Fuoco alle polveri. La «guerra-lampo» di Silvio Berlusconi sta per cominciare da dove non è mai finita: la giustizia. E ancora una volta il movente non è un sano riformismo istituzionale, ma un malsano opportunismo personale. Il presidente del Consiglio si sente di nuovo trascinato verso l´abisso dal fantasma dei suoi processi. Ne ha in piedi ancora tre, che potrebbero costargli una pesante condanna penale: il processo Mills, il processo Mediatrade sui diritti televisivi e quello sui fondi neri per i diritti tv di Mediaset. Lo protegge uno «scudo» solido, ma temporaneo: la legge sul «legittimo impedimento». Su questa ennesima legge «ad personam» pende il giudizio della Consulta. Se questo scudo salta, il premier rischia grosso.
Per questo ha urgente bisogno di un altro salvacondotto normativo, che gli consenta di difendersi «dal» processo e non «nel» processo, come ha sempre fatto. Per questo ha nuovamente subordinato il futuro politico del Paese al suo destino processuale, la sopravvivenza del governo all´esigenza dell´impunità, il calendario parlamentare al casellario giudiziario. La nuova «arma» di cui intende valersi, nella prossima campagna d´autunno contro le «toghe rosse» e la «sinistra comunista» che le fomenta, sarà la legge sul cosiddetto «processo breve». Qui si combatterà la battaglia politica con il presidente della Camera, e quella giudiziaria con il tribunale di Milano. L´ha annunciato lui stesso la settimana scorsa: «Non si può indulgere dinanzi al tentativo che minoranze militanti della magistratura cercano di porre in atto, fin dal 1994, di abbattere il governo legittimo del Paese». Per questo invoca «nuove norme per processi non brevi, ma in tempi ragionevoli». La formula è anodina, e più facile da «vendere» sul mercato mediatico. Ma la sostanza non cambia. Berlusconi sta parlando della legge sul «processo breve», sulla quale i poli hanno duellato tra la metà del 2008 e l´inizio del 2010. «È indispensabile approvare le norme già varate dal Senato – ammonisce il presidente del Consiglio – che dovranno essere votate in tempi celeri dalla Camera».
Su questa sfida il Cavaliere si giocherà la verifica con Fini, e il governo si giocherà la fiducia delle Camere. Per spiegare agli italiani cos´è e come nasce il «processo breve», e per far capire la posta in gioco alle anime belle del vecchio e del nuovo centro, pronte ad offrire una sponda al premier dicendo «sì alla riforma della giustizia purchè non si facciano norme su misura», è utile ripercorrere il cammino di questo ddl, generato dai sogni del Berlusconi-presidente e intrecciato ai bisogni del Berlusconi-imputato.
Il prologo: salvate il soldato Mills
Dalla vittoria elettorale del 13 aprile 2008, come già accadde nel ‘94 e nel 2001, la priorità assoluta del premier è sottrarsi al giudizio penale. Si tratta solo di scegliere il «mezzo». Il ventaglio delle possibilità, in quella fase, è ancora ampio. Il 13 maggio 2008 il Consiglio dei ministri approva il primo disegno di legge sulle intercettazioni. Il 15 il Pdl annuncia un emendamento al decreto sicurezza sul «patteggiamento allargato» e l´imminente riproposizione del Lodo Schifani, che la Corte costituzionale aveva bocciato nel 2004. Il giorno dopo Berlusconi scrive una lettera proprio al presidente del Senato, per caldeggiare l´emendamento sul patteggiamento allargato che blocca per un anno i processi penali per fatti commessi fino al 2002 e con pene inferiori ai 10 anni. Una norma «ad personam» (la prima della nuova legislatura) perfettamente modulata sulle impellenze del premier nel processo Mills: il reato che gli viene contestato è stato commesso nel 1999, e il capo di imputazione, corruzione in atti giudiziari, prevede una pena da un minimo di 3 a un massimo di 8 anni di carcere.
Le udienze si susseguono a ritmo serrato. Per il capo del governo inizia la solita corsa contro il tempo, che impone l´immediata e totale «militarizzazione» del Parlamento. Il 25 maggio, alla Confesercenti, tuona contro i «magistrati politicizzati, metastasi della democrazia». Il 27 maggio si completa la prima fase dell´offensiva: il Consiglio dei ministri approva il Lodo Alfano, con l´immunità per i 4 presidenti (della Repubblica, del Consiglio e delle due Camere). Il Parlamento lo converte pochi giorni più tardi e Napolitano, nonostante le pressioni della piazza, lo promulga il 23 luglio. Il Cavaliere è al sicuro. La «riforma della giustizia nell´interesse dei cittadini» torna nei cassetti. Non ce n´è più bisogno, visto che l´unico cittadino che aveva un interesse immediato ha ottenuto la legge che aspettava. Ma è solo una tregua.
