progetto-paese sulla banda larga: l’infrastruttura della rete per l’efficienza del sistema e per nuova occupazione e nuova impresa. Un progetto-paese per le ristrutturazioni edilizie incentivate, per far emergere il nero, promuovere il risparmio energetico e antisismica. Un Progetto-paese per il risparmio energetico nei trasporti, nelle imprese e nelle abitazioni. Un Progetto-paese per la casa in affitto fatto sul serio, e fuori dalle favole miracolistiche di Berlusconi o di Brunetta. Tutti piani questi che siamo pronti a descrivere, che per una parte si pagano da soli e che possono trasformare il risparmio privato in investimenti e in lavoro.
Enti locali: correggere il patto di stabilità. E gli Enti locali infine. Gli Enti locali non sono la malattia ma possono essere la medicina. Dobbiamo utilizzare gli Enti locali per far fronte al problema sociale consentendo l’occupazione nei servizi, non permettendo ad esempio che dopo i tagli del Governo vada a rischio il 30% dei servizi e dell’occupazione nel trasporto pubblico locale. Dobbiamo usare gli Enti locali per investimenti che portino subito occupazione buona migliorando le città e garantendo sicurezza alle scuole. Dobbiamo correggere dunque finalmente e subito in modo intelligente e selettivo il Patto di Stabilità finendola con la follia di lasciare nel cassetto i soldi dei Comuni virtuosi.
No a rendite e corporazioni che rubano il futuro dei giovani.
E facciamo in nome del lavoro, riforme che disturbano sì ma non costano. Apriamo e regoliamo i mercati. Consentiamo ai giovani un accesso più facile ai mestieri e alle professioni e aiutiamo i consumi e quindi l’occupazione alleggerendo il peso dei consumi obbligati: assicurazioni, benzina, costi bancari, farmaci. Abbiamo su questo proposte precise e coraggiose. Non consentiamo che le rendite e gli egoismi corporativi rubino il futuro ai giovani e il reddito alle famiglie.
L’Italia non si salva senza il Sud. E voglio inserire qui, mentre parlo di lavoro, il tema del Mezzogiorno. Qui a Torino, città italiana davvero, che è stata ed è una delle città più grandi del nord e del sud di questo paese, noi vogliamo pronunciare ancora la questione meridionale. Chi pensa di non parlarne più, chi pensa di lavarsene le mani, chi pensa di salvarsi da solo non ha capito nulla. Le possibilità di sviluppo dell’Italia sono inestricabilmente collegate alla capacità di mettere in moto le risorse potenziali del Mezzogiorno. Ma bisogna cambiare registro. C’è una sfida di cambiamento che deve rendersi visibile nel sud. Certamente quella sfida riguarda anche noi e abbiamo cominciato ad affrontarla anche a prezzo di scelte dolorose; ma attenzione a mettere tutto nel mucchio tacendo ad esempio del tradimento che il centro destra ha consumato nel sud rapinandolo, spargendo nuove illusioni come si fa oggi con la famosa Banca del Sud e soprattutto non mettere tutto nel mucchio, e lo dico in ricordo di Angelo Vassallo, senza distinguere fra chi è con e chi è contro la camorra o la mafia o la ndrangheta. Girano troppi giudizi approssimativi sul Mezzogiorno, qualche volta anche in casa nostra. Voglio dirvi qui che noi abbiamo tanta nostra gente sul fronte. Non possiamo lasciarla sola. Ho fatto per tanti anni anch’io l’amministratore. Un conto è dire no in Emilia-Romagna, un conto è dire no in Campania, in Calabria, in Sicilia di fronte a bisogni radicali, a bisogni spesso aggressivi e soprattutto di fronte ad una criminalità spietata. Se non diamo una mano agli onesti rimarranno solo i disonesti. E per dare una mano agli onesti la cosa più importante che possiamo fare è sostenere tutti assieme e ovunque, una nostra proposta nazionale sul Mezzogiorno fatta di due cose: Legalità e Lavoro. Ne discuteremo a Napoli, alla festa del Mezzogiorno e in altre occasioni che stiamo preparando. Vogliamo aprire la strada ad una nuova classe dirigente sulla base di nuove idee. E già nell’immediato diamo i segni di questa novità. Si discuterà nelle prossime settimane di come usare i soldi rimasti da fondi europei, nazionali e regionali. Per la ventesima volta il Governo dice che presenterà un piano. Comincio io a dire qualcosa di chiaro a proposito di come spendere i soldi. Primo: basta intermediazione amministrativa con le imprese dove si annidano pericoli di ogni genere. Si usino i soldi per un credito d’imposta sulla nuova occupazione che duri dieci anni, rafforzato per giovani e donne creando così una fiscalità di vantaggio per il nuovo lavoro. Secondo: i soldi diretti alle pubbliche amministrazioni centrali e locali si impegnino in servizi di cittadinanza in primo luogo i servizi della legalità rafforzando l’organizzazione della giustizia e della sicurezza, che è messa molto male, e si impegnino in servizi collettivi: frequenza scolastica, rifiuti, acqua, assistenza agli anziani. Con un metodo: i soldi solo a chi raggiunge per conto suo primi risultati; niente soldi a chi i risultati li promette soltanto. Un investimento dunque sulla cittadinanza nel Mezzogiorno perché dove sta bene un cittadino sta bene anche una impresa. Questo è il concetto.
