Il liberalismo di Comunione e liberazione è al di sopra di ogni sospetto, quando si tratta di tributare applausi agli ospiti di riguardo.
La lista degli applauditi al Meeting di Rimini è tra le cose più ecumeniche la chiesa italiana possa vantare. Ma quello degli applausi è il solo liberalismo di cui possano fregiarsi Cl e il Meeting di Rimini che ne è la vetrina. L’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ha parlato del ruolo del mercato, della concorrenza internazionale, dell’esigenza di mobilità, della ricerca e della cultura nel mondo di oggi. In particolare, ha dichiarato archiviata la distinzione «tra capitale e lavoro, tra padroni e operai». A sentire gli applausi , sembrava che la platea fosse costituita dalla Harvard Business School e non dal Meeting di Cl. Gli applausi a Marchionne, infatti, si possono spiegare solo in due modi: Cl è rimasta folgorata sulla via di Damasco da una visione dell’economia totalmente aperta, internazionalizzata e affidata ai soli meccanismi della concorrenza; oppure, in una radicale dissonanza tra le radici politico-culturali di Cl da una parte, e il messaggio dell’amministratore delegato della Fiat dall’altra parte, la platea di Rimini ha applaudito se stessa e la propria copertura mediatica.
La folgorazione non è da prendere in considerazione, tali e tante sono state le “svolte” annunciate dall’applausometro di Rimini negli ultimi trent’anni. La dissonanza è, invece, un elemento difficilmente controvertibile, se si mette a confronto il messaggio veicolato da Marchionne ai giovani di Cl a Rimini e la realtà di Cl, movimento di riferimento per il cattolicesimo italiano della “reconquista”. La dissonanza cognitiva dell’uditorio va rilevata perché è doppia, ed è indice di una patologia tipica della cultura politico-economica del cattolicesimo intransigente e dello stato di fluidità del cattolicesimo italiano.
In primo luogo, gli applausi alle parole di Marchionne vengono da un movimento che ha costruito la sua prosperità politica ed economica su una prassi diametralmente opposta rispetto al messaggio inspirational di Marchionne, e cioè su un sistema di potere chiuso e impermeabile. Un sistema che si basa sull’occupazione manu militari della sanità e delle aziende pubbliche lombarde, il radicamento politico nella Lombardia formigoniana di obbedienza berlusconiana (dopo alcune avventure tardo-terzomondiste nell’Iraq di Saddam Hussein negli anni Novanta), e un impianto culturale chiaramente avverso alla modernità, se non reazionario (si ricordi la mostra “storica” del Meeting di qualche anno fa sulle radici cospirazioniste e antipopolari dell’unità d’Italia). In secondo luogo, i plaudenti corifei del Meeting hanno totalmente dimenticato il potenziale contraddittorio (a dir poco) tra le dottrine economiche liberiste mainstream e la dottrina sociale cattolica nelle sue varie formulazioni: il magistero dei papi da Leone XIII in poi (Benedetto XVI compreso), la dottrina conciliare, la testimonianza del cattolicesimo di base nei paesi di missione (che Cl ben conosce).
Ci penseranno le settimane sociali dei cattolici italiani a riportare il discorso all’interno di un quadro di maggiore senso teologico ed ecclesiale. Ma il fenomeno Cl è una realtà significativa all’interno della chiesa italiana, e a derubricare le sciarade di Rimini a pure ingenuità giovanili si rischia di fare torto a Comunione e Liberazione, un fenomeno ricco e complesso, che non si può liquidare in aneddoti.
È un movimento internazionale, all’interno del quale, per esempio, i ciellini americani hanno ben poco (e sanno ben poco) del sistema di potere creato negli ultimi decenni in Lombardia e all’interno del Pdl: sono affascinati dalla lettura giussaniana della teologia protestante del Novecento e dall’idea di comunità cristiana nella società americana del “grande freddo”, e non certo dalle filiere politicopartitiche del movimento. Ma Cl è anche, in Italia, un movimento ecclesiale additato da vescovi e cardinali come il modello di nuovo movimento cattolico, e quindi non si può che restare sconcertati dalla volubilità culturale e politica di questa nuova élite cattolica: a meno che in quegli applausi Cl non applauda se stessa e il fatto di esserci.
Il cattolicesimo italiano rischia di rimanere politicamente homeless, e il caso di Cl lo conferma. Il movimento di Giussani rappresentava il modello più “riuscito” del superamento di quel cattolicesimo politico post-1945, post-notabilato, selezionato da organismi di natura assembleare o partecipativa sotto l’occhio vigile dei vescovi. Culla del personale politico cattolico più a suo agio sulla scena all’interno delle schiere berlusconiane, Cl era frutto di un meccanismo di autoselezione e di rappresentanza totalmente nuovo rispetto a quello di epoca democristiana.
Sul versante delle policies Cl da un lato parlava di economia del terzo settore e della solidarietà comunitarista- classista, e dall’altra di liberismo antistatale e pre-liberale. Ma se in passato Cl era solo una parte del movimento cattolico, in era berlusconiana è cresciuta (a livello di percezione, ma non solo) l’identificazione tra i “cattolici in politica” e la Cl organica alle file berlusconiane. Più della confusione ideologica mostrata a Rimini, è la sua progressiva identificazione col berlusconismo che rischia di condurre alla fine di un ciclo politico per il movimento.
Questo non significherebbe né la fine della crisi politica del cattolicesimo italiano, né tantomeno la fine di Cl. Ma, per tornare a Marchionne (e a Valletta), diventerebbe finalmente chiaro che se non è vero che «il bene della Fiat è il bene dell’Italia », non è neppure vero che il bene di Comunione e Liberazione è il bene della chiesa italiana.
da Europa Quotidiano 28.08.10