Si può fare a meno di una politica industriale? La domanda non è retorica, perché in sede europea la politica industriale è, in realtà, proibita. A Bruxelles, da sempre, si identifica la politica industriale con pratiche protezioniste, che contrastano con i principi di concorrenza fondativi dei trattati comunitari. Naturalmente, il protezionismo riappare sempre sotto nuove forme in diversi settori e diversi paesi dell’Unione. Ad esempio, un paese come l’Inghilterra, che gode di un mercato finanziario molto sviluppato, tende a concentrare su di sé la massima quantità di scambi finanziari, proteggendo la propria specializzazione (acquistando, ad esempio, le borse di altri paesi). Oppure, grandi imprese pubbliche fingono di essere private, come l’Electricité de France, le Landesbank in Germania, l’Eni in Italia, realizzando formidabili protezioni entro i propri confini. La produzione militare è sempre stata protetta, perché anche nella Comunità europea le politiche nazionali di difesa hanno un trattamento particolare. Grandi conglomerate, non perseguite come forme monopolistiche da anti trust europeo o nazionale, concentrano nel paese di origine direzione e proprietà. In fondo, anche la differenziazione del prodotto, così comune tra noi,come il DOC,è una forma di protezionismo, tanto più forte quanto più il DOC si estende a quantità sempre più grandi (ma se la qualità non si mantiene, la protezione si diluisce). Quando, da noi, si invoca una politica industriale, si vuole affermare tutt’altra cosa. Qualche esempio può essere utile: la difesa dei posti di lavoro in imprese in crisi è una politica industriale, e non protezionistica,quando si fonda sull’ipotesi che l‘impresa chiuderebbe per difetto di management,di finanziamento o di proprietà; il sostegno alla ricerca e all’innovazione quando porta ad un miglioramento estensibile a tutto il mercato; lo stimolo allo sviluppo dell’impresa locale è politica industriale e non protezionistica se valorizza risorse non utilizzate; anche la politica che fa impresa con risorse e gestioni pubbliche non è protezionistica, se porta al successo l’impresa e alla sua cessione al mercato. La “green economy”, così popolare, è forse, oggi, la più grande politica industriale: e ha un significato così poco protezionistico, che la stessa Comunità europea, talvolta ipocriticamente, la raccomanda come strategia di sviluppo. È noto, ad esempio, che basterebbe qualche norma o legge che accelerasse l’obsolescenza di processi e prodotti nocivi all’ambiente, per generare domanda e produzioni sostenibili e non protezionistiche. Forse il criterio di fondo di una politica industriale è quello di suscitare nuove imprese e nuovi processi senza perciò ridurre fatturati e redditi in altre aree o settori dell’Unione europea. Vista in questo modo, la politica industriale non riguarda solo l’industria, ma si applica a qualsiasi settore, da quello agricolo e della pesca, a quello dei servizi e della finanza. Centrale è però, sempre, il ruolo pubblico: dello Stato centrale e delle Regioni. Il nostro paese non pratica da anni una politica industriale, nel senso appena indicato. Anche nella green economy, salvo incentivi all’automobile, peraltro poco green e molto aziendalisti, e a qualche forma di energia rinnovabile (con prodotti largamente acquistati all’estero), non si è costruita una politica di ampio respiro. Le priorità economiche in Italia sono più legate alla riduzione di deficit e debito pubblici che alla crescita di un Pil sostenibile, ed è bene ricordare che un miglioramento della finanza pubblica non implica affatto un Pil maggiore e maggiore occupazione, mentre preclude la possibilità di finanziare, appunto, la politica industriale. È probabile che non si persegua una politica industriale, specie in tempi di crisi come l’attuale, perché il suo maggior pregio, la riduzione della disoccupazione, non è considerato un beneficio economico: altrimenti il governo non si farebbe scudo degli ammortizzatori sociali, quasi ad esaurire le politiche industriali nelle politiche assistenziali. Queste sono importanti, ma costano di più di politiche industriali che aumentano i posti di lavoro. Non si ricorda quasi mai lo spreco della disoccupazione: tanta forza lavoro non utilizzata e, perciò, tanta impresa, tanto gettito fiscale, tanto benessere perduti: e quanti diritti indeboliti. Oggi stiamo vivendo una forte regressione sociale con la disoccupazione e l’inoccupazione, che colpisce da un lato le donne, spingendole (200.000 in un anno) a tornare nel tradizionale ruolo domestico, e dall’altro i giovani, chiudendoli nell’utero familiare, annullando anni di progresso civile. Siamo così lontani da considerare lo spreco di forza lavoro la più grave perdita economica, che le nostre statistiche non registrano il tasso di sottoccupazione – le ore di lavoro perdute – l’unica vera misura dello spreco. Abbiamo bisogno di una politica industriale non per acquistare prestigio in Europa e nel mondo, ma per valorizzare la ricchezza del nostro patrimonio lavorativo.
