Di che nazionalità sei?», chiede Nico, nel ristorante in cui i camerieri sono quasi tutti stranieri. «Sono siciliano», risponde il ragazzo dietro il bancone, sorpreso e divertito insieme. Siamo a Reggio Emilia. La città del tricolore. E con i colori ci si può anche confondere. Anzi, lo vedremo, ci si deve proprio confondere. Alberto, che incontriamo di fronte al museo che al Tricolore è dedicato, ricorda di quando le forze dell’ordine hanno presidiato via Roma, perché i cittadini si lamentavano del degrado. E la cosa più irregolare che hanno trovato erano i reggiani che affittavano agli stranieri, per cifre folli, piccoli appartamenti, anche per dieci persone alla volta. Poi gli stranieri hanno imparato come si fa. E le cose sono scappate di mano. Chissà perché mi viene in mente via Padova. Chissà.
Ora siamo nel quartiere della stazione, in piazza Domenica Setti, «vittima dell’eccidio delle Officine reggiane», dice il cartello. Una piazza nuova, con il chiosco analcolico gestito da una cooperativa: qualcuno, nel quartiere più difficile della città, si occupa del degrado.
Lì vivono 5000 persone, il 70% è di origine straniera. La giunta comunale ha avviato da tempo un progetto di convivenza, basato su regole e responsabilità. E ha promosso un patto con i cittadini residenti: un «progetto unitario e complessivo», dice l’assessore Franco Corradini, che tocca diversi aspetti della vita quotidiana, dalla convivenza nei condomini alla pulizia delle strade, dai progetti di insegnamento della lingua italiana alla partecipazione di tutti, anche quando si tratta della raccolta differenziata dei rifiuti. Per ridare un «senso di appartenenza ai luoghi» che rappresentavano il «fulcro del degrado». Un parcheggio coperto che era diventato la sentina di ogni vizio: spaccio, abbandono di rifiuti, atti di violenza. Il Comune ha provveduto e provvede, perché la sfida della convivenza non finisce mai: manutenzione di quell’area, abbattimento del parcheggio, apertura della nuova piazza. Non ci sono solo i vigili, ci sono anche gli operatori di strada, a Reggio Emilia. Andate a spiegarlo a Milano, se ci riuscite.
Piazza Setti si apre su via Turri, la strada forse più multietnica della città. E la convivenza si celebra sotto i portici, al civico 25, dove c’è la polizia municipale e un centro di mediazione dei conflitti, sociale e condominiale: perché è lì che precipita la globalizzazione. Nei condomini. La prossima sfida di Corradini riguarda la qualità del commercio etnico. E dove i Nas hanno appena chiuso un negozio che non rispettava le regole, è nata l’idea di un punto vendita dei prodotti delle terre confiscate alla mafia, come promozione della legalità. Tutto si tiene, nell’Italia divisa del 2010.
A Novellara un assessore, Youssef Salmi, è stato clandestino. Non è strano. Quasi tutti gli immigrati che incontrate in giro per il Paese, “prima”, sono stati clandestini. «Puntare sui giovani», sostiene Youssef, che chiede al Pd più coraggio e sa quanta fatica si fa quando si cerca di parlare in modo “diverso” di immigrazione. E di cittadinanza, soprattutto. E i giovani, per Youssef, sono italiani e stranieri che un giorno si confonderanno. Gli fa eco, da Quattro Castella, Ramzi Ben Romdhane, che è consigliere comunale. E dice che è tutta questione di diritti che vanno riconosciuti a tutti. Come vorrebbe la Costituzione, per esempio. E dovremmo iniziare a parlare di «lavoratore straniero», tutto insieme, come se fosse una formula omerica. Senza soluzione di continuità, perché questo ci dicono le statistiche, che molti (quasi tutti) fanno finta di non vedere. E dovremmo evitare di pensare che siamo «buonisti», perché – se volete la mia – «buonista» è un aggettivo che si sono inventati gli «stronzi». Qui c’è qualità amministrativa, capacità di intervento, soluzione dei conflitti. Altro che storie.
A Novellara, l’atrio della Rocca dei Gonzaga ospita una bandiera della pace, la classifica di Miss Anguria e una lapide che ricorda Angelo Torelli, diciottenne, caduto a San Martino. E le sfide in città sono molte, sempre di più, a cominciare dall’intervento per riqualificare via Veneto. Dove la polizia municipale ha sviluppato un vero e proprio know how, da esportare, e dove è intervenuta però tutta l’amministrazione nel suo complesso. Perché così si fa. Protagonisti il sindaco, Raul Daoli, e Paolo Santachiara, l’assessore alla Cultura. Esperienze quasi sconosciute al dibattito nazionale, che predilige i proclami e le sirene (in ogni accezione del termine) della destra al lavoro serio e consapevole delle amministrazioni democratiche. Buone pratiche ancora «clandestine» che per il Pd potrebbero rappresentare quei simboli che andiamo cercando e che sembriamo non trovare mai. Raul è andato fino a Toronto, per capire come si fa, l’integrazione. E anche se molti non capiscono, il giovane sindaco è sulla strada giusta.
E Novellara ci insegna che, oltre alle differenze, dovremmo iniziare a celebrare i tratti comuni, tra le persone. Perché nel vicinato possono maturare insospettabili vicinanze: amicizie e amori. Sogni e bisogni delle persone: alla fine di questo si tratta. E un ciclista con il turbante, che incroci all’imbocco della rotonda, è prima di tutto un ciclista. E un lavoratore, perché sta andando a lavorare. E i suoi figli vanno a scuola. E cresceranno in Italia. E accenderanno, a loro volta, un mutuo. E, quando sarà il loro turno, cercheranno un lavoro. Insieme a noi.
Progetti di vita e realizzazione di sé. Questo è il punto. E a Novellara si scopre che l’unità la si può fare solo nel futuro. E come nel Pd, anche nella vita, dovremmo chiederci «dove stiamo andando», oltre al tradizionale «da dove veniamo», che ci pone sempre sulla difensiva e ci mette paura. In questo strano viaggio, nell’Italia senza identità che stiamo attraversando, scopriamo che ancora una volta il futuro e l’unità vanno di pari passo. Anche quando si presentano con l’espressione apparentemente contraddittoria (ma costituzionale come poche altre) che fa da titolo al Festival che da tre anni si celebra a Novellara: «Uguali diversi». Intercultura nel 2008, crisi nel 2009, giovani nel 2010: un programma di governo. «Futuro cercasi» è lo slogan. Chissà se qualcuno vorrà affittarcelo, il futuro. Altrimenti ci toccherà occuparlo. Democraticamente, s’intende.
L’Unità 14.08.10