È giusta la richiesta, avanzata da Confindustria, di una convocazione straordinaria da parte del governo delle forze sociali per mobilitare tutte le energie disponibili per la crescita economica. Ma è un errore la disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici del 2008 decisa ieri da Federmeccanica. In questo modo non si favorisce la via della ripresa del dialogo. Proprio perché è giunto il momento di ricercare le condizioni per nuove relazioni sindacali e per la definizione di un quadro normativo per la categoria che sia condiviso da tutte le organizzazioni sindacali. Uno sforzo necessario se si vuole affrontare al giusto livello la sfida della competitività nella globalizzazione. Sfida che richiede come ingrediente fondamentale un alto senso di responsabilità e di coesione.
Anche se, come assicura il ministro Tremonti, non ci dovesse essere alcun crollo, l’autunno che sta iniziando ci prospetta una situazione produttiva e occupazionale da brividi, con migliaia di aziende in difficoltà – è emblematico il caso Fiat – e 600mila posti di lavoro a rischio tra pubblico e privato.
Se mai ce ne fosse stato (e non ce n’era), di tempo da perdere non ce n’è più.
Non è solo questione di emergenza. Per superare la crisi e sostenere la sfida della globalizzazione serve un nuovo patto sociale, capace di indirizzare verso lo sviluppo gli sforzi della politica, dell’imprenditoria e del sindacato. La competitività globale spinge a individuare, tra impresa e lavoro, nuove ragioni di scambio. Bisogna coinvolgere i lavoratori nelle scelte strategiche, bisogna adottare nuovi modelli di partecipazione. Gli esempi cui far riferimento, in Europa, non mancano.
Con questo governo, però, non è possibile alcun patto. Sono i fatti ad affermarlo. Un patto sociale richiede un intervento propositivo da parte dell’esecutivo, com’è stato nel 1993 e nel 2007 con Ciampi e con Prodi, quando furono sottoscritti gli accordi sulla concertazione. Le scelte sin qui compiute dal centrodestra sono andate tutte in direzione diametralmente opposta. La concertazione è stata cancellata, non solo dall’agenda, ma dallo stesso vocabolario politico della maggioranza. Ogni azione, quando si è trattato di affrontare questioni di politica economica, crisi aziendali o scadenze contrattuali, è stata finalizzata a dividere il sindacato. Da più di quattro mesi, nonostante inviti e sollecitazioni autorevolissime, non c’è un ministro dello sviluppo economico. E non c’è motivo di ritenere che si possa assistere a un cambiamento di rotta, tanto più ora con una maggioranza, anche ufficialmente, ormai a pezzi.
Per questo è ancor più indispensabile un’assunzione di responsabilità da parte di aziende e sindacato, cui il Partito democratico non farà mancare il proprio appoggio. Anche in questo il caso Fiat è emblematico. Quello della contrapposizione che si è imboccato, è un vicolo cieco. È necessario uscirne. Se si vuole rispondere alla sfida della competitività devono prevalere confronto e dialogo. Non ci sono alternative.
L’azienda dovrebbe reintegrare nei fatti i tre operai di Melfi licenziati e dovrebbe aprire il tavolo di confronto a tutte le organizzazioni sindacali. Sarebbe un atto di disponibilità importante, in vista del tavolo previsto per la prossima settimana, mentre sarebbe un errore grave escludere, come sta accadendo, chi – in questo caso la Fiom – non ha firmato un accordo. Non è mai accaduto e finirebbe col dar forza a chi si erge a paladino della contrapposizione.
Nell’auto, ancor più che in altri settori, la competizione globale impone la ricerca di nuovi equilibri tra le esigenze dell’impresa e dei lavoratori. Per questo non servono però deroghe al contratto nazionale. Né serve un contratto ad hoc per il settore. Imboccare questa strada sarebbe sbagliato. Significherebbe aumentare le tensioni e creare nuove ragioni di scontro. E’ possibile invece prevedere, all’interno del contratto nazionale dei metalmeccanici, norme specifiche per l’auto. Turni, straordinari, organizzazione del lavoro potrebbero avere – come si è fatto in passato per la siderurgia – una diversa disciplina, garantendo quella competitività necessaria a sostenere la sfida del mercato. Prima di tutto, però, serve la volontà di dialogo e un governo che non stia alla finestra.
Da Europa Quotidiano 08.09.10