I cimiteri parlamentari sono pieni di governi che si ritenevano indispensabili o inamovibili. E questo perché in tutti i paesi in cui si elegge un libero Parlamento, questo ha la possibilità di mandare a casa, con la sua sfiducia, qualsiasi governo e di costruirne, con nuova fiducia, un altro. È così semplice questa verità del costituzionalismo che non si capisce l´intolleranza scatenatasi contro chi pacatamente la ricorda. O meglio si capisce benissimo. Prima che canti il gallo di una eventuale crisi, con esiti parlamentari “normalmente” aperti, è utile cercare d´imporre un pensiero unico sulla sua soluzione. Rinnegando, per tre volte, la Costituzione e la stessa invocata legge elettorale. La Costituzione (all´articolo 94, sulla fiducia, «accordata» o «revocata») la legge elettorale (che consente, articolo 14 bis, l´indicazione del «Capo Unico della coalizione» ma, esplicitamente dice che «restano ferme le prerogative spettanti al presidente della Repubblica, in base all´articolo 92 della Costituzione», sulla nomina del premier) e ancora la Costituzione (all´articolo 88: lo scioglimento delle Camere, come decisione del capo dello Stato, sentiti i loro presidenti).
Come si vede, qui non si tratta di forzature interpretative, che appartengano all´ordinaria vita della politica, sia di maggioranza sia di opposizione. Non è la “giacchetta” del presidente della Repubblica ad essere tirata, da destra o da sinistra. Sono precise norme costituzionali ed elettorali ad essere “dichiarate” decadute. In nome di un´”altra” costituzione (materiale), in nome di una “illimitata” sovranità popolare, in nome della “piazza” per ora vuota per le vacanze: ma pronta a riempirsi di milioni di persone. È una specie di goffa eversione preventiva del regime parlamentare, tentata innanzitutto contro la presidenza della Repubblica.
Dopo la caduta, nel 1993, delle difese immunitarie insite nella vecchia legge proporzionale, i presidenti della Repubblica si sono trovati ad essere l´unica intercapedine del muro contro muro tra maggioranza e opposizione. I parafulmini su cui si scaricano tutte le tensioni che non possono sciogliersi in un confronto impolitico: avvelenato, di qui e di là, da personalismi, acefalie, conflitti d´interesse, lotte di successione. Le costituzioni sono (secondo antico detto) le leggi che gli uomini si danno in periodi di saggezza per esserne governati nei periodi di ubriachezza. La nostra Costituzione indica nei presidenti della Repubblica gli unici soggetti, certamente sobri, che possono guidare il paese per un “rientro” sicuro, dopo le inevitabili crisi.
Le ultime, accidentate vicende costituzionali, quelle post-1994 del maggioritarismo imperfetto – oltre a smentire la leggenda (un po´ orecchiata) della “costituzione materiale” – dovrebbero suggerire un´altra riflessione.
Sul fatto che il carisma elettorale vale assai poco – persino quando si dispone di armi di persuasioni di massa – se non si trasforma in capacità di guida parlamentare. È troppo facile classificare come “tradimento degli altri” i clamorosi fallimenti di leader elettorali che, divenuti premier, si vedono mancare sotto i piedi la maggioranza alle Camere: anche quando dispongono di grossi numeri.
Bisogna in realtà vedere se il fiasco parlamentare non sia in primo luogo il risultato della loro incapacità di «tenere», con linguaggio politico comprensibile e non con moine, i gruppi della maggioranza. Della loro incapacità di espellere la mala mercanzia, ad uso personale, fatta passare per programma di governo. Della loro incapacità di capire di che pasta etico-politica siano fatte le persone scelte a responsabilità governative.
Spiegare tutto con il “tradimento” può essere una via di fuga consolatoria per chi non riesca a superare, magari ripetutamene a distanza di tempo, il “ponte dell´asino” delle prove parlamentari. Ma la coazione a ripetere le elezioni quando l´inadeguatezza sta nel manico, non rientra nella logica politica oltre che in quella costituzionale. Serve solo a logorare l´intero sistema per la disaffezione dei cittadini.
Queste modeste notazioni di lettura dei testi scritti e dei fatti accaduti non hanno nulla a che vedere con l´analisi di quello che qui ed ora convenga fare con questo Parlamento e in questa situazione. Queste analisi, alcune assai convincenti per il loro realismo, sono state già fatte: da destra, da sinistra, da osservatori indipendenti.
Si conoscono ormai gli argomenti di chi teme le elezioni per sé e per il paese e di chi invece le auspica come lieto evento. A tali argomenti si può aderire, da essi si può dissentire. La politica è l´arte del possibile (si ripete da secoli). Il che vuol dire che invece non è l´arte dell´impossibile.
Se certi eventi costituzionali saranno impossibili, non accadranno. Ma per non farli accadere non serve l´avvertimento pregiudiziale, la negazione di quello che Costituzione e legge elettorale dicono, le minacce di violenza all´ordine democratico (e alle sue interne garanzie). Come è già accaduto, così si eccitano solo ulteriori, squinternate parole.
Ha fatto semmai specie che, a tali disordini di linguaggio si siano lasciati andare ultimamente anche i titolari di ministeri che, dentro le loro missioni politiche, hanno un nocciolo duro di rappresentanza unitaria degli interessi istituzionali permanenti del paese: in stretta connessione con le funzioni del presidente della Repubblica Le esternazioni di tali ministri sono naturalmente irrilevanti, come tutte le altre, in un processo costituzionale che può mettersi in moto unicamente per atti di soggetti abilitati. È solo una futile scelta di spogliarsi dal “portafoglio”, quando giocano alla costituzione immaginaria: diventando così ministri di scorta e di fazione.
La reazione del capo dello Stato che sfida tutti alla responsabilità davanti alla Costituzione vera, è anche un richiamo alla serietà, che qualcuno ha dimenticato, imposta dai compiti di Stato. Oltre che un monito sulla serietà del momento.
La Repubblica del 20 agosto 2010