Un esercito di cassintegrati a zero ore: oltre 650 mila nei primi sette mesi di quest´anno. È come se l´intera popolazione di una città come Palermo fosse rimasta a casa da gennaio a luglio senza mai andare a lavorare. È un pezzo del nostro sistema industriale che si sta insabbiando, per il quale i segni di ripresa potrebbero non arrivare mai. A elaborare i dati dell´Inps sulla cassa integrazione (ordinaria, straordinaria e in deroga) è stato il dipartimento Settori produttivi della Cgil, secondo il quale ciascun lavoratore in cig a zero ore ha perso circa quattromila euro di retribuzione, ricevendo unicamente il sussidio al reddito. Un “buco” potenziale nella domanda interna che si avvicina ai tre miliardi di euro. Non a caso la Confcommercio ha lanciato poche settimane fa un vero allarme sul calo dei consumi in Italia.
I dati della Cgil coincidono sostanzialmente con quelli dell´Unità per la gestione delle crisi presso il ministero dello Sviluppo economico dove arrivano i casi più difficili, le aziende che appaiono quasi spacciate. Valga per tutti l´esempio della “Antonio Merloni” (elettrodomestici) che occupa circa quattromila lavoratori distribuiti in tre stabilimenti (nelle Marche, in Emilia Romagna e in Umbria) e che da anni ormai si dibatte alla ricerca di una soluzione. Per questo – sostengono i sindacalisti di Corso d´Italia – il 2010 è destinato ad essere «l´anno del boom della cassa integrazione». Analisi non diversa, nella sostanza, da quella svolta ieri dall´ad di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera: «Ci stiamo rimettendo in moto ma non abbiamo neanche lontanamente raggiunto la velocità di cui avremmo bisogno per creare nuova occupazione».
La tesi della Cgil, allora, è che dai dati della cassa integrazione stia ormai emergendo l´Italia che dalla crisi non è mai uscita. La conferma arriva anche dall´aumento (+17,45 per cento) delle richieste di cassa integrazione per fallimento, per ricorso all´amministrazione controllata (+30 per cento) o al concordato preventivo (+ 14,95 per cento). «La cruda realtà – è scritto nel dossier – è che la ripresa non investe tutto il Paese e la forbice tra le attività in ripresa e il resto dell´economia comincia ad allargarsi». In sostanza da una parte c´è chi, forte anche di prodotti innovativi, si è rapidamente spostato sui mercati asiatici, sudamericani e anche medio orientali, oppure ha potuto agganciarsi alla locomotiva tedesca; dall´altra chi aveva fatto del mercato domestico la principale area di sbocco e ora non riesce più a reggere la competizione.
Può spiegarsi anche in questo modo la crescita (+ 10 per cento circa) della richiesta di cassa integrazione tra giugno e luglio, nonostante qualche segnale di ripresa mondiale. Nel dettaglio, la cassa ordinaria è aumentata mese su mese dell´1,64 per cento; la cassa straordinaria ha fatto registrare un +26,32 per cento e la cassa cosiddetta “in deroga” si impennata in un anno (da luglio 2009 a luglio 2010) del 414 per cento.
Secondo la Cgil la galoppata della cassa integrazione straordinaria (in un anno + 216,48 per cento) confermerebbe che ormai «molte aziende continuano a non riprendere il lavoro oltre il tetto massimo delle 52 settimane previste per la cassa ordinaria». Inoltre sarebbero «sempre più i lavoratori che restano disoccupati senza più coperture».
Le grandi e medie imprese hanno assorbito, per ora, soprattutto la cassa ordinaria e quella straordinaria, ma, come la stessa Fiat, si stanno “spostando” verso il bacino della cassa in deroga. A questa si sono rivolti i settori un tempo privi di questo tipo di ammortizzatore sociale: edilizia, commercio, piccola industria. La cassa in deroga (finanziata dalle regioni) è diventato lo strumento più utilizzato nel 2010. E ora – secondo la Cgil – si potrebbe porre anche un problema di risorse visti i tagli che con la Finanziaria sono stati fatti agli enti locali.
La Repubblica 31.08.10