l Presidente Napolitano ha chiesto alla Fiat di rispettare le sentenze e quindi di reintegrare a tutti gli effetti i tre lavoratori prima licenziati e poi riammessi solo formalmente senza poter esser messi in condizione di lavorare.
Nel ricordare opportunamente i principi cardine di uno stato di diritto, il capo dello Stato ha auspicato che si creino le «condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell´attività della maggiore azienda manifatturiera italiana e dell´evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale». Perché il Presidente ha inteso riferirsi a questioni di portata così generale anziché limitarsi al caso specifico dei tre lavoratori che lo avevano interpellato? E perché Fiat ha affrontato uno scontro così duro a Melfi, incorrendo nella censura della massima autorità dello Stato, in un momento in cui in Italia, a Pomigliano, sono in gioco accordi ben più importanti per il suo futuro?
Marchionne è oggi impegnato nella realizzazione di un piano industriale ambizioso che, come negli Stati Uniti, richiederà la massima collaborazione dei lavoratori. Perché allora apre un nuovo terreno di conflitto che ricompatta il sindacato e che schiera anche l´opinione pubblica, gran parte della stampa e la stessa classe politica dalla parte dei tre lavoratori che dovevano essere reintegrati? Alcuni hanno parlato di mobbing, un tentativo di convincere i lavoratori ad autosospendersi, a lasciare volontariamente l´azienda. Anche nelle squadre di calcio i «lavoratori» in esubero, indesiderati, vengono costretti ad allenarsi a parte, non possono lavorare assieme al gruppo.
Formalmente per non contaminare il morale degli altri. In verità per convincerli ad andarsene e risparmiare così sui loro ingaggi. Ma se la famiglia Agnelli si occupa oggi quasi esclusivamente della Juve, e tenderà a farlo ancora di più dopo lo scorporo che ne diluisce la quota di controllo in Fiat-auto, la multinazionale Fiat ha oggi strategie che vanno ben al di là del problema di tre lavoratori in uno dei suoi impianti. Oggi Marchionne può permettersi di scegliere sistema di relazioni industriali e il sistema prevalente in Italia proprio non gli va. Come presumibilmente non va bene a molte altre aziende che potrebbero investire da noi e che non lo fanno.Il fatto è che non esiste in Italia un sistema di relazioni industriali che vincoli al rispetto di un accordo raggiunto prima di realizzare un grande investimento, prima di costruire un nuovo impianto. Fiat vuole tutelarsi contro il rischio che l´accordo raggiunto a Pomigliano possa essere vanificato una volta che l´azienda ha realizzato l´investimento, rinunciando a farlo in altri paesi. Non vuole trovarsi in una condizione in cui una minoranza di lavoratori possa indire uno sciopero per rimettere in discussione i contenuti dell´accordo siglato prima di realizzare l´investimento. Bloccando la produzione che, in uno stabilimento fortemente automatizzato, può essere interrotta avvicinandosi a uno dei radar che costellano la catena di montaggio. È quanto, secondo l´azienda, sarebbe avvenuto a Melfi, quando i lavoratori hanno convocato un´assemblea lungo il ciclo di produzione avvicinandosi troppo ad un sensore «allo scopo di bloccare la produzione».
Un sistema di relazioni industriali deve essere in grado di prendere impegni vincolanti per le parti. Questo è un presupposto perché ci sia contrattazione, perché i lavoratori possano far valere le loro ragioni. Se non c´è modo di impegnarsi in modo credibile, non ci sarà l´accordo, dunque non ci sarà l´investimento. Cosa fareste voi sapendo che un vostro potenziale assicuratore può ridiscutere i contenuti della polizza che state negoziando, riducendo la protezione che vi ha offerto quando avete pagato il premio assicurativo, una volta che avete avuto un incidente? Scegliereste un altro assicuratore in grado di impegnarsi al rispetto dei contenuti della polizza sottoscritta. Un sistema giudiziario in uno stato di diritto serve a permettere che i contratti vengano rispettati. Per questo Fiat ha commesso un grave errore nel non applicare la sentenza di primo grado,anziché limitarsi a cercare di far valere le proprie ragioni in un successivo grado di giudizio. Ma il problema rimane. Come quello affrontato a Pomigliano, dove la Fiat ha scelto di creare una nuova società per assicurarsi il rispetto di un contratto aziendale che avrebbe altrimenti potuto essere impugnato se riconosciuto in violazione del contratto nazionale dei metalmeccanici, applicabile alla «vecchia compagnia».Anche questo è un problema che non può essere ignorato. Il fatto è che il nostro sistema di relazioni industriali funzionava finché c´era un´intesa di fondo fra i diversi sindacati e quindi gli accordi da questi sottoscritti impegnavano tutti i lavoratori. Funzionava anche quando le aziende di una categoria avevano esigenze relativamente simili e quindi contratti sottoscritti a livello nazionale per un insieme di aziende non troppo diverse tra di loro erano adattabili alle diverse realtà aziendali. Oggi queste due condizioni non ci sono più. Il sindacato è diviso al suo interno e le aziende presenti nel nostro paese hanno esigenze talmente diverse che si fatica a chiudere i contratti a livello nazionale. Basti pensare che l´accordo normativo per i metalmeccanici risale addirittura al 1972, come ha ricordato Pietro Ichino.
Per questi motivi raccogliere l´invito di Napolitano a un «confronto pacato e serio», significa varare rapidamente una legge sulle rappresentanze che permetta ai lavoratori, azienda per azienda, di scegliere i loro rappresentanti, offrendo a questi ultimi la possibilità di impegnarsi al rispetto delle intese raggiunte. Nel caso in cui l´accordo non piaccia, i lavoratori potranno cambiare i rappresentanti alle successive elezioni aziendali. Per questi motivi un ministro del Lavoro che ha fatto di tutto per dividere il sindacato deve oggi prendere atto della vera natura del problema, imponendo che il tema delle rappresentanze venga inserito nell´agenda di fine legislatura. Deve anche ammettere nei fatti che quello «storico accordo» del 22 gennaio 2009 sulle nuove regole della contrattazione non è palesemente in grado di governare «l´evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale». E´ tempo allora di riaprire il tavolo sulla riforma del sistema di contrattazione, facendo di tutto questa volta perché un accordo vero venga trovato. Vero significa anche che deve impegnare chi poi dovrà applicare queste regole, a partire dalla Cgil, il sindacato che oggi ha il maggior numero di iscritti.
La Repubblica 25.08.10