attualità, politica italiana

"Un mondo alla rovescia", di Michele Brambilla

Quando ieri le agenzie hanno battuto la notizia intitolata «Berlusconi: mobilitazione contro i personalismi», abbiamo pensato tutti quanti di essere su «Scherzi a parte». Lasciamo perdere il passaggio, nella stessa notizia d’agenzia, in cui si riporta la frase con la quale Berlusconi mette sotto accusa «chi antepone i propri interessi al bene di tutti»: lasciamola perdere, perché c’è chi dice che Berlusconi i propri interessi li ha messi al centro della politica, e chi dice invece che li ha messi a rischio per dedicarsi al Paese. Non essendoci unanimità di giudizio (anzi essendoci sul punto, ormai da anni, una guerra di religione fra gli italiani) ci infileremmo in un vicolo cieco.

Ma sul fatto che Berlusconi proprio sui personalismi, anzi sul culto della personalità, abbia costruito la propria fortuna, crediamo che nessuno abbia nulla da obiettare, probabilmente neppure il diretto interessato, che non ha mai fatto mistero di avere una discreta opinione di sé. Del resto è ancora fresca nella nostra memoria visiva l’immagine di soli sei giorni fa, quando alla Camera il premier, entrato a dibattito terminato e osannato dai suoi con un coro «Sil-vio Sil-vio», rispondeva inchinandosi e tenendo la mano sinistra sul petto e quella destra tesa in avanti.

Mentre dai banchi dell’opposizione si levava il contro-coro «Du-ce Du-ce». E abbastanza fresco è anche il ricordo della serata organizzata in suo favore sul tetto del Duomo di Milano dal suo ex dipendente e attuale presidente della Provincia Guido Podestà. In quell’occasione Berlusconi veniva premiato come «grande milanese» e non ci sarebbe nulla da eccepire se nelle motivazioni ufficiali scritte a verbale e poi lette tra le guglie della cattedrale non si scorgesse qualche piccola prova di culto della personalità, tipo «con straordinaria lungimiranza e capacità…», «grazie alle sue eccezionali qualità umane e imprenditoriali…», «la sua vita è un mirabile esempio…», «personalità dallo straordinario carisma», «statista di rara capacità» e via dicendo; e se nel corso della stessa serata Berlusconi non fosse stato anche già beatificato ante mortem da un servitore di Dio quale don Verzè, che ha assicurato: «È un uomo della Divina Provvidenza e non ha neppure bisogno di confessarsi». Detto proprio lì, proprio sul tetto di quel Duomo che fu di san Carlo Borromeo, il quale santo lo è appunto diventato davvero, ma si confessava una volta al giorno.

E fresco è anche lo show di Milanello, dove l’imprenditore e uomo politico di successo ha assicurato di essere anche un grande allenatore, presentando il nuovo tecnico del Milan senza fargli dire una parola perché tanto gli aveva già detto lui come deve far giocare la squadra. Potremmo andare avanti all’infinito. Forse, con una battuta, potremmo spiegarci la campagna di Berlusconi contro i personalismi nel Pdl dicendo che in effetti non c’è nulla né di strano né di contraddittorio: il fondatore è davvero contro i personalismi per il semplice motivo che è a favore del personalismo. Il partito deve esibire un solo volto, una sola voce e un solo carisma. Inutile dire di chi.

Ma in fondo la notizia di questa nuova battaglia berlusconiana contro i personalismi non deve stupirci più di tanto. Se è vero che pare uscita da «Scherzi a parte», è vero anche che da quelle gag sembra ormai uscita gran parte della battaglia politica. Un italiano che fosse appena tornato da Marte non dico dopo dieci anni, ma anche dopo un anno solo, avrebbe infatti l’impressione di essere capitato su un pianeta sbagliato, su una specie di mondo alla rovescia.

Berlusconi vs culto della personalità ci sorprende, ma che direbbe l’italiano tornato da Marte delle «dieci domande» del Giornale a Fini? Solo un anno fa, prima di salire sull’astronave, era Repubblica o ripetere ostinatamente, ogni giorno, dieci domande a Berlusconi. Allora era la destra ad accusare la sinistra di cercare di abbattere gli avversari per via giudiziaria o peggio ancora moralistica, e la sinistra replicava che la vita privata di un uomo pubblico deve essere specchiata, senza ombre e senza misteri. Oggi è la destra che indaga su mogli compagne e cognati, e la sinistra che grida al fango nel ventilatore.

Ma ancora: non è un mondo alla rovescia un mondo in cui chi è al governo spera di cadere? E di doversi rimisurare con il voto popolare? E chi è all’opposizione è invece terrorizzato dall’idea che una spallata butti giù la maggioranza, e che gli italiani possano tornare alle urne? Pensate che in questo mondo in cui i carismatici indicono crociate contro il carisma, i garantisti diventano giustizialisti, i giustizialisti diventano garantisti e l’opposizione tifa per la tenuta del governo, ebbene in questo mondo circola perfino questa voce: che i primi a non volere il federalismo siano proprio i leghisti, terrorizzati da due prospettive. La prima è che si scopra presto o tardi che il federalismo non è la panacea che si diceva, o comunque che è ben più difficile da mettere in pratica di quanto si proclami. La seconda, ancora più terrificante, è che, ottenuto il federalismo, verrebbe meno la ragione sociale della Lega stessa.

È una voce che circola nei palazzi romani, e noi ci limitiamo a riferirla così come l’abbiamo raccolta. Siamo convinti che sia una fesseria. Ma in un mondo alla rovescia come questo, non ci stupiremmo più di nulla.

La Stampa 10.08.10

1 Commento

I commenti sono chiusi.