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"Salviamo Sakineh", di Tiziana Ferrario

Non si può restare indifferenti di fronte alla tragica sorte di Sakineh Mohammadi Ashtiani,la donna iraniana di 43 anni accusata di adulterio e condannata a morte per lapidazione a Tabriz,la città dove è detenuta. C’è una grande mobilitazione internazionale intorno al suo caso, per convincere le autorità iraniane a sospendere la pena, ma sinora nessuna decisione è stata presa. L’ultima a scendere in campo la premiere dame francese Carla Bruni, ma in questi mesi si sono mossi personaggi del mondo dello spettacolo, imprenditori, intellettuali. E una raccolta di firme parte anche da Articolo 21. Al momento si sa che il caso di Sakineh dovrà essere riesaminato,ma solo per cambiare le modalità dell’esecuzione:trasformare la sentenza di lapidazione in impiccagione. Ad alimentare la campagna a favore di Sakineh sono il figlio Sajad di 22 anni e la figlia Farideh di 17. “ Nostra madre è innocente, è in prigione da 5 anni senza avere commesso alcun crimine.”dicono i due figli. La vicenda di Sakineh parte da lontano. Già nel maggio 2006 era stata sottoposta a 99 frustate per aver avuto una “relazione illecita” con due uomini.. Successivamente era stata quindi condannata alla lapidazione perché si era aggiunto il reato di “adulterio durante il matrimonio”, accusa che lei ha negato. Ma sulla sua testa pendeva anche l’accusa di essere stata complice nell’omicidio del marito. I suoi legali hanno contestato quest’altra imputazione ,affermando che la donna era stata perdonata dalla famiglia dell’uomo.Secondo quanto scrive Amnesty International, durante il processo, Sakineh Mohammadi Ashtiani ha ritrattato una “confessione” rilasciata sotto minaccia nel corso del suo interrogatorio e ha negato l’accusa di adulterio. Due dei cinque giudici hanno ritenuto la donna non colpevole, facendo presente che era già stata sottoposta a fustigazione e aggiungendo di non aver trovato le necessarie prove di adulterio a suo carico. Tuttavia, i restanti tre giudici, tra cui il presidente del tribunale, l’hanno ritenuta colpevole, nonostante la mancanza di prove decisive e Sakineh è stata condannata alla lapidazione. Una morte atroce,quella per lapidazione, regolata dagli Articoli 102 e 104 del Codice penale iraniano: “La donna deve essere seppellita in piedi sino al seno. Le pietre con le quali deve essere colpita alla testa non devono essere né troppo grandi,perché la ucciderebbero subito,né troppo piccole” Una pena che ha lo scopo di infliggere dolore e una lenta sofferenza, sino alla morte. Ci sono al momento 11 detenuti in Iran che rischiano la lapidazione come Sakineh, denuncia Amnesty, che ricorda come in Iran gruppi di attivisti per i diritti umani si stanno battendo da anni per l’abolizione della lapidazione . Dal 2006 ad oggi, grazie alla campagna “Stop Stonig for ever” 15 sentenze sono state commutate, ma in almeno tre casi i condannati sono poi morti per impiccagione. Nel paese c’è un dibattito tra chi vorrebbe,anche tra i conservatori, cambiare la brutalità di tali punizioni che rischiano solo di minare la reputazione dell’Iran sulla scena mondiale, alle prese con le nuove sanzioni per la questione nucleare. Un confronto – scontro,come abbiamo visto nell’ultimo anno tra chi chiede riforme e chi difende lo status quo. Nel chiedere con forza una sospensione della pena per Sakineh, il pensiero torna alle migliaia di donne coraggiose iraniane che ho visto scendere in piazza a Teheran rischiando la vita, per avere più diritti e libertà. Valori che non vanno mai dati per scontati a nessuna latitudine.

da www.articolo21.org

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