Uno spettro si aggira da ieri nei corridoi del Consiglio nazionale delle ricerche. È il ministro dell’Economia Tremonti che, dopo avere mantenuto il taglio da 8 miliardi di euro alla scuola e quello da 1,3 miliardi all’università, ha imposto che nello statuto approvato dal cda del più grande ente pubblico della ricerca italiana fosse inserita una norma di bilancio che vincola il costo del personale al 75% del fondo ordinario annuale di 550 milioni.
Non è ancora chiaro se questa norma, fondamentale per il futuro di oltre un migliaio di ricercatori precari del Cnr, sarà calcolata anche sulle spese complessive dell’ente, dato che il testo definitivo dello statuto sarà disponibile nei prossimi giorni. Se la norma si riferisse alle spese complessive, allora le risorse per il personale sarebbero maggiori rispetto al 70% stabilito nella prima bozza dello statuto bocciato dal Consiglio scientifico dell’ente. Se invece si riferisse alla dotazione ordinaria, allora questi mille precari saranno presto allontanati dal Cnr che già oggi supera di gran lunga questa soglia. In ogni caso, lo statuto che il prossimo 16 agosto verrà inoltrato al ministro Gelmini – avrà 2 mesi di tempo per approvarlo – contiene un’innovazione legislativa di non poco conto: conferisce al Miur e quindi al governo – un potere di veto economico sull’autonomia del Cnr.
Una situazione non molto diversa da quanto deciso dal governo Sarkozy sul Cnrs francese. Mettere sotto tutela della politica la ricerca pubblica, imponendo anche una riorganizzazione della governance scientifica in senso manageriale. Redatto da una commissione composta dal consiglio di amministrazione del Cnr e dai cinque esperti nominati dalla Gelmini, il nuovo statuto del Cnr supera – se è possibile – l’estremismo contabile del novello Quintino Sella di via XX settembre. Tratta il Cnr, come del resto il suo ispiratore ha già fatto con l’università e con la scuola, alla stregua di una qualunque altra struttura della pubblica amministrazione.
È del tutto illogico, infatti, vincolare gli investimenti per la ricerca, l’assunzione di nuovi ricercatori, la regolamentazione dell’ampio precariato esistente allo statuto e non al suo regolamento applicativo. È come se i tagli a università e scuola fossero scolpiti in una riforma costituzionale accanto al federalismo. Per modificare una simile norma, occorrerebbe riscrivere l’intera legge. Sarà così anche per il Cnr, nel caso volesse cambiare il suo statuto: sarà costretto a fare ricorso al ministro e avviare un difficile iter burocratico.
L’ipoteca che il governo ha messo sul Cnr ha spinto il presidente Luciano Maiani ad esprimere tutte le sue perplessità nel verbale del consiglio di amministrazione. A preoccuparlo è stato il ritardo con il quale questo organismo ha coinvolto la comunità del Cnr nella discussione sullo statuto. La legge che riordina gli enti pubblici di ricerca (la 213 del 2009) aveva concesso 6 mesi, ne sono stati usati nemmeno la metà. Le perplessità di questo fisico riconosciuto a livello internazionale, ed ex direttore del Cern, riguardano anche le norme sui ricercatori precari che dovrebbero essere regolate con altri strumenti.
Le negoziazioni frenetiche degli ultimi giorni hanno comunque ottenuto un risultato. Il limite di permanenza al Cnr per i ricercatori precari è stato portato da 6 a 10 anni. Una norma che entrerà in vigore solo dopo l’approvazione del nuovo statuto, quindi a fine anno, e non sarà retroattiva, come si temeva qualche giorno fa. Notizia positiva, se non fosse per lo sbarramento delle spese per il personale al 70% che penalizzerà qualsiasi movimento in futuro.
Anche per il personale amministrativo e dei tecnologi il giudizio è negativo. Pur riconoscendo alcuni miglioramenti lo statuto conferma il suo impianto verticistico poiché, scrivono in un comunicato congiunto Cgil, Cisl e Uil, il diritto di voto al cda è riservato solo ai ricercatori. I sindacati premeranno sul consiglio di amministrazione affinché i 525 concorsi banditi quest’anno vengano celebrati prima che il nuovo statuto entri in vigore e i revisori dei conti blocchino le procedure.
Il futuro del Cnr è sempre più simile a quello dell’università. Non solo perché il limite di 10 anni per i contratti è quello previsto dal Ddl Gelmini approvato al Senato, ma perché la perdita dell’autonomia in nome della ragion contabile tremontiana ne prepara la progressiva decadenza e la liquidazione di un’intera generazione di ricercatori.
Il Manifesto 10.08.10