L’Unità 04.09.10
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Non si ferma la valanga della cig. Nei primi otto mesi più 60%
Nei primi otto mesi dell’anno sono state autorizzate 826,4 milioni di ore di cassa integrazione, con un aumentodel60,5%rispetto al periodo gennaio-agosto del 2009. Lo comunica l’Inps, sottolineando che quasi il 25% di questo totale è rappresentato dalla cassa integrazione in deroga (224,5 milioni), che lo scorso anno invece pesava per meno del 10% sul dato complessivo delle autorizzazioni. «Una vera e propria valanga che non accenna ad arrestarsi», commenta per la Cgil Fulvio Fammoni. «Se si considera che in tutto il 2009 le ore di cassa sono state in totale 914 milioni, si può dedurre che l’incremento a fine 2010, rispetto all’anno precedente, sarà impressionante, visto che il numero di ore autorizzate supererà di alcune centinaia di migliaia il miliardo di ore autorizzate». Nel mese di agosto,come prevedibile, le ore di cig diminuiscono (32,7%) rispetto a luglio, ma aumentano del 40,1% rispetto ad agosto 2009, passando dai 54,6 milioni a 76,6 milioni. Quasi la metà (35,5 milioni) delle ore richieste sono state in deroga (cigd), in crescita rispetto al mese di luglio (+5,8%). Cassa ordinaria (cigo) e straordinaria (cigs) di agosto sono invece in calo rispetto al mese precedente, rispettivamente -67,5% e -38,8%. Nel confronto con il 2009 si conferma la tendenza alla diminuzione in valore assoluto delle richieste di cigo, passate da 27,6 milioni dell’agosto 2009 ai 9 milioni di quest’anno (-67,3%), che portano le somme del periodo gennaio-agosto a 249,8 milioni di ore autorizzate contro i 349,8 milioni di ore dei primi otto mesi del 2009 (-28,6%). Per la cigs l’andamento è opposto: cresce sia il dato tendenziale del mese (+115%) sia quello del periodo (+203,4%).
DISOCCUPAZIONE Un altro segnale allarmante riguarda l’andamento delle domande di disoccupazione, che a luglio registra una diminuzione tendenziale del 9,9% rispetto al luglio 2009, ma una crescita congiunturale, passando dalle 83mila di giugno a 152mila. L’Inps sottolinea che il dato mese su mese è dovuto «all’effetto stagionale delle iscrizioni nelle liste dei precari della scuola ». Calano invece le domande di mobilità sia su base mensile che annuale: a luglio sono state 6.500 contro le 7.200 di giugno e contro le 8.900 del luglio 2009.
L’Unità 04.09.10
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“Allarme cassa integrazione in 8 mesi boom del 60%”, di Valentina Conte
Crescita forte dei sussidi in deroga che sono quasi triplicati in un mese. Un miliardo di ore di cassa integrazione. È lo spaventoso record verso cui si avviano i lavoratori italiani ancora immersi nella crisi. Solo ipotizzato, per ora. Eppure, accostati i dati 2009 (914 milioni di ore autorizzate) a quelli dei primi otto mesi del 2010 (già a 826,4 milioni di ore), il triste traguardo sembra a un passo. E potrebbe essere addirittura superato, al ritmo attuale di 100 milioni di ore al mese.
Da gennaio ad agosto, comunica l´Inps, il ricorso alla cassa si è impennato del 60,5% rispetto ai primi otto mesi del 2009. E se il dato mese su mese consola (-32,7% ad agosto rispetto a luglio), «in linea con l´andamento stagionale», non così quello rispetto all´agosto 2009 (+40%). «In agosto si rafforza una tendenza che notiamo da quasi un anno», spiega Antonio Mastrapasqua, presidente Inps. «L´incremento è quasi tutto attribuibile alla cassa integrazione in deroga, quindi a un allargamento della platea dei beneficiari, che prima del 2009 non potevano accedere all´ammortizzatore sociale». Così, su 76,6 milioni di ore autorizzate ad agosto, quelle richieste in deroga pesano quasi per la metà (35,5 ore), da un quinto dell´anno passato. Mentre la cig ordinaria crolla del 67,3% (agosto su agosto) e del 28,6% nei primi otto mesi, la cig straordinaria mette il turbo: +115% rispetto a luglio, +203,4% rispetto ad agosto 2009.
«Una vera e propria valanga», commenta Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil. «È vero che la tantissima cassa in deroga testimonia la gravità della situazione nelle piccole imprese italiane, ma è anche vero che si tratta di una misura attivata da molte altre aziende, anche grandi, che hanno esaurito i periodi di cassa ordinaria e straordinaria».
La cig ordinaria, difatti, non può superare le 52 settimane. Motivo per cui le aziende con più di 15 dipendenti ricorrono poi alla straordinaria. Ma il vero e proprio boom, registrato dall´Inps, della cassa in deroga, finanziata dalle Regioni e ora in bilico dopo i tagli della manovra agli enti locali, spiega più di ogni altro dato la situazione italiana. Pensata come strumento per i settori esclusi dalle altre misure – come l´edilizia, il commercio, la piccola industria meccanica – e per le pmi, la cig in deroga è l´unico strumento esteso recentemente, causa crisi, anche ai precari.