L´ottobre nero del 2009
L´anno nuovo è dominato dallo scandalo delle escort, e dalle dieci domande di «Repubblica» cui Berlusconi si rifiuta di rispondere. Ma a ottobre il premier subisce un colpo durissimo. Il 7 la Consulta boccia il Lodo Alfano: viola la Costituzione agli articoli 3 e 138. Il presidente del Consiglio schiuma di rabbia. Attacca la Corte e il presidente della Repubblica, «espressione della vecchia maggioranza». Si dichiara «tradito» da Napolitano perché (come riferisce «il Giornale» di famiglia) «c´era un patto con il Capo dello Stato per gantire una sentenza favorevole della Consulta». Insinuazione gravissima e ovviamente falsa, che costringe il Quirinale a diffondere un duro comunicato di smentita. Saltato il Lodo Alfano, lo spettro dei suoi processi lo minaccia di nuovo. Il 10 ottobre il Cavaliere va all´attacco in tv: «Sono il maggior perseguitato dalla magistratura in tutte le epoche… Sono stato sottoposto a 106 processi, tutti finiti con assoluzioni e due prescrizioni». Non dice il vero. Negli anni, i processi che lo hanno visto imputato sono in tutto sedici. Dodici sono già conclusi, di cui solo tre con sentenze di assoluzione, mentre per gli altri nove si è salvato grazie alle prescrizioni della pena e alle estinzioni del reato (le une e le altre decise da leggi che lui stesso ha fatto votare alle Camere). In quel momento ne restano pendenti quattro: il processo Mills (corruzione in atti giudiziari), il processo sulla compravendita dei diritti Mediatrade (appropriazione indebita), il processo per i fondi neri sui diritti tv Mediaset (falso in bilancio) e un processo romano che riguarda due senatori (istigazione alla corruzione).
I più insidiosi, per il capo del governo, sono i primi due. Pochi mesi prima (il 17 febbraio 2009) il tribunale di Milano ha condannato in primo grado David Mills a 4 anni e 6 mesi: l´avvocato inglese è colpevole di aver ricevuto 600 mila dollari dagli uomini di Berlusconi, per testimoniare il falso in due processi a carico del Cavaliere (All Iberian e tangenti alla GdF). La posizione del premier è stata stralciata, grazie al Lodo Alfano. Ma ora, dopo lo schiaffo della Corte costituzionale, il Lodo non c´è più. Il capo del governo deve ri-correre ai ripari. Il 16 ottobre riapre i soliti cassetti e annuncia al Paese: «È necessaria una riforma costituzionale della giustizia, anche a maggioranza… «. Di nuovo, le urgenze individuali spacciate per «emergenze nazionali». C´è un motivo, che spiega l´escalation: il 27 ottobre la Corte d´appello di Milano conferma la condanna di primo grado per Mills. Il cerchio giudiziario torna a stringersi. La sera stessa, a «Ballarò», Berlusconi spara a zero: «La vera anomalia italiana sono i pm comunisti di Milano». Ma a questo punto le parole non bastano più. Servono fatti concreti per sottrarre il premier ai suoi doveri di imputato.
«Prescrizione» o «processo»: purchè sia breve
I fatti concreti arrivano subito. Sulla via delle leggi «ad personam» il premier sa di avere in casa il vero ostacolo da valicare: Gianfranco Fini. Il 10 novembre, con Gianni Letta e Niccolò Ghedini, va a Montecitorio a pranzo dal presidente della Camera e squaderna sul tavolo due testi. Il primo è un ddl sulla cosiddetta «prescrizione breve»: prevede «l´abbattimento di un quarto dei tempi di prescrizione nei procedimenti in corso per i reati commessi prima del 2 maggio 2006, con pena massima fino a dieci anni». Il secondo testo è un ddl sul cosiddetto «processo breve»: prevede che tutti i procedimenti, compresi quelli in corso, debbano essere celebrati in sei anni. Berlusconi vorrebbe tutte e due le leggi. Ma spiega a Fini che la proposta irrinunciabile è la «prescrizione breve»: una pietra tombale, che risolverebbe per sempre i suoi sospesi. È convinto di piegare il co-fondatore del Pdl. Ma sottovaluta l´ex alleato: spalleggiato da Giulia Bongiorno che gli siede a fianco, Fini risponde picche al Cavaliere: «La prescrizione breve non può passare, sarebbe un´amnistia. Sul secondo testo si può discutere… «.
