Di notte, quando si passa veloci, sull’autostrada, sembra un campanile illuminato. Natalizio. Invece è la torre delle Porte Franche di Rovato. Un centro commerciale. Con le firme. Che luccicano. Segno dei tempi. E della nostra identità.
Sulla stessa strada, l’A4, al km 226, verso Desenzano, hanno appeso una mucca tricolore. Col cappio. Un’altra più piccola le fa compagnia. Appesa anche lei. Penzolano dai ponteggi. Proteste da quote latte. L’immagine è violenta. E brutta. La scritta «latte onesto» non migliora le cose.
Ci addentriamo nel quadrilatero degli austriaci, che sta diventando il quadrilatero del Lombardo-Veneto, dove il Pd è ridotto alla lotta clandestina. Il paesaggio è incantevole, tra Verona e Mantova: forse è per questo che, dall’altra parte dell’autostrada del Brennero, e siamo già a Verona, si sono inventati Motorcity. Un autodromo nuovo. Nella campagna tra Vigasio e Trevenzuolo. E siccome l’autodromo è un’idiozia, hanno pensato di aggiungere anche un centro commerciale. Il più grande d’Europa (ma quanti sono, i centri commerciali più grandi d’Europa?). E anche un parco a tema. Dedicato alle auto. Chissà cosa farà Zaia, ora, perché la Lega finora si è astenuta. A proposito di paesaggio. Di identità. E di radici.
Siamo a Olfino, Monzambano: a un tiro di schioppo (non metaforico, da queste parti), c’è Solferino. Per (non) dimenticare, andiamo a bere un calice da Cesare Gozzi, che fa il vino dal 1984. Prima si occupava di zootecnia, poi, quell’anno, sono arrivate le quote latte e ha deciso di cambiare. L’azienda è familiare, bene avviata. E il vino è buono. Per Cesare, c’è poco da fare: c’è bisogno di coinvolgere la comunità, prima ancora di organizzare il famoso marketing territoriale. C’è bisogno di politica, azzarda Antonio Viotto, che qui ha fatto per anni il consigliere regionale del Pd. Di non sprecare i soldi in iniziative spot, che tanto piacciono agli amministratori di tutti i colori, e investirli in qualcosa di più serio e concreto. C’è da scegliere tra «l’evento mediatico» e «l’esperienza che rimane». E secondo me questo discorso vale anche per la politica.
Mentre parliamo, arrivano i turisti. Gli austriaci di allora sono i tedeschi e gli olandesi di oggi. Arrivano in pace e vanno via ancora più leggeri. Non vengono a San Martino per la battaglia, ma sulle riviere del lago di Garda, ma scendono volentieri nella bella campagna dell’Alto Mantovano.
Abbiamo bisogno di continuità e di coerenza, riprende Cesare, perché abbiamo tempi e cicli lunghi, in agricoltura. E con la politica e con l’amministrazione, tutto si brucia troppo alla svelta, tranne la burocrazia, che è l’unica cosa che non piace a nessuno.
Basterebbe già così, per oggi, ma poi, lungo il Mincio, si scende a Curtatone: ci sono gli allevatori da incontare. Perché in Lombardia c’è il Trota, ma c’è anche il suo papà. Il Quota.
E ti viene in mente l’Europa. Con il Risorgimento c’entrava eccome. Perché era in ballo l’Unità nazionale, ma l’afflato riguardava i popoli tutti. E la sfida era universale. E il posto dove ci troviamo, questa zona di battaglie e scontri micidiali, era il centro dell’Europa, in quegli anni. Oggi, nel dibattito politico della regione più avanzata del Paese, più vicina all’Europa e più collegata al resto del mondo, nella quale ci troviamo, l’Europa è protagonista solo per le quote latte e per la caccia in deroga. La mucca e la peppola, nemmeno si trattasse di una favola di Esopo o, più probabilmente, di Orwell.
E bisogna spiegarle, le cose. E collegare i passaggi, perché anche questo fa unità. Accade con le quote latte, ad esempio. Perché alla Rinascente, che è un’azienda agricola e non un grande magazzino, Andrea Lovato ci spiega che la storia inizia nel 1984, e venne Goria, e venne Mannino, e venne Fontana, ministri che nemmeno ci ricordiamo più, a spiegare le quote. E siamo ancora in ballo, ora, che sono passati più di vent’anni. Con i furbetti del latticino e quelli che si chiedono, però, perché le quote che hanno pagato cento, ora valgano dieci. E perché i conti non tornino mai.
Andrea è convinto che il mercato libero sia auspicabile. Il suo latte va in cooperativa e diventa Grana Padano. E quando c’è la qualità, dice, e le cose si fanno bene, si è anche competitivi. Il lavoro è difficile, del resto: le vacche non sono come le macchine, ricorda Rodolfo, il papà. Ci vogliono una cultura e una dedizione particolare: cose che non s’improvvisano.
Qui non è elegante parlare di vacche magre, ma da quando c’è la crisi, c’è più solidarietà e più unione tra gli allevatori. E sono gli speculatori che fanno arrabbiare, perché approfittano contemporaneamente dei produttori e dei consumatori. In questi giorni, con gli incendi in Russia, stanno giocando con il prezzo dei cereali. E ad Andrea, a cui il caro-prezzi potrebbe anche convenire, porca miseria, il mais lo ha appena venduto…
Chi ce l’ha fatta?, chiedo ad Andrea. Chi ha modernizzato. E allora sono rimasti i figli e si affacciano anche i nipoti. Non sempre è così, però. E chi ha lasciato la campagna non ci è tornato nemmeno per la crisi. E, tra mungitura e raccolta dei meloni, sono arrivati gli indiani.
E insieme agli indiani, se mi è permesso il gioco di parole, arrivano anche i cow-boy del Risorgimento, almeno nella mia testa, soprattutto quando arriviamo a Rodigo, dove c’è la casa e la corte di Nievo. Alla vigilia dell’impresa dei Mille, Ippolito era qui e scalpitava per la guerra, nella speranza che Garibaldi si decidesse, finalmente. Non perdevano tempo, quei ragazzi, a costo di sbagliare e di fare una brutta fine. E allora si cerca il senso, con la ‘S’ maiuscola di Luchino Visconti. Avete presente la prima scena? No? Verdi, teatro, volantini, passione. E un motivo. Anzi, una ragione profonda. Ecco quello che manca, al nostro senso. E alla nostra storia degli ultimi anni. Secondo Elisabetta Poloni, che ci accompagna, più che il senso ci manca il futuro. Il primo di noi che se ne occuperà, tornerà a vincere. E sarà una sorpresa. Per tutti.
L’Unità 13.04.10