Di che nazionalità sei?», chiede Nico, nel ristorante in cui i camerieri sono quasi tutti stranieri. «Sono siciliano», risponde il ragazzo dietro il bancone, sorpreso e divertito insieme. Siamo a Reggio Emilia. La città del tricolore. E con i colori ci si può anche confondere. Anzi, lo vedremo, ci si deve proprio confondere. Alberto, che incontriamo di fronte al museo che al Tricolore è dedicato, ricorda di quando le forze dell’ordine hanno presidiato via Roma, perché i cittadini si lamentavano del degrado. E la cosa più irregolare che hanno trovato erano i reggiani che affittavano agli stranieri, per cifre folli, piccoli appartamenti, anche per dieci persone alla volta. Poi gli stranieri hanno imparato come si fa. E le cose sono scappate di mano. Chissà perché mi viene in mente via Padova. Chissà. Ora siamo nel quartiere della stazione, in piazza Domenica Setti, «vittima dell’eccidio delle Officine reggiane», dice il cartello. Una piazza nuova, con il chiosco analcolico gestito da una cooperativa: qualcuno, nel quartiere più difficile della città, si occupa del degrado. Lì vivono 5000 …