Al Cavaliere quel pranzo rimane sullo stomaco. Non gli resta che infilarsi nello spiraglio lasciato aperto da Fini. Due giorni dopo, il 12 novembre 2009, parte l´operazione «processo breve». Il centrodestra presenta al Senato il disegno di legge 1880 su «Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi». Primo firmatario è Maurizio Gasparri, con Gaetano Quagliarello, Federico Bricolo e altri senatori del Pdl. Questa prima stesura di tre articoli fissa in sei anni la «durata ragionevole» dei processi (due anni per ogni grado di giudizio) in seguito ai quali scatta la prescrizione. La nuova disciplina si applica agli incensurati, solo nel primo grado di giudizio, e ai processi per reati con pene non superiori ai dieci anni (limite nel quale rientrano, ancora una volta, le pene rischiate dal Cavaliere). Sono inclusi nel colpo di spugna anche i reati di corruzione e di concussione, mentre sono esclusi i reati di associazione per delinquere, incendio, pedo-pornografia, sequestro di persona, immigrazione clandestina. Scoppia un finimondo politico.
La prima stesura: un «colpo di spugna»
Il 23 novembre il presidente dell´Anm Luca Palamara parla di un gigantesco «lavacro» sui processi in corso: con la nuova legge «arriverebbe a prescrizione il 50% dei procedimenti pendenti a Roma, Bologna e Torino, il 30% a Firenze, Napoli e Palermo». Il ministro della giustizia Alfano, a un convegno della Bocconi a Milano, da i suoi numeri: «Le nuove norme avranno ricadute solo sull´1% dei processi». Dalle colonne di «Repubblica», Roberto Saviano lancia il suo appello, al quale aderiranno oltre 500 mila cittadini: «Presidente Berlusconi, ritiri la norma del privilegio». E Carlo Azeglio Ciampi lancia il suo grido di dolore: «Basta con le leggi «ad personam», le riforme si fanno per i cittadini… «. Il 26 novembre il premier spara: «I pm vogliono farmi cadere, ormai c´è un clima da guerra civile». Ma proprio questo «clima» gli suggerisce di cautelarsi con un´»azione parallela»: il «legittimo impedimento». Il 2 dicembre, alla Camera, il Pdl fa sua una proposta di legge di Michele Vietti (Udc) su «Disposizioni temporanee in materia di legittimo impedimento del presidente del Consiglio a comparire nelle udienze penali». Un «ad personam» della durata di 18 mesi, che deve consentire al capo del governo «un sereno svolgimento delle sue funzioni».
Due settimane dopo, è il 14 dicembre, il plenum del Csm approva un parere durissimo, che affossa il «processo breve». Il provvedimento «non appare in linea con l´articolo 111 (giusto processo) né con l´articolo 24 (diritto alla difesa)… Rischia di impedire del tutto l´accertamento giudiziario e di vanificare la lotta alla corruzione… È irragionevole e discriminatorio… «. Il Quirinale manifesta le sue preoccupazioni a Palazzo Chigi. Ma il Cavaliere non ne tiene conto. Il «timer» dei suoi processi milanesi non si è fermato. Non a caso, proprio la sera del 14, uscendo da Palazzo Chigi dichiara: «Sto pensando di non presentarmi in tribunale per i processi che mi riguardano. I miei avvocati mi dicono che mi troverei davanti a un plotone di esecuzione… «.
La seconda stesura: peggio della prima
Per evitare quel «plotone di esecuzione» Il presidente del Consiglio impone le tappe forzate sul «processo breve». Il 12 gennaio 2010 l´iter del ddl inizia al Senato con una novità clamorosa: un maxi-emendamento, che dilata il testo da tre a sei articoli, e che la sera prima il relatore del Pdl Giuseppe Valentino ha scritto direttamente nella villa di Arcore, con Berlusconi e Ghedini. Le novità riguardano la nuova scansione temporale dei processi per reati con pene sotto i 10 anni. tre anni per il primo grado, due per il secondo e 18 mesi per la Cassazione. I reati vengono divisi in tre fasce: meno gravi, gravi e gravissimi (la corruzione rientra tra i «meno gravi») e per ciascuna delle tre categorie si modulano in aumento i tempi complessivi del procedimento. Il «processo breve» si applica anche alle persone giuridiche (quindi alle società che devono rispondere di reati contabili e responsabilità amministrative) e ai danni erariali (dunque anche davanti alla Corte dei conti deve valere il principio della «ragionevole durata del giudizio di responsabilità contabile».