Un’ora di lavoro stabile non può costare meno di un’ora di lavoro precario.
Parlare di lavoro vuol dire parlare anche di regole e di nuovo patto sociale. Nell’ultima Assemblea abbiamo detto parole chiare sull’unificazione de diritti al lavoro a partire dal dato di fondo che sta in poche parole: un’ora di lavoro precario non può costare meno di un’ora di lavoro stabile. Questa è una riforma su cui ci impegniamo secondo una strada in grado comunque di garantire una riduzione del costo medio del lavoro per l’azienda. Avanziamo proposte anche per l’indennità di disoccupazione e per la riforma degli ammortizzatori che si è persa totalmente nella nebbia. Lanciamo qui un allarme sulla questione degli ammortizzatori a fronte di una crisi che si aggrava. Dopo i tagli alle Regioni, con l’anno prossimo, chi ci metterà i soldi? Come risponde il Governo? Vogliamo ancora portarli via dagli investimenti, cioè dal lavoro, e magari ancora dagli investimenti al sud?
Un nuovo patto sociale, senza dividere i lavoratori. Sappiamo bene che davanti alla globalizzazione ci vuole un nuovo patto sociale. Lo vogliamo anche noi. Ma vogliamo forse farlo dividendo i lavoratori fra chi avrebbe la testa nell’800 e chi nel 2000, fra chi capisce la globalizzazione e chi no? Siamo tutti oltre il 2000 e il cervello ce l’abbiamo tutti. Il più grande risultato della destra e il più grande danno al Paese è stata la divisione del lavoro. Riconquistare l’unità del lavoro è una esigenza nazionale. Un Governo tradisce il Paese se lavora per la divisione. C’è molta tensione in giro. Se un Governo accende i fuochi, chi li spegnerà?
Gli accordi contrattuali devono essere esigibili. E’ giusto e tutti devono riconoscerlo. Ma perché sia così bisogna regolare la partecipazione dei lavoratori, regolare rappresentanza, rappresentatività e validazione degli accordi. Cerchiamo insomma nuovi strumenti di protagonismo e di partecipazione dei lavoratori come strada per la ricomposizione del mondo del lavoro e facciamo da sponda con una legislazione che sostenga questi meccanismi e aggiorni il quadro dei diritti comuni dei lavoratori. Solo un nuovo equilibrio fra legislazione e negoziazione può permetterci di reggere gli effetti della globalizzazione sulle condizioni di lavoro. La contrattazione da sola non basterà.
