Perché fra Comune di Firenze e Stato italiano è riscoppiata questa ferragostana “guerra per il David” michelangiolesco? C’è di tutto un po’ in questa salsa non proprio gradevole che condisce un classico “piatto del giorno”. C’è del vecchio e c’è del nuovo. Firenze ha sempre un po’ patito il trasferimento della capitale dall’Arno – dov’era approdata nel 1861 provvisoriamente – al Tevere dove traslocò dopo la storica “breccia” del ’70. Ora l’attivo sindaco di Firenze, Matteo Renzi, sostiene che, proprio nell’atto di trasferire a Roma la sede del governo, dichiaratamente si indennizzò quella vedovanza, od orfanità, della capitale con la proprietà di Palazzo Vecchio e di quanto stava nell’arengario, quindi anche del possente ed elegantissimo David. Soltanto nel 1872 esso venne portato nel Museo statale dell’Accademia divenendone il “totem”, sostituito da una copia all’ingresso dello storico Municipio. Gli avvocati del ministero – retto dal toscano Sandro Bondi – ribattono che proprio in quella circostanza la città del giglio nulla rivendicò, neppure il bel David ammiratissimo dalle visitatrici.
Allora si va più indietro, all’anno in cui la Repubblica fiorentina pagò i 400 fiorini ancora dovuti al Buonarroti dai committenti (Opera del Duomo e Arte della lana) per quel capolavoro. Già – ribattono i legali del ministero – ma il Comune di Firenze – rinato in epoca granducale, fra 1771 e 1783 – può essere considerato l’erede della Repubblica fiorentina? Secondo loro, proprio no: quella marmorea eredità passò direttamente da Stato a Stato, cioè dal Granducato di Toscana al neonato Regno d’Italia.
A questo punto va detto che, grazie soprattutto al suo “feticcio”, la Galleria dell’Accademia si piazza fra i primi cinque musei italiani registrando (ultima cifra) circa 8 milioni di euro di incassi. Siamo lontani dall’autentico vitello d’oro del Colosseo, in cima alla classifica nazionale degli introiti con circa 30 milioni di euro, quasi un terzo di tutti gli incassi dei musei statali (i maggiori, ma non tutti). E però 8 milioni in questi tempi grami sono un gran bel pacco di denari. Da anni il Comune di Firenze sostiene che – con gli Uffizi, con l’Accademia e con altri musei statali – il ministero si porta via una somma decisamente consistente senza restituire granché alla città. Al punto da non ripulire neppure i muri dei propri musei dalle scritte vandaliche. «La questione in realtà è politica», puntualizza con franchezza il sindaco Renzi, «questi del governo sono federalisti solo quando gli fa comodo». Il ministro Bondi ribatte parlando di «una disputa meschina» e però sul tavolo del contenzioso gli amministratori fiorentini possono rovesciare una montagna di questioni irrisolte: i Grandi Uffizi (in pratica, il raddoppio degli attuali spazi espositivi) ormai fermi; il Maggio Musicale (la più internazionale fra le manifestazioni musicali italiane) senza un teatro-auditorium moderno, col vecchio (e bruttaccio) Comunale e con la bella Pergola che era dell’Ente Teatrale Italiano, di cui il governo ha deciso lo scioglimento, e che non si sa quale sorte avrà. Per non parlare di una legge speciale a cui Firenze aspira (come molte città ex capitali, tante in Italia) al pari di Roma. Tanto che proprio ieri il sindaco fiorentino si è detto disponibile a incontrare il ministro Bondi, a Firenze o a Roma poco importa: «Siamo pronti a una gestione condivisa, non nell’interesse delle singole amministrazioni, ma dei cittadini». E ancora: «Noi teniamo musei e biblioteche aperti fino a mezzanotte. Se lo Stato lo fa va molto bene: ma lo Stato è disposto a farlo?».
Temi caldi, insomma, resi addirittura incandescenti dai tagli lineari che il ministro Tremonti ha inferto alle Regioni e quindi ai trasferimenti erariali ai Comuni, e al ministero per i Beni e le Attività Culturali in primo luogo (Bondi acquiescente, in ginocchio), riducendo alla canna del gas le Soprintendenze, molte delle quali rette ad interim. Ecco perché quegli 8 milioni di euro di incassi fanno obiettivamente gola. A Firenze come a Roma. Una sorta di guerra fra poveri. In realtà ci va di mezzo la cultura italiana, il suo livello internazionale, la sua fruizione di massa. Bondi e il superconsulente Mario Resca spingono per spremere più soldi dal limone dei musei, almeno da quelli statali: col rischio di rendere troppo cari i biglietti (per intere famiglie) o di ridurre esenzioni socialmente utili (studenti, scolaresche, studiosi, anziani, ecc.). Invidiano apertamente gli incassi del Grand Louvre, che però, insieme al pur gigantesco merchandising, formano appena il 18-20 % delle risorse del maxi-museo (il resto ce lo mette lo Stato). Invidiano i Musei Vaticani, dove però paga, inflessibilmente, la quasi totalità dei visitatori. Una macchina da soldi. Ma è cultura questa? O non lo è di più la secolare gratuità della National Gallery e del British Museum di Londra?
da www.unita.it
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“Renzi a Bondi: «Gestiamo il David e i musei insieme»”, di Ste. Mi.
