Qual è il futuro dell’isola più famosa del mondo? I nuovi tagli del governo italiano, appena varati, non concedono molte alternative: o l’isola deve essere chiusa per l’impossibilità di esercitare un controllo degno di questo nome – e tanto vale allora blindarla sul serio – oppure tornerà in gioco la speculazione e la volontà di farne albergo di extra lusso per vip e ricchi che non vedono l’ora di violarne la acque trasparenti e i bastioni di granito.
Montecristo è una di quelle isole italiane degne di rilievo mondiale, non solo per il diploma europeo che le è stato conferito per i meriti nella conservazione e tutela dell’ambiente naturale, ma anche perché è l’archetipo dell’isola, l’isola per antonomasia.
Reminiscenze letterarie e la difficoltà di accesso l’hanno resa proibita, e nulla affascina di più al mondo di questa parola. Perfino i quotidiani coreani battono tempestivamente le notizie che riguardano Montecristo, quasi sempre per ribadire che è stata riaperta al pubblico. In realtà l’isola è stata chiusa per decenni e ha funzionato da riserva di caccia per la famiglia reale fino a che non è scampata a progetti di orribili speculazioni edilizie fugati definitivamente da quando è stata ricompresa nel Parco nazionale dell’arcipelago toscano. Ma oggi la situazione rischia di cambiare. I fondi ordinari dei parchi nazionali sono stati ridotti del 50%, cosa che significa, grosso modo, chiudere la metà dei parchi o licenziare la metà dei dipendenti. La situazione è tanto grave che i presidenti dei 23 parchi nazionali minacciano le dimissioni in massa per non rendersi corresponsabili dello scempio che necessariamente seguirà una mutilazione delle risorse talmente pesante da non garantire più alcuna tutela.
La stoltezza di questa manovra non è solo nell’aspetto ambientale: si può pensare che i nostri uomini di governo non abbiano coscienza di cosa significhi proteggere l’ambiente, o che non gliene importi granché, oppure che qualcuno pensi a speculazioni di varia natura. Sta soprattutto nell’aspetto economico: i parchi nazionali attirano ogni anno 95 milioni di presenze (di cui 30 milioni si fermano più di un giorno), con un giro d’affari di 10 miliardi di euro e con un incremento del 15% nell’afflusso turistico rispetto all’anno precedente. I parchi sono cioè un affare d’oro, anzi l’unico che funziona veramente in questi tempi di crisi. Non si riesce a credere che economisti avveduti possano trascurare questo aspetto che ha permesso, fra l’altro, a realtà marginali di acquisire un peso economico notevole grazie alla protezione della natura, come è il caso di paesini come Villetta Barrea e Civitella Alfedena, sconosciuti ai più e oggi fra i maggiori risparmiatori dell’Italia intera. Invece di incrementare quei fondi a 100 milioni di euro l’anno (poco più di due caffè per cittadino italiano ogni dodici mesi), i nostri governanti abbattono a 25 milioni quella dotazione, con un’operazione che non si sa se più suicida o ignorante. In queste nuove condizioni le perle della natura italiana hanno di fronte un bivio: o vengono di nuovo chiuse alle visite e blindate, per non correre rischi di compromissione, o vengono vendute al migliore offerente per fare cassa.
* Presidente del Parco nazionale dell’arcipelago toscano
La Stampa 12.08.10