Caro Tremonti la 626 non è un lusso! No alla mistica meno Stato più società
E teniamo ferme in particolare le normative sulla sicurezza così come ci ammonisce la tragedia di ieri. Altro che “il lusso della 626.” Caro Tremonti! E il Governo per favore, caro Sacconi, non ci proponga la mistica del meno Stato più Società: uno slogan che può servire a tanti usi buoni e cattivi, compreso quello di oscurare i diritti, compreso quello di dividere e frantumare di più un Paese già diviso. No. Stato e Società si devono dare la mano. Diritti, partecipazione e sussidiarietà si devono dare la mano. Solo così si tiene assieme un paese.Il risveglio italiano come ho detto è fatto di lavoro ed è fatto di riscossa civica. Legalità, onestà, regole, fedeltà ai grandi principi costituzionali. Legalità vuol dire prima di tutto lotta alle mafie. I nostri eroi sono Falcone e Borsellino, sono Vassallo. Gli eroi degli altri non ci piacciono. Pretendiamo verità e giustizia in tutte le zone d’ombra che pesano da anni sulla coscienza del Paese. Vogliamo salutare e incoraggiare i risultati delle forze dell’ordine, della magistratura che spesso il Ministro dimentica di ricordare e rafforzare i loro strumenti e non ridurli come si è cercato di fare con la legge sulle intercettazioni che l’opposizione ha stoppato. Vogliamo diffondere una cultura della legalità sostenendo le organizzazioni civiche e l’iniziativa dei Giovani Democratici che saluto qui e che sono impegnati in un rafforzamento organizzativo che sosterremo. Legalità significa lotta alla corruzione. Ci impegniamo a cancellare tutte le leggi che hanno favorite la corruzione e le cricche. Leggi sulla protezione civile, sull’ambiente, sulla cultura, sugli appalti pubblici. Ci impegniamo per una riforma della giustizia fatta per i cittadini e non per uno solo. Le proposte avanzate nella nostra ultima Assemblea sul processo civile, i tempi e la garanzia del processo penale, l’organizzazione della giustizia vanno nel senso di migliorare un servizio che oggi funziona male per tutti i cittadini. Ci impegniamo per una legge contro le posizioni dominanti sulla comunicazione. Faremo vivere la proposta già avanzata per fare della RAI un’azienda libera, fuori dalla vergognosa sudditanza di oggi. Ci impegniamo a sostenere le norme che abbiamo già presentato sul conflitto d’interessi. Ci impegniamo a parametrare i costi della politica a quelli dei Paesi europei. Ci impegniamo per una legge elettorale che dia lo scettro ai cittadini per scegliere i Parlamentari e che sostenga un bipolarismo civile ed europeo non esposto a rischi plebiscitari che ci potrebbero portare in altri continenti. Ci impegniamo a sostenere il nostro progetto di riforme istituzionali e di rafforzamento e semplificazione del sistema parlamentare.
Federalismo delle responsabilità e non delle chiacchiere. Ci impegniamo per un federalismo non delle chiacchiere, non dei decreti mensili con dentro nulla; ad un federalismo delle responsabilità che consenta a chi ce la fa di fare un passo in più e che garantisca uguaglianza nei servizi essenziali per ogni cittadino italiano così che resti chiaro che per noi davanti ad una malattia seria non c’è né emiliano, né calabrese, né marocchino. Ci impegniamo per la libertà della rete e per l’accesso alla rete come grande servizio dei tempi nuovi. Ci impegniamo ad una politica per i consumatori già iniziata e totalmente abbandonata oggi.
Garantire presenza femminile nei luoghi cruciali.
E vogliamo impegnarci sul grande tema dei diritti civili rilanciando in particolare, e lo faremo con la Conferenza delle Donne del PD, la questione femminile. La condizione femminile resta paradigma di tutte le differenze, di tutte le disuguaglianze, di tutte le diversità, un traino culturale fondamentale di tutti i percorsi di uguaglianza dei diritti. A partire dalla Conferenza delle Donne sosterremo una nuova legislazione sulla parità secondo un principio molto semplice: lo stato deve garantirsi che ci sia una presenza femminile nei luoghi cruciali delle decisioni politiche ed economiche. Sosterremo la legge contro l’omofobia. Denunceremo con ancora più forza chi invece di risolvere il problema dell’immigrazione, come toccherebbe ad un Governo, lo coltiva e lo usa per un tornaconto politico. Sull’immigrazione noi non siamo ingenui né buonisti. Sappiamo che per il futuro del Paese è necessario dare una buona regolazione a questo grande fenomeno. Non è giusto che l’inevitabile disagio che accompagna grandi migrazioni si scarichi socialmente sulla parte più debole della popolazione nella sua vita comune, nella struttura delle città, nell’offerta dei servizi. Le fasce di reddito meno disturbate da questo disagio diano il loro contributo, luogo per luogo, a proposito di federalismo fiscale, perché davanti alla pressione dei nuovi poveri non si riducano le prestazioni per i residenti in difficoltà. Si cominci finalmente una politica per l’integrazione, sola chiave per tirare una riga davvero sulle irregolarità e i comportamenti deviati.
