Più risparmi e più sprechi. Vale per la Gelmini il vecchio paradosso del mulattiere di Casal Pusterlengo che, per incrementare i guadagni, limitava i costi della paglia.
Alla fine le uscite divennero zero ma senza paglia l´asino morì. Dunque la mulattiera Gelmini toglie la paglia agli studenti, ne intruppa trenta per classe con punte di trentacinque/trentasette a Roma, a Viterbo, a Pavia, a Mantova, a Reggio Calabria… La nostra ministra mulattiera elimina gli insegnanti precari ma trasforma in precari gli allievi, li rende paurosi come i vecchi. Degrada infatti i laboratori in pollai, abbatte il trend del capitale cognitivo, diminuisce la quantità e la qualità del sapere. Insomma, ammazza l´asino.
Andate a guardare i dati della nostra inchiesta e capirete il rumore sordo che si leva dalla scuola prima ancora che cominci. C´è un malessere distribuito nei vari provveditorati del sud e del nord, i presidi si sentono accerchiati, c´è qualcosa di più e di peggio rispetto alla ritualità e se volete al conformismo della ciclica protesta.
Sicuramente fa paura il peggioramento in un solo anno: si passa da una media di 24 per classe a una media di 30 per classe. È un arretramento verso i record negativi degli anni cinquanta. Ma quella era un´Italia che voleva a tutti i costi uscire fuori dall´analfabetismo diffuso e dunque le scuole erano sovraffollate perché il paese non riusciva a formare abbastanza insegnanti. Non c´erano case, mancava l´acqua corrente, c´era necessità di pane e pasta. Era ovvio che non avessimo neppure professori. Quello era un sovraffollamento di speranza, questo è un sovraffollamento disperato.
La legge italiana pone il limite di 27 allievi, ma per ragione di sicurezza: 27 ad aula dunque più che a classe. E si tratta, come tutti sanno, di ambienti spesso degradati per vetustà, uso, affollamento, scarsi investimenti sulla manutenzione, sulla pulizia e sull´igiene. In realtà quel numero-limite non dovrebbe mai essere raggiunto anche per ragioni didattiche generali. Non c´è infatti bisogno di spiegare che più basso è il numero dei ragazzi e più alta è la resa, più felice, più brioso e più produttivo è l´asino di Casal Pusterlengo. E non stiamo parlando dei sostegni ai dislessici e ai ragazzi problematici né dell´attenzione che sempre più meriterebbe la presenza dei molti stranieri, ma della didattica complessiva, vale a dire della formazione della classe dirigente italiana, del capitale umano di una nazione.
Come si vede non è, come vuol far credere la Gelmini, un problema di politica scolastica, dove ad un modello umanistico, fondato sulla filosofia e sull´italiano, se ne contrappone uno aziendalistico fondato sulla matematica e sull´inglese. Il punto è che nessun modello può sopravvivere all´assenza di insegnanti. La verità è che la scuola è diventata una spesa improduttiva e la cultura ragionieristica del governo sta rivelando tutta la sua miopia. Altro che scontro tra sinistra e destra, tra sessantottardi e postmoderni. Qui siamo al dominio della mulattiera di Casal Pusterlengo.
E diciamo la verità: c´è qualcosa di misterioso in questa Gelmini aventiniana che rifiuta di incontrare i precari, non vuole parlare con gli insegnanti perché «fanno politica», non capisce di essere lo strumento di una filosofia ottusa, usa toni di battaglia e dà la colpa ai governi precedenti, è in guerra con i professori, con i presidi, con le famiglie e con i nostri figli, assume atteggiamenti spavaldi e guasconi a differenza dello stesso Tremonti che si muove con mille circospezioni, cerca aperture e alleanze anche a sinistra, prova a conquistarsi il rispetto perché sa di fare cose pesanti. La Gelmini invece mantiene sempre quell´aria leggera e decisa, non cerca mai un accordo, non pensa di dovere stemperare nel tempo la durezza della manovra-riforma, non chiama a raccolta ma a al contrario allontana ed espelle.
