"Tra gli schiavi dei pomodori senza tetto né legge", di Francesca Paci
Ho paura, alla fine ci spareranno dalle case anche qui», ammette il diciannovenne ivorense Gibril riavvolgendo il sacco a pelo nella masseria abbandonata tra i campi che circondano Palazzo San Gervasio, al confine tra Basilicata e Puglia, dove secondo il Cnel il livello d’integrazione sfiora i minimi nazionali. Gibril è al suo debutto agrario, ma sullo sfondo incombe il fantasma di Rosarno, la rivolta, tutti contro tutti. Quando due mesi fa ha perso il posto da saldatore a Vicenza, dov’era emigrato nel 2007, si è rimboccato le maniche e ha raggiunto l’esercito di sanculotti che, seguendo il ciclo delle stagioni, raccoglie i frutti maturi del tacco dello stivale. Spalle indispensabili, nell’Italia in cui l’invecchiamento della popolazione è direttamente proporzionale alla voglia di zappare la terra. Eppure quei mille centrafricani, magrebini. rumeni, che come Gibril «campeggiano» alle porte di Palazzo San Gervasio, sono una bomba a orologeria: per quanto il paese chiuda gli occhi, il tic tac turba le languide notti estive. Sebbene affrontata sempre come un’emergenza, l’alluvione agostana di braccianti stranieri investe da 20 anni …