Chi nasce in Italia è italiano. E si cominci dai figli degli immigrati. Cinquantamila bambini che nascono ogni anno e che non sono né immigrati né italiani. Vogliamo dire a questi bambini chi sono? Noi glielo diciamo: sono italiani. E infine e più di ogni altra cosa noi ci impegniamo a difendere la nostra Costituzione contro l’offensiva populista e plebiscitaria. Non accetteremo che venga messa nel ripostiglio delle cose vecchie. Quando abbiamo fatto qualcosa di buono in questo paese è perché abbiamo rincorso la nostra Costituzione e ancora dobbiamo rincorrerla perché è più avanti di noi. Ricordiamoci che abbiamo già vinto un referendum contro chi voleva stravolgerla. Se ci proveranno ancora li sconfiggeremo ancora. Pensiamo dunque ad una grande piattaforma di leggi che sostengono una riscossa civica del nostro Paese. Le leggi non sono tutto ma possono aprire la strada a nuovi comportamenti. Basta con i peccati veniali che sono sempre quelli che fai tu o che fanno i tuoi amici. Un peccato è un peccato, un reato è un reato, un imbroglio è un imbroglio, una maleducazione è una maleducazione. E cominciamo da noi Democratici. Noi vogliamo essere gente perbene perché vogliamo che l’Italia sia un Paese perbene.
Cari amici e compagni,
queste nostre idee ci guideranno oggi per l’opposizione e domani per il governo del Paese. Vogliamo discuterle non solo dentro la politica ma con ogni forza viva della società. Vogliamo discutere le idee di chiunque sia preoccupato per la realtà e le prospettive dell’Italia così come abbiamo fatto nei giorni scorsi sull’importante documento della Conferenza Episcopale Italiana in preparazione della Settimana Sociale.
Nuovo Ulivo per alleanza affidabile. E vogliamo discutere queste idee con le forze di centrosinistra disposte a stringere con noi un patto che abbiamo voluto chiamare Nuovo Ulivo. Nuovo Ulivo per dire che meccanismi di alleanza non affidabili come l’Unione non li vogliamo più. Non voglio più Governi che disfano al mattino quello che hanno fatto la sera prima. Chi ci sta si vincola ad un progetto comune e ad un accordo politico e offre la disponibilità ad un percorso che aiuti la riorganizzazione di un centrosinistra di governo. Chi ci sta conviene sulla centralità dell’Europa, su una comune piattaforma europea che stiamo discutendo con tutte le forze progressiste d’Europa per un rilancio della dimensione federale europea e per nuove politiche di intervento sul lavoro e sulla crescita. Chi ci sta conviene con noi che non potranno essere i partiti soli a interpretare il risveglio italiano. I nostri Partiti devono mettersi all’aria aperta, al servizio di un movimento in cui vivono il protagonismo e la speranza di tanti. Nei tempi nuovi e con un progetto nuovo deve tuttavia suonare ancora una canzone popolare. Questo intendiamo.
Noi vogliamo che a partire dal Nuovo Ulivo si cerchino le condizioni, se esistono, per un patto di governo con le altre forze dell’opposizione parlamentare. Vogliamo che a partire dal Nuovo Ulivo si cerchino le condizioni per discutere con tutti, con tutti quelli disponibili, fuori e dentro il Parlamento, di regole del gioco, di riforma delle istituzioni di difesa della Costituzione. La democrazia non è solo affare nostro. Bisogna che tutti se ne preoccupino. Questo intendiamo parlando di alleanza per la democrazia. A chi critica plebiscitarismo Berlusconi chiediamo coerenza e concretezza. Ci si sta scontrando aspramente nel centrodestra. Una parte della destra sembra cercare una prospettiva più europea e costituzionale mettendo a critica le piegature plebiscitarie di Berlusconi. Se è così chiediamo coerenza e concretezza a cominciare dal rifiuto di ogni norma che discrimini i cittadini davanti alla giustizia.
Con questa chiara impostazione e quindi sapendo bene quello che vogliamo e qual è la nostra ricetta noi affrontiamo i problemi e le opportunità di questa fase convulsa. Una fase politica di cui non possiamo conoscere la durata ma di fronte alla quale dovremo mostrare combattività e tenuta.
