Un’altra angoscia del Cavaliere: il catto-complotto. E i big del Pdl si gettano all’inseguimento del consenso dei cattolici. Il campanello d’allarme, a palazzo Grazioli, ha cominciato a suonare impazzito dopo le parole di Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere, il “braccio economico” di Cl, che associa 35mila e rotte imprese. E meno male che Sholtz l’ha detto al Corriere della sera: siamo contrari a elezioni anticipate. Meno male perché se a intervistarlo fosse stata Repubblica – com’è avvenuto con Tremonti, che da allora vive in regime da “sorvegliato speciale” – Berlusconi non avrebbe più dubbi sull’esistenza di un catto-complotto ai suoi danni.
Anche Cl mette i bastoni tra le ruote all’exit strategy elettorale di Berlusconi per non farsi logorare e arrivare in barella a fine legislatura.
No al voto, no governi tecnici, ma «proseguire le riforme iniziate, dare concretezza al lavoro intrapreso », dice Scholtz. Non così la pensano Formigoni, Lupi, Mario Mauro, i ciellin-pidiellini a modo loro simbiotici con Berlusconi, da cui hanno avuto molto e che seguirebbero fino alle porte dell’inferno: «Ma loro non sono la punta avanzata di Cl nel Pdl.
All’opposto, sono la punta avanzata del Pdl all’interno di Cl», è la felice battuta che da molti anni gira negli ambienti ciellini.
E infatti Cl è un’altra cosa.
Poi, in caso di elezioni, attraverso la Cdo, tornerebbe a schierarsi col Pdl: ma intanto dice no al voto minacciato da un furastico Berlusconi apprendista stregone e ora cavalcato da un Bossi scatenato.
Invece è meglio evitare scossoni, frena Cl: come fa la Cisl e come fa la Confindustria.
Non a caso perciò ieri s’è visto volare un sasso dritto su Rimini, che ha colpito nel primo giorno del Meeting ciellino: la lettera della cattolica Maria Stella Gelmini al Corriere della sera, uno spot pubblicitario pro-Pdl, «il grande partito dei moderati», guidato e fondato da Berlusconi «che ha studiato e s’è formato dai salesiani». Il diligente ministro non s’è tuttavia reso conto di aver così evidenziato uno dei nervi scoperti dell’ultimo Berlusconi: il disagio dei cattolici.
Al netto delle posizioni dell’antiberlusconiana Famiglia cristiana dei reverendi padri paolini e senza scomodare Benedetto XVI, parlano i moniti del segretario della Cei cardinal Bagnasco: dai fermi richiami all’etica nell’azione pubblica alla denuncia dei rischi di un federalismo non solidale che alimenterebbe spinte secessioniste.
Ma quel che più spaventa il Cavaliere è un’altra cosa: è il non dissimulato favore con cui le gerarchie cattoliche, come si coglie dai recenti editoriali di Avvenire, guardano al terzo polo dopo l’implosione del Pdl. Alla Cei e Oltretevere si fanno da tempo i conti con il dopo-Berlusconi. Già l’anno scorso, dopo il caso Noemi e lo scandalo delle escort di Berlusconi e vista la crescita della Lega, l’ex segretario della Cei Ruini ispirò attraverso Avvenire – dopo le europee di giugno – l’idea di allargare la maggioranza all’Udc.
La Lega andò in fibrillazione e Berlusconi nel pallone, il pressing cresceva. Esattamente un mese dopo, il direttore di Avvenire Boffo fu abbattuto a colpi di dossier dal Giornale. Il trauma nella Chiesa fu violentissimo: e pochi colsero che una delle conseguenze della mission di Feltri fu la fine dell’“operazione” di Ruini.
Adesso però lo spirito di quel disegno sta riprendendo forma: al punto che l’apprezzamento delle gerarchie per un terzo polo che seppellisca il bipolarismo ridotto a scontro tra due opposte «grandi ammucchiate», a destra e a sinistra, è ormai esplicito.
Che lo spot della Gelmini in questo senso sia la spia della preoccupazione del Cavaliere per una perdita di consenso tra i cattolici, lo conferma la coincidenza con l’editoriale del Giornale di ieri in cui Feltri descrive il Cavaliere come «diga cristiana». Nel 2008 oltre il 40% dei cattolici praticanti votò Pdl a fronte di un 27% che scelse il Pd. Ma se si votasse adesso? Così, mentre si alza il sipario sulla grande kermesse di Cl, grazie all’incauta Gelmini, il dibattito è aperto.
Europa Quotidiano 24.08.10
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