Ecco, spiace dirlo, ma senza la ragionevolezza, nella scuola italiana che sta per cominciare, si rischiano la violenza, i manganelli, le auto rovesciate, in una parola sola l´ingovernabilità. La ministra sta aizzando la scuola. Ha messo al primo posto i numeri e ora i numeri abbaiano contro di lei.
La Repubblica 04.09.10
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“La scuola scoppia, ecco le superclassi nei licei anche 35 alunni per aula”, di SARA GRATTOGGI e SALVO INTRAVAIA
Allarme dei docenti: sicurezza a rischio e didattica penalizzata. Superato in molte città il tetto di 27. La Cgil: colpa del taglio dei professori. Lezioni al via in aule sempre più affollate. Cresce il numero delle classi “fuorilegge”: secondo un decreto ministeriale del 1992, infatti, sono da considerarsi non in regola quelle classi composte da oltre 25 alunni. E per l´anno scolastico in arrivo nelle scuole italiane si arriva ad oltrepassare i 30 studenti per aula fino ad arrivare a trentasette. E la sicurezza? I dirigenti degli uffici periferici del ministero che approntano gli organici fanno finta di non accorgersene perché, in caso di incidente, la responsabilità ricade sul preside. Mentre i docenti si dovranno confrontare con superclassi dove insegnare è quasi un´impresa e gli alunni dovranno mettersi d´impegno per non rimanere tagliati fuori.
Il ministero ha stabilito un limite di 27 alunni per classe, ma quando i resti non consentono di formarne un´altra di almeno 20 il tetto salta. È il caso del liceo Tacito a Roma, dove su sette nuove prime due saranno formate, rispettivamente, da 35 e da 33 studenti. E si può arrivare in vari casi anche a 37 allievi. I numeri dell´anno scolastico alle porte sono più eloquenti di qualsiasi speculazione: tra poco più di una settimana, la scuola italiana avrà 20mila alunni in più dell´anno scorso che troveranno spazio in 3.700 classi in meno. Un giochetto che consente a viale Trastevere di tagliare un bel numero di cattedre.
Ma cosa accade quando il professore entra in una superclasse? Renato Del Noce, insegnante tecnico-pratico di Fisica all´Iti Meucci di Massa, spiega che «quando hai a che fare con classi di 29/30 alunni tutto si complica». «Non ci sono – prosegue – laboratori in grado di ospitare 30 alunni, mancano le strutture adeguate. E – aggiunge – sei spesso costretto a dividere la classe: una parte lavora in laboratorio con me e l´altra metà studia la teoria in classe col collega». Non solo. «Specialmente nelle prime classi composte da ragazzini provenienti da scuole medie diverse – prosegue – tutto diventa più difficile: passi diverse settimane a portare tutti gli alunni allo stesso livello e non è detto che ci si riesca. Può capitare che per mandare avanti la maggior parte della classe non si riescano a seguire i ragazzini con più difficoltà che poi si perdono per strada».
Un problema che si verifica anche in Germania e che sta determinando una fuga verso le scuole private. Nei licei francesi la media è già di 28 alunni. In Italia, sono le sezioni di scuola dell´infanzia e le prime classi delle superiori che rischiano di esplodere.
Alla materna ci si avvia verso i 24 bambini per classe di media, il dato più alto degli ultimi 15 anni. Per trovare numeri più alti occorre andare indietro di diversi decenni, quando in classe c´erano anche 40 alunni. Nel 2009/2010 sono state 28 le province italiane dove il limite di 25 alunni per classe di media è stato superato. Record a Mantova e Pavia con, in media, oltre 27 piccoli per classe.
Al classico e allo scientifico le prime scoppiano. Ventinove alunni per classe a Viterbo al classico, e 28 a Reggio Calabria allo scientifico. Valori che si avvicinano a quelli degli anni ´50.