«Gli ultimi dati dimostrano proprio questo: sono i precari a pagare di più la crisi», commenta Nazzareno Mollicone, segretario confederale Ugl. «La cig in deroga non solo è opportuna, ma deve essere confermata e rinnovata pure nei prossimi mesi». In linea anche la Cisl. «È la riprova che il nostro mercato del lavoro fatica ad agganciare la crisi», ammette il segretario confederale Giorgio Santini, auspicando una declinazione a breve del nuovo Piano triennale del lavoro.
La Repubblica 04.09.10
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“Crisi. Altro che ripresa! L’unico settore che tira è quello della Cassa Integrazione”, di Amerigo Rivieccio
Le ore di cassa integrazione autorizzate per il mese di agosto sono cresciute complessivamente del 40,5% rispetto allo stesso mese di un anno fa passando da 54,6 milioni a 76,6 milioni di ore.
A sostenere il dato l’andamento della cassa in deroga, che risulta pressoché triplicata essendo passata dai 12,1 milioni di ore di agosto 2009 ai 35,5 milioni dell’agosto di quest’anno. A comunicarlo è l’Inps che in un comunicato diffuso oggi ha reso pubblici i dati sull’andamento della Cig in questo scorcio di 2010. Apprendiamo così che in totale, nei primi otto mesi del 2010, sono state autorizzate ben 826,4 milioni di ore di cig con un incremento fortissimo rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente (+60,5% rispetto a gennaio-agosto del 2009), con la componente rappresentata dalla cig in deroga che raggiunge quasi il 25% del totale con 224,5 milioni di ore e che lo scorso anno pesava invece per meno del 10% sul totale.Come tutti gli anni anche nel corso del 2010 le richieste di cig si sono ridotte rispetto al mese di luglio in conseguenza, come spiega l’Inps, della stagionalita’ delle attivita’ economiche .
In particolare per il mese di agosto 2010 sono state complessivamente autorizzate 76,6 milioni di ore di cig: quasi la meta’ (35,5 milioni) sono state quelle richieste in deroga (cigd), che crescono rispetto al mese di luglio (+5,8%). Si è quindi avuta una crescita di oltre il 40 %.rispetto al dato dell’agosto 2009 quando si erano registrate 54,6 milioni di ore complessive di cig.
E mentre da Seul il governatore della Banca di Italia, Mario Draghi, impegnato in una riunione del Financial Stability Board di cui è Presidente, annuncia con un certo ottimismo che la “ripresa si sta allargando, in Germania consumi e investimenti stanno crescendo.” annunciando che “la ripresa viene dalla Germania e si sta diffondendo nel resto d’Europa” i sindacati italiani sono preoccupati da dati così neri.
Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil dichiara, anche in relazione all’invito lanciato dal Presidente Napolitano a contrastare la disoccupazione giovanile, “Ancora una volta Napolitano richiama la centralità del lavoro, dello sviluppo, e delle politiche industriali del nostro paese. Nella situazione di crisi attuale, all`indomani dei dati sull`occupazione che dipingono una situazione molto grave, il presidente della Repubblica manda un monito al quale non si può sfuggire. Questa deve essere la priorità di tutti”.
Fammoni ha poi proseguito sollecitando il Governo ad “intervenire sulla cassa integrazione e dare certezze per il 2011. Si deve prolungare il periodo dell`indennità di disoccupazione. E` necessario trovare una soluzione per tutti quei giovani che sono esclusi dagli ammortizzatori sociali. Abbiamo sempre detto che la manovra economica non avrebbe risolto i problemi del paese e avrebbe avuto un effetto di carattere depressivo. Mi sembra che i dati confermino queste previsioni. Abbiamo bisogno di non perdere lavoro e di non chiudere imprese. Vanno tutelati i lavoratori e allo stesso tempo va rilanciato lo sviluppo. Nei due casi le chiavi principali d`azione sono in mano al governo. Uno degli strumenti fondamentali è quello del fisco, come elemento di sviluppo per far ripartire i consumi e quindi la produzione”.
Il segretario confederale della CGIL, ricordando i recenti dati sulla disoccupazione giovanile, che è al 26,8 per cento, e sulla quota di cittadini inattivi, ovvero esclusi dai processi formativi e che hanno ormai rinunciato a cercare lavoro che ha fatto segnare il 37,8 per cento, ha poi concluso che : “Non è vero che stiamo meglio di altri paesi europei, come dice il ministro del Lavoro – serve soltanto a giustificare quello che non viene fatto. In Italia abbiamo un tasso di occupazione più basso di dieci punti rispetto al resto d`Europa. Ci sono gli inattivi, persone che smettono di cercare lavoro perché scoraggiate, che continuano ad aumentare. Abbiamo il tasso più alto d`Europa di disoccupazione giovanile: non solo un giovane su quattro non lavora, ma quelli che lavorano sono quasi tutti precari, con stipendi bassi e nessuna tutela”.
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