Crisi conclamata del centrodestra. Si rimettano al Presidente della Repubblica e alle Camere.
Noi siamo di fronte ad una crisi politica conclamata del centrodestra che non è in condizione di garantire al Paese qualcosa che assomigli ad un governo vero. Dopo che il Partito del predellino si è ribaltato alla prima curva cercano ancora di promettere al Paese una stabilità che non può esserci, una governabilità che non può esserci, tutti lo sanno. E tutti sanno che il Paese ha problemi molto seri. Vengano in Parlamento e riconoscano la crisi politica e si rimettano al Presidente della Repubblica e alle Camere. Così indica la nostra Costituzione e fin che non avremo la Costituzione di Arcore devono rispettare questa sulla quale hanno giurato.
Disponibili a un breve governo di transizione per la nuova legge elettorale e poi al voto.
Se tutto ciò avvenisse, noi abbiamo già chiarito quale sarebbe la nostra disponibilità. Un breve Governo di transizione con al primo punto una legge elettorale nuova che metta in condizione di sicurezza democratica le prospettive del Paese. Devo ripeterlo ancora: una legge che ti consente di nominare i parlamentari e magari con un 30-35% di voti poter decidere tutto è diventata una minaccia vera all’equilibrio dei poteri previsto dalla nostra Costituzione. Dunque un breve Governo di transizione e poi andare a votare confrontando nuovi e più chiari progetti politici. Loro dicono di no. In questi giorni stanno mettendo su un nuovo registro. Dopo tante esibizioni muscolari e parole tonanti i nostri Rodomonti vogliono traccheggiare. Vogliono far battere la palla non sapendo bene dove tirarla. Partono campagne acquisti. Si cercano parlamentari collaborazionisti promettendo la rinomina. Chi ha abbaiato padanamente in questi giorni si prepara a non mordere. Diciamolo chiaro: da PDL e Lega una commedia vergognosa. Siamo nella crisi economica e sociale più acuta dal dopoguerra. Le risposte che non sono venute fin qui come mai potranno venire da qui in avanti?
Noi siamo pronti, sono loro ad aver paura delle elezioni. Sia chiaro: se nei prossimi mesi avanzerà l’irresponsabile traccheggiamento di un governicchio si aspettino da noi una opposizione durissima per ogni ora di ogni giorno a venire. Avevano tirato fuori le elezioni anticipate, poi se le sono rimesse in tasca. Vedrete che al primo inciampo faranno di nuovo la faccia truce, minacceranno il voto, diranno che ci stritolano e che noi abbiamo paura. Ma se abbiamo così paura noi perché ve le siete rimesse in tasca voi le elezioni? Quando ci saranno le elezioni anticipate (perché tre anni sono troppo lunghi, ognuno lo vede), noi comunque saremo pronti perché quelle elezioni avranno un padre e una madre: Berlusconi e la sua crisi, Berlusconi che fallisce nonostante la sua maggioranza galattica, i suoi miracoli, i trombettieri al seguito e i fedeli scudieri. La Lega prima di tutto. La Lega, quella della spada che non conosce fodero; quella che fa da sottovaso al Cavaliere, che sta vicino vicino allo zio per prenderne l’eredità e non vuole badanti di mezzo. Che cosa ha fatto la Lega dei suoi valori e delle sue promesse? I Comuni stanno forse meglio da quando a Roma governano i federalisti del week end? E i famosi territori che cosa hanno visto di nuovo oltre alle ronde che si sono perse anche loro nel bosco? Hanno inventato forse qualcosa di paragonabile a quel che hanno inventato le nostre culture: gli asili nido, le scuole dell’infanzia, i servizi per gli anziani, le aree artigianali, l’urbanistica, tutto abbiamo inventato. Loro nulla; e la moralità pubblica, cari leghisti e l’impronta popolare di cui vi vantate che fine hanno fatto? Non ci sarebbe stata nessuna legge ad personam se non ci foste stati voi a votarla. Vi ho già detto: per favore non parlateci più di Roma ladrona se siete lì a tenere il sacco a quattro