Ma la vera pillola avvelenata sta nelle «norme transitorie» sui processi in corso: le nuove norme si applicano subito ai reati commessi prima del 2 maggio 2006, quindi coperti dall´indulto. In questi casi, come recita il testo dell´emendamento Valentino, «il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere per estinzione del processo quando sono decorsi più di due anni dal provvedimento con cui il pm ha esercitato l´azione penale». È esattamente la situazione nella quale si trovano i due processi più rognosi per Berlusconi, Mills e Mediatrade, nei quali le richieste di rinvio a giudizio risalgono rispettivamente al 10 marzo 2006 e al 22 aprile 2005. Ancora una volta, «delitto perfetto». Per cancellare le due grane giudiziarie del premier, il Parlamento si accinge a fare «tabula rasa» dei processi più eclatanti degli ultimi anni: dal rogo della Thyssen alle morti per l´Eternit, dal crac della Parmalat allo scandalo Antonveneta, dal crollo della casa dello Studente dell´Aquila al disastro ferroviario di Viareggio. Il 20 gennaio arriva il via libera definitivo del Senato: 163 sì, 130 no e 2 astenuti. In aula scoppiano risse e campeggiano cartelli listati a lutto: «Berlusconi fatti processare» e «La giustizia è morta». Davanti a Palazzo Madama il popolo viola improvvisa un sit-in di protesta. Ma è tutto inutile: ormai il testo è licenziato, e passa all´altro ramo del Parlamento.
Il binario morto della Camera
Il 22 gennaio la proposta di legge numero 3137 sul «processo breve» approda alla Camera. L´esordio, per Berlusconi, non promette niente di buono. Fini, in una «lectio magistralis» a Tor Vergata, avverte: «Ci sarà tempo per fare le necessarie modifiche al testo… «. Lo stesso giorno, la Procura di Milano emette il decreto di «chiusura indagini» sul processo Mediatrade. Dagli uffici del Quirinale filtrano chiarissimi segnali di dissenso: quella legge il Capo dello Stato non la firmerà. Il presidente del Consiglio vede stringersi una tenaglia: le procure che non si fermano, il «processo breve» che inciampa. Il 28 gennaio il provvedimento inizia il suo percorso a ostacoli in Commissione giustizia: il relatore Maurizio Paniz (Pdl) si appella al Parlamento «che non può restare inerte, perché giustizia ritardata è giustizia negata… «. Ma le incognite aumentano, i legali di corte Ghedini e Longo sono perplessi. Così il Cavaliere decide di cambiare cavallo. A difenderlo dai giudici non sarà più il «processo breve», ma il «legittimo impedimento». Il primo provvedimento, dopo una serie di rinvii in Commissione il 2, 4, 9, 10 e 23 febbraio, finisce sul binario morto. Il secondo provvedimento, viceversa, accelera in aula. E se ne comprende la ragione: il 25 febbraio la Cassazione accerta definitivamente che David Mills è stato corrotto da Berlusconi. E anche se la prescrizione è maturata il 23 dicembre 2009, «risulta verificata la sussistenza degli estremi del reato di corruzione in atti giudiziari». Per questo urge il nuovo «scudo», che arriva puntuale. Il 10 marzo, con il sì della Camera, il «legittimo impedimento» diventa legge. Napolitano la promulga il 7 aprile 2010. Giusto, in tempo, per il Cavaliere: il 9 aprile, i pm del processo Mediatrade, Robledo e De Pasquale, chiedono il rinvio a giudizio per appropriazione indebita, falso in bilancio e frode fiscale nei confronti di Berlusconi, dei figli Marina e Piersilvio, Confalonieri, Frank Agrama e altri 14 indagati.
Se non ci fosse il «legittimo impedimento» il presidente del Consiglio sarebbe nei guai. Ma ora anche quest´ultimo salva-condotto sta per scadere. La legge dura solo un anno e mezzo. E soprattutto il prossimo 14 dicembre la Consulta è già convocata in udienza, per valutarne la legittimità costituzionale. Se, come sembra, il responso sarà negativo, il re sarà ancora una volta nudo, di fronte ai suoi obblighi di imputato. Ecco perché, dalla scorsa settimana, il Cavaliere ha rilanciato la campagna d´autunno. Ecco perché, dopo otto mesi di «fermo», ha rimosso dal binario morto della Camera la legge sul «processo breve». A questo punto non ha altri «treni» da prendere, nell´eterna fuga dai suoi giudici naturali. Il problema è che su quel treno, come sempre, vuole farci salire tutta la maggioranza, tutto il Parlamento, tutto il Paese. Se il convoglio arriverà a destinazione, sarà la trentottesima legge «ad personam» dell´era berlusconiane. E la negazione definitiva di un principio fondamentale: in democrazia, tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge.
La Repubblica 29.08.10