Quando si comincia a parlare di espulsioni di rom, come ha fatto il nostro ministro degli Interni e come stanno facendo in Francia, è inevitabile che tornino subito in mente immagini fra le più sinistre di quel macabro film che per certi versi è stato il Novecento. Viene in mente persino quella celebre poesia di Bertolt Brecht: «Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti. E io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare».
Anche se erano altri tempi e altri regimi, non c’è dubbio che già il termine «espulsioni» suoni macabro. In Italia si discute ormai da anni se siamo un popolo razzista oppure no, ed è una discussione destinata a finire in un vicolo cieco perché essa pure viziata da quella specie di bipolarismo culturale per cui la risposta esatta deve per forza e immancabilmente essere o tutta da una parte oppure tutta dall’altra, mentre invece non sempre è così, anzi quasi mai è così. E quindi anche per la domanda ricorrente «siamo razzisti oppure no?» l’unica vera risposta esatta è che non si può generalizzare né in un senso né nell’altro: esiste in Italia un solidarismo che ha radici culturali e religiose profonde, ma esiste anche una mai superata paura dell’altro, sia esso straniero o anche soltanto cittadino del comune accanto.
La xenofobia c’è, insomma: inutile negarlo. C’è, e non solo nei confronti degli zingari. Sottovalutare questo aspetto è un errore, così come è un errore non capire che la storia dell’umanità è fatta di migrazioni e di meticciati, e che la «contaminazione» s’è sempre rivelata alla fine un arricchimento e non una perdita.
Ma, detto tutto questo, sarebbe un errore speculare e non meno dannoso pensare che quel che sta accadendo in Francia – e che Maroni vorrebbe replicare in Italia – sia solo il frutto di un’anacronistica «difesa dell’identità» o peggio di vecchi pregiudizi contro gli zingari. C’è anche e innanzitutto, invece, un problema di legalità. Perché «innanzitutto»? Perché all’origine di tante fiaccolate anti-rom, all’origine di tanta paura e spesso di tanta avversione c’è innanzitutto la percezione di una minaccia alla propria sicurezza. Certo che non tutti i rom «rubacchiano», per usare le parole di Brecht: ma spesso succede che i loro campi abusivi tolgano la tranquillità a interi quartieri. E attenzione: si tratta di quartieri popolari, spesso di povera gente. Si fa in fretta a dirsi tolleranti quando si abita nelle isole pedonali.
Ma non è solo un problema di paura di essere derubati. C’è anche – ripetiamo: soprattutto in chi abita nelle periferie – la sensazione di essere addirittura, come dire, più poveri dei nuovi poveri. La Commissione europea ha fatto benissimo a richiamare Italia e Francia. Tuttavia la stessa Commissione ricorda che il cittadino comunitario immigrato – qual è un rom – deve avere mezzi di sostentamento propri, non deve pesare sul sistema di sicurezza sociale, deve avere un’assicurazione sanitaria e non deve costituire un pericolo per la pubblica sicurezza. Sono i quattro criteri-cardine: ma se questi criteri non vengono rispettati, di fatto non c’è possibilità di espulsione. È anche questa contraddizione che fa percepire a molti italiani una sorta di disparità di trattamento.
Se insomma è vero che il razzismo e la xenofobia esistono, è anche vero che a volte prima di gridare al razzismo e alla xenofobia bisognerebbe pensare che sono sensazioni più banali e materiali a motivare tante paure. A partire da comportamenti minimi: a New York oggi, dopo le leggi sulla «tolleranza zero», è impensabile immaginare che ci sia chi blocca il traffico per cercare di lavare i vetri e abbia atteggiamenti minacciosi con chi non paga a sufficienza; e gli Stati Uniti sono un Paese che ha una tradizione di accoglienza antica e radicata. L’Italia è invece uno strano luogo, dove si vorrebbe usare il pugno di ferro con le espulsioni ma non si riesce a garantire neppure la legalità nella vita ordinaria. Di questo il primo responsabile è ovviamente chi ha attualmente la responsabilità dell’ordine pubblico: il centrodestra ha fatto della sicurezza una delle sue bandiere in campagna elettorale e ora non può pretendere che sia Bruxelles a garantire la sicurezza nelle città. Ma non meno responsabile è chi ha fatto e continua a fare demagogia, urlando al razzismo anche quando il razzismo non c’entra nulla, e agitando il fantasma di Hitler quando basterebbe agitare l’immagine, ad esempio, di uno Zapatero, tanto celebrato a sinistra ma tutt’altro che più morbido, in materia di immigrazione e sicurezza, di un Maroni.
La Stampa 24.08.10