ladroni di Roma. Noi con voi non abbiamo mai fatto gli snob. Vi parliamo chiaro e semplice, così come fa la nostra e la vostra gente. Vi chiediamo che cosa fate lì, che cosa ci state a fare con il miliardario? Attenzione: uno che va troppo ad Arcore può lasciarci la canottiera! Argomenti ne abbiamo a bizzeffe per combattere e anche per divertirci un po’. Noi dobbiamo solo raccogliere tutte le nostre forze e metterle in campo. Le forze del centrosinistra, innanzitutto, alle quali avanziamo l’idea del Nuovo Ulivo. Adesso ognuno è di fronte alle sue responsabilità. Finiamola col gioco per cui per far vedere quanto uno è contro Berlusconi se la prende con il PD. Noi siamo rispettosi di tutti, noi vogliamo una coalizione univoca e coesa e siamo pronti a discutere con la coalizione tutti i percorsi comprese ovviamente, in caso di elezioni, le primarie. Le abbiamo inventate noi e quindi nessuno può tirarci per la giacca. Prima il comune progetto fondamentale, poi le persone: questo è il nostro metodo, perché il problema dell’Italia (dovremmo averlo già visto!) non lo risolve una persona sola. Dobbiamo comunque sapere cari amici e compagni, che grande parte della prospettiva dell’alternativa sta sulle nostre spalle. Noi, prima di ogni altro, abbiamo un dovere verso il futuro del Paese. C’è tanta gente che ha bisogno di noi. C’è l’Italia che ha bisogno di noi.
PD: siamo un collettivo, non tiriamoci la palla in casa. Non possiamo più guardarci la punta delle scarpe. Abbiamo scelto di non essere un partito personale perché non crediamo ad una democrazia personale. Noi siamo un collettivo e ognuno di noi in ogni luogo deve caricarsi della sua responsabilità, sapere che maneggia una proprietà indivisa. Non accetterò che ci si tiri la palla in casa, se la palla è di là nel loro campo. In questo futuro prossimo, nel futuro che abbiamo qui davanti la gente avrà bisogno di percepire la solidità, l’unità e la forza di chi governerà il Paese. Noi siamo un bel Partito, di donne e uomini liberi che discutono e partecipano; abbiamo con noi tanta gente generosa e onesta che condivide gli ideali e che ha nella testa e nel cuore la voglia di una Italia migliore, più civile, più giusta. Noi siamo ben più forti delle nostre debolezze. Questo siamo noi. Non ci faremo leggere al di sotto di quel che siamo. E c’è un solo modo per esserne sicuri, per rafforzare l’unità, per sentirci una grande squadra: muoversi assieme, combattere assieme, rimboccarsi le maniche tutti assieme. Mentre lavoriamo per il progetto, noi ci muoveremo. Voglio per l’autunno una grande mobilitazione che coinvolga oltre ai nostri militanti e ai nostri circoli tanti e tanti dei tre milioni di cittadini che hanno partecipato un anno fa alle primarie. Chiedo a tutti un aiuto per trasformare la rabbia, l’insofferenza e l’impazienza che sentiamo intorno a noi in energia positiva. Chiedo a tutti un aiuto per metterci a faccia a faccia con gli italiani bussando e ascoltando. Ho finito, cari amici e compagni. Dobbiamo suonare le nostre campane, tenere il passo di un lavoro non semplice, forse non breve ma appassionante e decisivo. Tutti assieme, compagni e amici, con intelligenza, con convinzione, con entusiasmo, con passione rimbocchiamoci le maniche e prepariamo giorni migliori per l’Italia.
da www.partitodemocratico.it
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da www.lastampa.it
“Fisco, innovazione e legalità”. A Torino la ricetta di Bersani
«La nostra immagine all’estero devastata dal berlusconismo». Il segretario del Pd
propone un nuovo Ulivo
Territorio, legalità, federalismo responsabile, innovazione. Con un discorso fiume il segretario Bersani chiude la festa del Pd a Torino e lancia la sfida al governo, un governo che- parole del numero uno democrat- ha devastato «l’immagine dell’Italia all’estero con una politica da imbonitori».