La querelle intorno alla proprietà del David di Michelangelo si rinfocola appena passato Ferragosto dopo che i legali del ministero per i beni culturali hanno detto che è dello Stato e il sindaco di Firenze ha replicato che è della città. Matteo Renzi in una conferenza stampa dice: «La proprietà è del Comune, giuridicamente lo attestano tutti i documenti. Nel 1871 è stato ceduto al Comune di Firenze a titolo di risarcimento». E ancora: un regio decreto del 1871 e l’accatastamento stabilivano il passaggio di proprietà dallo Stato alla città di Palazzo Vecchio, compreso l’arengario (davanti all’edificio del Comune), là dove svettava la scultura prima di venir portata nel museo dell’Accademia. A ogni modo concorda con una gestione condivisa manifestata dal ministro Sandro Bondi (dopo che peraltro l’aveva suggerita lo studioso Giorgio Bonsanti): «Noi siamo pronti a tutti i tipi di gestione condivisa. Propongo il modello di gestione dei beni culturali che si sta sperimentando a Firenze. Teniamo musei e biblioteche aperti fino a mezzanotte, Palazzo Vecchio oggi è aperto e pieno di turisti. Se lo Stato lo fa va molto bene, ma è disposto a farlo?». E infine, osserva, «sarebbe interessante affrontare la questione dei diritti d’autore per lo sfruttamento dell’immagine di opere celeberrime»
Il titolare del dicastero si è affidato a un comunicato stampa in mattinata: «Mi vedo ancora una volta coinvolto contro la mia volontà in una polemica assurda e inopportuna. Il David è un simbolo di unità culturale per Firenze e per l’Italia. Lla proprietà, sollevata in termini propagandistici dal sindaco, è una questione meschina». Il corpo in marmo del giovane eroe simbolo della città divide. Per un fatto anche economico chiaro: il battagliero ragazzo porta all’Accademia un milione di visitatori l’anno e 8 milioni di euro d’incasso, ma quei soldi sono di un museo statale e quindi l’amministrazione fiorentina niente incamera.
Lo spiraglio. Il ministro scrive: «Sono d’accordo con quanti hanno sostenuto una gestione condivisa. Questo orientamento è sempre stato quello che ho privilegiato su tutte le questioni aperte con il Comune, al di là delle diverse appartenenze politiche. Per il futuro resterò fermo a questa condotta, e non mi farò trascinare in nessuna ulteriore polemica». Comprensibile, e però Bondi fa parte di quel governo che ha la Lega come uno dei suoi assi portanti e che sventola il federalismo spinto come uno dei vessilli.
Chi copia. Conviene notare una curiosità: il ministro riprende espressioni prese paro paro da una breve intervista pubblicata il 15 agosto dal Corriere della Sera a Bonsanti, autorevole studioso di restauro, già soprintedente dell’Opificio delle pietre dure e direttore dell’Accademia dal 1979 al 1988 e ora ordinario di storia del restauro. Bonsanti (che per inciso non parteggia per il fronte politico di Bondi) ritiene lo Stato proprietario, definisce tutta la questione «meschina» (non le persone) e pensa «che andrebbe superata nell’ottica di una gestione condivisa e progettuale. Il David è un simbolo di unità culturale per Firenze e per l’Italia». Bondi l’ha copiato.
La querelle. Ricordiamola in breve. Due legali nominati dal ministero hanno affermato che questo Michelangelo è dello Stato perché l’Italia lo ha ereditato dal Granducato di Toscana (quindi da uno Stato), e non dalla città. Per gli avvocati il Comune attuale, istituito tra il 1771 e il 1783, non è l’erede diretto della Repubblica fiorentina che nel 1504 pagò i 400 fiorini per la statua e che collocò davanti a Palazzo Vecchio, dove ora la rimpiazza una copia. E hanno aggiunto che quando il David fu trasportato nel 1871 al museo dell’Accademia il Comune non rivendicò la proprietà. Renzi ha ribattuto che i documenti dicono il contrario ha chiesto a Bondi anche di discutere di faccende in sospeso come i Grandi Uffizi, i finanziamenti per il Maggio musicale fiorentino, il destino del Teatro della Pergola che era del disciolto Eti, una legge speciale per la città «che, se torniamo a votare, sicuramente ci riprometteranno come in tutte le passate campagne elettorali».
da www.unita.it del 16 agosto 2010