Il trattamento riservato al direttore di Avvenire diventa il metodo applicato agli avversari politici. Le cose potrebbero anche stare come afferma Stefano Filippi del Giornale, il quale dice che se c’è «un’inchiesta “vecchio stile”, tutta giornalistica, senza magistrati che passano verbali e intercettazioni», quella è “l’operazione Fini” con cui Feltri sta tirando su le vendite estive del quotidiano della famiglia Berlusconi, del 4% sotto il budget di ricavi da edicola nel primo trimestre 2010. Ovvero, in sequenza: un input del vecchio cronista Livio Caputo che avverte Feltri e Sallusti (dopo la soffiata via e-mail di «un amico e lettore del Giornale»), l’inchiesta-blitz a Montecarlo di Gian Marco Chiocci, poi di Filippi, infine di Malpica.
L’ex poliziotto Gioacchino Genchi, che di certe cose se ne intende, intravede in questa faccenda – ha detto all’Unità – la manina dei servizi segreti deviati: ieri è toccato al direttore di Avvenire Boffo, oggi a Fini, domani «se so ancora leggere gli avvertimenti, posso prevedere qualcosa anche per Tremonti». Voce non isolata quella di Genchi perché prima di lui anche Carmelo Briguglio, finiano e membro del Copasir, il comitato parlamentare sui servizi segreti aveva puntato il dito contro settori di 007 deviati nell’orchestrazione del Fini-gate.
La denuncia di Briguglio, a sua volta, poggia sugli inquietanti precedenti di pedinamenti e minacce nei confronti di Italo Bocchino da parte di presunti 007: un caso serio, di cui s’è occupato il Copasir e che è oggetto di un’inchiesta della procura di Reggio Calabria «all’interno dei servizi», precisa Briguglio.
La vicenda Fini, al punto in cui è giunta, solleva due diversi ordini di questioni. La prima: quale che sia l’identità dell’“informatore” all’origine del caso, il punto “politico” su cui Fini è chiamato a far chiarezza è se sia vero o no che non sapeva della casa ex An finita al cognato. E da ieri – sempre che Feltri sia in grado di fornire i nomi dei testimoni (finora anonimi) che raccontano di un Fini che avrebbe accompagnato la Tulliani a comprar mobilio per la casa monegasca – il cofondatore del Pdl dovrà dire una parola chiara anche su questo. Sotto questo profilo, la grave denuncia di Briguglio sulla “manina” che può aver innescato l’inchiesta del Giornale, non costituisce un’esimente per eventuali, troppo disinvolti, comportamenti di cui Fini deve rispondere “politicamente”.
Feltri, piaccia o no, fa il suo gioco. Si presenta come fornitore ufficiale delle munizioni per abbattere i nemici del Cavaliere e, insieme, vende più copie. La relazione che lega le azioni dei due, negata da entrambi, non sfugge più a nessuno. Ne fu prova inequivocabile il tentativo di Gianni Letta di bloccare il siluro del Giornale contro Boffo: tentativo che s’infranse contro il muro di gomma di Berlusconi.
Da allora, dal caso Boffo, nulla è stato né sarà più come prima. Fini lo conferma. Nella prossima campagna elettorale del premier-editore – anticipata o no – l’uso del manganello mediatico contro gli avversari sarà una certezza, non un’opzione.
La seconda questione è, in tutta la sua gravità, l’emergere di un possibile coinvolgimento e fiancheggiamento di operazioni politiche da parte di pezzi di servizi (o di strutture ad essi paralleli appartenenti a stati esteri), come si intuì nei giorni del dossier contro Boffo. Poche settimane prima, a riaccendere i fari sulle zone grigie dei servizi era stato Bocchino che aveva espresso dubbi sull’operato di spionaggio e controspionaggio. Dal caso Noemi alle escort a palazzo Grazioli, alle foto di villa Certosa, in parecchi si chiesero, in quei giorni, cosa mai stesse accadendo tra gli 007 che avevano il compito di scortare Berlusconi. «I servizi sono una realtà complessa, fatta di spezzoni che possono andare fuori controllo», disse allora Bocchino. Il Copasir indagò. Si disse che tutto era a posto. Briguglio a parte, oggi anche Scajola dice di Fini che «c’è una guerra di dossier e tutti e due ci siamo finiti dentro». Anche stavolta è tutto a posto nei servizi?
Da Europa Quotidiano 14.08.10