Camicia bianca e niente giacca, Bersani sale sul palco tra gli applausi di migliaia di militanti. «Nessuno pensi di venirci a spiegare il radicamento! Abbassi la cresta chi vuole darci lezioni di territorio o farci la caricatura come fossimo un partito in pantofole. Abbiamo scarpette e scarponi e se ne accorgeranno», esordisce, dicendo che «è stata una grande e bellissima festa. Chi ha voluto aggredirla non è riuscito a sfregiarla. Nelle nostre feste, a differenza di ormai tutte le altre, si discute anche con chi non la pensa come noi, si discute anche con gli avversari politici, si discute dentro le tensioni della politica e della società».
Ed ancora «si discute nelle piazze, all’aperto, secondo le normali regole della convivenza e dell’ordine pubblico. Penso che meriteremmo un ringraziamento da tutti quelli che sperano ancora che il nostro Paese possa essere un Paese civile. In ogni caso non accetteremmo mai, come chi ha cantato Francesco De Gregori in questa piazza, che la gente rimanga chiusa in casa la sera». Il segretario punta sull’economia, snocciola le proposte del Pd sul nuovo fisco e sul lavoro. «Solidarietà e civismo sono idee sorelle. Se vogliamo ritrovare la strada bisogna sapere che non può stare da soli. È la crisi stessa che lo dice, l’unico motore della crescità può essere solo l’equità», dice. «Berlusconi e la Lega hanno lasciato il paese senza un’idea di futuro, di avergli rubato l’orizzonte, di aver trasformato il sogno in una favola, in una bolla di sapone». E allora, bisogna ripartire dal fisco, dai lavoratori. «Siamo pronti a discutere una riforma fiscale ed abbiamo una nostra piattaforma», scandisce Bersani. «Non è possibile – ha detto Bersani – che l’aliquota del primo scaglione di un lavoratore sia più alta dei renditi da finanza e da patrimonio». Dopo aver ribadito che il Pd «è un partito di governo momentaneamente all’opposizione» espone il programma fiscale del Pd. «Con un fisco così si può fare equità, si può fare giustizia e si fa occupazione».
Bersani ci prova a riaccendere la scintilla, e l’applausometro lo premia: «Qui vedo il nostro compito – spiega – aiutare l’Italia a riprendere il suo sogno. Far vivere un progetto nuovo che solleciti uno sforzo comune, in cui chi ha di più deve dare di più. Il progetto dunque. Propongo due pilastri di questo progetto: più lavoro e nuovo lavoro per tornare a crescere e vivere meglio. Il secondo: una riscossa civica per tornare a crescere e vivere meglio».
Infine, Il Pd dovrà costruire un Nuovo Ulivo «con le forze di centro sinistra disposte a stringere un patto» ha detto Bersani chiudendo la Festa Democratica. «Nuovo Ulivo – ha proseguito – per dire che meccanismi di alleanza non affidabili come l’Unione non li vogliamo più».
Ed è ovazione per la proposta di una grande mobilitazione in autunno: «Voglio per l’autunno una grande mobilitazione che coinvolga oltre ai nostri militanti e ai nostri circoli tanti e tanti dei tre milioni di cittadini che hanno partecipato un anno fa alle primarie» ha detto il leader del Pd concludendo a Torino il suo comizio. «Chiedo a tutti un aiuto per trasformare la rabbia, l’insofferenza e l’impazienza che sentiamo intorno a noi in energia positiva – ha aggiunto Bersani – . Dobbiamo suonare le nostre campane, tenere il passo di un lavoro non semplice, forse non breve ma appassionante e decisivo. Tutti insieme con intelligenza, con convinzione, con entusiasmo, con passione, rimbocchiamoci le maniche e prepariamo giorni migliori per l’Italia».