Il decreto del ministero dell´Interno del 26 agosto 1992, “Norme di prevenzione incendi per l´edilizia scolastica”, prevede un “affollamento massimo ipotizzabile” di 26 persone per aula: 25 alunni, più il docente. Con un numero superiore di alunni, se non sono state previste misure particolari, l´esodo in caso di incendio può diventare problematico. Un´altra norma prevede un tot di metri quadri per alunno. «La ministra – spiega Domenico Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil – non si rende conto che in queste condizioni manca qualsiasi requisito di sicurezza. I tagli al personale docente hanno fatto aumentare il numero di alunni per classe e quello al personale Ata non garantirà neppure un adeguata vigilanza nei corridoi. Un disastro».
La Repubblica 04.09.10
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“Per tenerli ci vuole carisma ma cosÌ prima o poi scappano”, di MARCO LODOLI
Le classi si affollano, diventano una calca ingovernabile di attese, speranze, tensioni, distrazioni. Trenta e passa studenti per classe sono un problema che nessun insegnante può risolvere, o meglio: sono trenta problemi trascurati, trenta storie affogate nell´indifferenza. Soprattutto nelle periferie delle nostre grandi città l´insegnante deve necessariamente svolgere un doppio lavoro: spiegare la sua materia, farla entrare in un modo o nell´altro nelle teste dei suoi recalcitranti studenti, programmare, interrogare, correggere, il solito lavoro, insomma, anche se ogni anno diventa più difficile mantenere viva un´attenzione e raggiungere dei risultati. E poi c´è il fattore umano.
Un tempo gli alunni erano cognomi su un registro, colonne di caselle da riempire di voti per poi tirare una media finale. Oggi questi ragazzi si sono guadagnati un volto, un nome di battesimo, vogliono essere ascoltati perché a casa i genitori hanno troppo da fare, perché la televisione non li ascolta, tacciono perché vogliono parlare e dire le cose più vere, parlano e vogliono tacere perché l´adulto li comprenda solo da uno sguardo. Sono complicati, camminano sul bordo, sono piccoli e vorrebbero essere grandi e per questo spesso si fanno del male, hanno attorno vicende spaventose, si sentono perduti. Il mondo oggi è un tritacarne, solo i ragazzi più tosti riescono a cavarsela, e a un prezzo altissimo. Gli altri tremano. E spesso lasciano il banco indecisi su quale direzione prendere: a volte imboccano la porta e scompaiono per sempre, a volte arrivano alla cattedra e chiedono aiuto, raccontano, si sfogano, aspettano una parola giusta. Il livello di confusione e di dolore è altissimo, basta un nonnulla e il ragazzo è fuori dalla scuola, fuori dalla sua età, fuori da quello che gli spetta. Per questo trenta studenti per classe sono troppi.
I nomi tornano a essere cognomi, le storie si trasformano in grida o in silenzio. E a dicembre la classe si spopola, avviene una sorta di selezione naturale ferocissima. I più deboli svaniscono nel nulla. Li chiami a casa, promettono di tornare, dietro la loro voce si sentono strilli oppure il rimbombo del vuoto. Promettono, ma non tornano più. Non si sa dove finiscono, su qualche muretto, in compagnia di balordi, oppure ingrassano guardando la televisione dalle undici di mattina a notte fonda.
Oggi non si può più tenere una classe esageratamente numerosa. I vasi di coccio si sbriciolano in due mesi. E poi c´è qualche straniero che non capisce ancora perfettamente la lingua, qualche disabile che andrebbe seguito con più affetto, con più cura, e poi ci sono tutti gli altri che non ce la fanno proprio a stare sei ore ammucchiati in un´aula scrostata, stretta, soffocante. L´insegnante apre il libro, prova a spiegare la sua lezione, ma lo capisce subito che non ce la farà mai a tenere quelle energie unite e concentrate sulle sue parole. La voce si abbassa impercettibilmente, le frasi si accasciano a poco a poco. Ci vuole carisma, ci vuole fascino, bisogna essere degli ipnotizzatori: ma il prof-pastore sente che le trenta e passa pecore se ne vanno, che nessun fischio le può trattenere. E gli dispiace, perché la scuola è ancora un recinto sicuro, in posto caldo dove crescere: fuori per chi si allontana e si perde ci sono solo i lupi.
La Repubblica 04.09.10
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