E’ stato molto di moda in questi anni, fra gli strilloni della seconda repubblica, politica, criticare l´operato del Quirinale, chiunque ne fosse l´inquilino. Ma forse se abbiamo ancora una democrazia e non un regime in Italia, il merito è stato soprattutto di Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi e ora Giorgio Napolitano. Tre uomini profondamente diversi per formazione, psicologia e percorsi di vita. Il democristiano Scalfaro, uno dei padri costituenti, cattolico intransigente, era stato fra i leader di un partito per mezzo secolo al governo. Ciampi, gran laico, azionista di formazione, economista, era tornato alla politica dopo la lunga carriera ai vertici della Banca d´Italia. Giorgio Napolitano, altro politico puro, ma figlio della tradizione comunista e con alle spalle un´intera vita trascorsa a fare l´opposizione. Ma tutti e tre legati a un principio comune di assoluta fedeltà alla Costituzione, frutto proprio dell´incrocio di quelle tre culture, la cattolica, l´azionista e la social comunista. Tutti alle prese con un compito storico difficile. Quello di salvare gli assetti democratici dalle spinte eversive che hanno attraversato l´intero cammino della cosiddetta seconda repubblica. La quale, in realtà, è stata piuttosto una prima repubblica bis, dove però i poteri di controllo funzionanti nell´ancien règime erano franati o messi all´angolo, come è accaduto alla libera stampa e alla magistratura indipendente.
Questo nobile compito di salvare le istituzioni democratiche i tre presidenti lo hanno svolto, spesso in solitudine, con intelligenza, lungimiranza e alto senso del dovere. Ma anche con realismo, com´era giusto. Dunque a costo di accettare, in taluni casi, qualche compromesso esteticamente sgradevole. Ma senza mai cedere sul piano etico. A Giorgio Napolitano si è rimproverato per esempio di aver firmato leggi ad personam e palesemente incostituzionali, in particolare il Lodo Alfano, invece di rinviarle alle Camere. Ma, come ha spiegato più volte Napolitano, una simile bocciatura non sarebbe servita a nulla. Avrebbe rinviato soltanto di qualche giorno l´approvazione da parte di una maggioranza ormai blindata dal padrone di Arcore. In compenso avrebbe ritardato il lavoro della Corte Costituzionale, che invece ha potuto e dovuto bocciare il Lodo Alfano in tempo utile a evitare troppi danni.
La quasi totalità dei partiti della seconda repubblica, nella fatua rissosità, miopia politica e granitica indifferenza al bene comune che li contraddistingue, non hanno mai compreso il disegno superiore degli inquilini del Quirinale. Per fortuna, aggiungiamo. Hanno di volta applaudito o deprecato la decisione contingente, secondo che sembrasse favorevole o contrario ai propri interessi del momento. Lo stesso accade in questo convulso passaggio.
Le parole di Napolitano sul rischio colossale di elezioni anticipate in autunno, in piena crisi economica e con questa legge elettorale, non possono essere considerate di destra o di sinistra. Sono dalla parte del buon senso e dell´interesse del Paese, come tali condivise da decine di milioni di italiani. Andare al voto ora, con questo sistema elettorale, sarebbe un suicidio puro e semplice. Ma quante prove servono a capire che il porcellum è una fabbrica delle crisi?
Questa legge elettorale, sagacemente definita una porcata dal suo primo firmatario, il leghista Calderoli, ha prodotto al primo colpo una legislatura durata due anni, dall´aprile 2006 all´aprile 2008, e un´altra che durerebbe appena un anno e mezzo, portando l´Italia per la prima volta nella storia repubblicana a drammatiche elezioni autunnali. Ma non è finita. Secondo tutti gli istituti di sondaggi, nessuno escluso, se si votasse subito nessuno dei due o tre poli riuscirebbe a conquistare una solida maggioranza al Senato, dove il premio è regionale. Lo scenario più probabile sarebbe dunque un altro voto anticipato nel 2011. Ora, una nazione che ha il più alto debito pubblico d´Europa e si permette il lusso di andare a votare tre volte in cinque anni, è una nazione di dementi. Il paese dei Dodo, simpatica specie corsa all´estinzione. Nella generale perdita di senso della politica italiana, il presidente Napolitano si è assunto il compito adulto di riaffermare un principio di realtà, il compito di fermare il ballo del Titanic e indicare l´iceberg.
Se in Parlamento non esiste più una maggioranza, il presidente della Repubblica non può che prenderne atto e preparare il Paese al voto. Ma non prima di aver garantito una protezione alle finanze pubbliche, nel caso probabile di assalto da parte della speculazione internazionale. Assolutamente non prima di una riforma della legge elettorale. Ogni altra scelta sarebbe irresponsabile.
Com´è ovvio, sarebbe cosa buona e giusta se maggioranza e opposizione lavorassero di comune accordo alla riforma del porcellum, per approdare a un sistema che restituisca maggior potere di scelta ai cittadini e produca legislature più lunghe di diciotto o ventiquattro mesi. Sarà di sicuro il primo obiettivo del Quirinale. Ma se Berlusconi preferirà affidarsi agli astutissimi calcoli dei propri consiglieri, già poco brillanti nel sommare sul pallottoliere i fedeli di Fini, allora sarà inevitabile cercare in ogni caso in Parlamento una maggioranza per cambiare la legge elettorale. Che non è di destra o di sinistra. È una porcata. Ed è fallita, due volte su due.
La Repubblica del 18 agosto 2010