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Governo di transizione, Bersani apre «Nuova legge elettorale e poi si voti»
«Crisi conclamata, l’esecutivo si rimetta al Colle e alle Camere. Governicchio? Faremo opposizione durissima». Il leader PD dedica un pensiero a Vassallo. Poi attacca: NON SIAMO UN PARTITO IN PANTOFOLE
TORINO – Un pensiero ad Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica ucciso il 6 settembre, per il quale «il presidente del Consiglio non ha trovato neppure una parola». Poi, un saluto alla grande platea democratica. Pier Luigi Bersani rispolvera il «Cari compagni…» e chiude, con un lungo intervento, la Festa democratica a Torino. «Il berlusconismo – attacca il segretario Pd dal palco – impedisce la riscossa del Paese». La crisi nel centrodestra è «conclamata», secondo il numero uno dei democratici, e proprio per questo, la richiesta avanzata all’esecutivo e a Silvio Berlusconi in particolare è quella di prendere atto di quanto sta avvenendo: «Vengano in Parlamento e riconoscano la crisi politica e si rimettano al Presidente della Repubblica e alle Camere». chiede Bersani. Il leader del Partito democratico ribadisce poi la disponibilità a un «breve governo di transizione con al primo punto una legge elettorale nuova che metta in condizione di sicurezza democratica le prospettive del Paese» poi andare a votare «confrontando nuovi e più chiari progetti politici». L’avvertimento a riguardo è chiaro: «Se nei prossimi mesi avanzerà l’irresponsabile traccheggiamento di un governicchio si aspettino da noi una opposizione durissima per ogni ora e ogni giorno a venire».
«IL GOVERNO NON ACCENDA LA TENSIONE SOCIALE» – «Alla politica – spiega il numero uno dei democratici – sarebbe toccato un progetto comune. E qui sta il cuore della nostra critica. Quello che chiamiamo berlusconismo e che si aggira per l’Italia da 15 anni e che in un patto di ferro con la Lega ha governato per sette anni degli ultimi nove, ha accompagnato questo scivolamento dell’Italia, ha favorito la disarticolazione del Paese, e oggi ne impedisce la riscossa deformando i codici essenziali che reggono il senso di una comunità nazionale». Quindi un avvertimento all’esecutivo: «C’è molta tensione in giro – dice Bersani -. Se un governo accende i fuochi chi li spegnerà? Attenzione!». Per il leader Pd è necessario «riconquistare l’unità del lavoro » perché «un governo tradisce il Paese se lavora per la divisione».
LE REAZIONI – «Bersani – replica il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti – finge di non sapere il motivo per cui gli italiani chiedono al governo di andare avanti: perché è riuscito a rafforzare i conti pubblici e a portare il Paese fuori dalla crisi. Con la sinistra al potere invece avremmo corso il rischio della Grecia». «In questa situazione – gli fa eco Fabrizio Cicchitto – pensare di surrogare e sostituire Berlusconi e il Pdl è il sogno di una notte di mezza estate e di chi si è inventato che il Pdl è finito».
«NOI NON SIAMO IN PANTOFOLE» – «Nessuno pensi di venirci a spiegare il radicamento! Abbassi la cresta chi vuole darci lezioni di territorio o farci la caricatura come fossimo un partito in pantofole. Abbiamo scarpette e scarponi e se ne accorgeranno» è l’affondo del leader del Pd. Da Torino, Bersani non risparmia critica alcuna al premier, accusandolo di avere «valori al rovescio» e «una doppia morale». «Con il “ghe pensi mi” – è la convinzione di Bersani – non è arrivato nulla di buono, di concreto nella vita degli italiani, questa è un’idea deformata di democrazia». Il Cavaliere e il leader della Lega Umberto Bossi hanno la responsabilità, secondo il numero uno del Pd, «di aver lasciato il Paese senza un’idea di futuro, di avergli rubato l’orizzonte, di aver trasformato il sogno in una favola, in una bolla di sapone». «Il nostro compito – sostiene Bersani – è aiutare l’Italia a riprendere il suo sogno, a far vivere un progetto nuovo e colleghi di uno sforzo comune in cui chi ha di più deve dare di più». I pilastri di questo progetto, secondo il leader dei democratic, sono due «il primo: più lavoro e nuovo lavoro per tornare a crescere e per vivere meglio; il secondo: una riscossa civica per tornare a crescere e per vivere meglio». «Voglio per l’autunno una grande mobilitazione – è la richiesta di Bersani – che coinvolga oltre ai nostri militanti e ai nostri circoli tanti e tanti dei tre milioni di cittadini che hanno partecipato un anno fa alle primarie».
«I NOSTRI SOLDATI E I PALCHI A GHEDDAFI» – Frecciatina di Bersani, infine, anche su Gheddafi: «Mentre abbiamo soldati che rischiano la vita in Afghanistan, riduciamo una caserma dei nostri carabinieri a Roma ad un palcoscenico» per il leader libico, ha detto il segretario Pd.
Redazione online di www.corriere.it