La destra che è nata a Mirabello – soggetto politico con esistenza parlamentare ma non ancora partitica – costituisce del berlusconismo la contestazione interna, ma anche, al tempo stesso, l´antitesi frontale.
Un paradosso che dice molte cose sulla politica del nostro Paese, e che va decifrato. Fini ha rotto con Berlusconi simbolicamente, in modo radicale. Gli ha contestato il riflesso padronale, l´incapacità di vera leadership (cioè il deficit di capacità di convincimento e di mediazione), l´intolleranza repressiva definita illiberale e “staliniana”, l´interpretazione cesaristica e personalistica della politica, il soffocamento della dialettica democratica, la distruzione degli equilibri e delle regole costituzionali, il populismo. Solo le parole “conflitto d´interessi” non sono state esplicitamente pronunciate – il rischio di essere identificato con la sinistra sarebbe stato per Fini troppo alto – ; ma molto di quello che esse denotano, cioè la confusione sistematica fra pubblico e privato, era contenuto nell´idea di politica che è stata proposta: una politica saldamente istituzionale, costituzionale, repubblicana, orientata al bene comune della nazione e non di Uno o di pochi.
Dunque, per quanto riguarda le forme (che sono sostanza) è stata irrimediabilmente lesa la maestà del Capo, è stato violato il Carisma dell´Unto dal popolo. Se poi si passa ai contenuti – la fine della lotta di classe e l´impegno comune per lo sviluppo, il valore dell´unità nazionale, la necessità di un nuovo spirito civico, l´enfasi sulle forze di polizia come servitori dello Stato, l´esigenza della giustizia sociale centrata sulle famiglie, il patto fra le generazioni, l´inclusione degli immigrati “in regola” – si vede che sono temi propri di una politica non chiusa ma certo tradizionale, che si serve di una retorica e di una concettualità tipica delle famiglie politiche del conservatorismo europeo. Naturalmente, sono temi e toni ben lontani dal mercatismo e dall´affarismo – il cuore individualistico e anomico della destra berlusconiana – , e anche dal populismo carismatico che ne è la versione popolare, di massa. Un populismo che è il volto nuovo dell´antico riflesso qualunquistico dell´anima italica, del reciproco disinteresse fra politica e cittadini, che invece di consumarsi nell´astio e nel mugugno si è espresso, nell´età berlusconiana, nel deresponsabilizzante Amore per il Capo e nell´Odio per il Comunista.
Dunque, la destra futurista ed europea che esce con Fini dal morto Pdl è più vecchia che nuova? E nuovo, contemporaneo, è invece il berlusconismo? La soluzione di quello che sembra un paradosso è un altro paradosso: il “nuovo” berlusconiano è destinato a invecchiare e a deperire, in un´avventura senza frutti se non per chi ne ha potuto personalmente approfittare; e il “meno nuovo” di Fini è invece una prospettiva che suona nuova perché da molto tempo l´Italia non conosceva una destra “normale”. Tale non è stato, ovviamente, il fascismo, né la Democrazia Cristiana; e destra normale non è stato neppure quell´Msi da cui Fini proviene: l´ipoteca neofascista non gli consentiva di esprimere una politica di conservatorismo democratico. Ma dopo che Fini, con il suo partito, è stato “sdoganato” e inglobato nell´orbita di Berlusconi che ne aveva bisogno per iniziare la sua avventura, dal “lavacro” di Fiuggi, dall´abbandono della “casa del padre”, dalla “conversione” alla liberaldemocrazia non è risultato un clone di Berlusconi, un neo-liberista con vocazione cesaristica. Ne è risultato, invece, un politico che ha tradotto nel linguaggio e nei concetti della liberaldemocrazia una parte del patrimonio ideale della sua antica destra: la parte conservatrice ma non retriva né reazionaria, la parte più legata ai temi della statualità e di un certo organicismo politico. Che questa traduzione sia anche un tradimento della destra missina è quanto sostengono gli ex-colonnelli; Fini sta invece affermando che oggi la destra vera, solida, riconoscibile, è la sua, legittima erede di quanto di presentabile c´era in quella vecchia. In ogni caso, quando questa destra si è confrontata con l´altra, berlusconiana, che l´aveva incubata, ha capito di essere molto diversa: di essere un´opzione politica e non una scommessa azzardata, e di essere nuova in quanto propone tematiche inedite nel nostro Paese: se le parole sono antiche – legge, ordine, dovere, sviluppo – la sintassi liberaldemocratica (più gollista che thatcheriana, ma in realtà sui generis) risulta di fatto inedita.
Fini può quindi dire di voler fare quello che Berlusconi aveva detto di voler fare, ma che non ha saputo fare: il partito liberale moderato di massa; e di essere quindi l´erede anche del Cavaliere oltre che di Almirante (come ha detto a Mirabello). Tuttavia, esce dal Pdl non come un “nostalgico”, ovviamente, né come un eretico, ma come il sacerdote di una religione diversa, che è maturato dentro un corpo che non gli è mai appartenuto davvero anche quando, proveniente da un´altra storia, lo accoglieva (più che comodamente).
Insomma, per una via tortuosa – che si snoda dal neofascismo attraverso il berlusconismo – l´Italia ha ora la possibilità di avere una destra normale: nuova se non altro perché lontana dalle forme del suo passato remoto e recente, di cui afferma di incarnare adeguatamente le autentiche istanze. La nascita di questa destra – politicamente molto più spendibile di quella di Berlusconi – avrà senza dubbio forti riflessi sui precari equilibri di tutto il sistema politico italiano; naturalmente, a patto che la proposta di Fini trovi credibilità presso gli elettori di destra, che si vedono trattati, forse per la prima volta, da cittadini adulti e non da minorenni o da sudditi. gh
Pubblicato il 7 Settembre 2010