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"Riforma Università, per Napolitano occorre allargare il confronto", di Alessandro Giuliani

Il Capo dello Stato risponde pubblicamente ad alcune associazioni auspicando il coinvolgimento di tutte le parti interessate ad entrare nel merito delle questioni. Il Pd approva e rilancia le sue contro-proposte al ddl. D’accordo pure Pantaleo (Flc-Cgil): per fare le riforme occorre coinvolgere dal basso tutta la comunità scientifica, i sindacati, gli studenti, i precari e i ricercatori.

La discussione in atto sulla riforma dell’Università non risparmia nemmeno il Capo dello Stato. Sollecitato per via scritta della ‘Rete29 Aprile – Ricercatori per una Università Pubblica Libera Aperta’, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha deciso di inviare un lettera al professore Bartolomeo Azzaro, pro-Rettore per lo Sviluppo delle Attività Formative e di Ricerca de “La Sapienza” di Roma, che aveva fatto da tramite per fargli giungere le proteste sulle prospettive dell’Università. Nell’intervento presidenziale, pubblicato il 5 agosto sul sito del Quirinale, si auspica che il ddl n. 1905, approvato a fine luglio al Senato e dopo l’estate all’esame della Camera, ma anche le novità legislative in atto nel campo della ricerca, possa trovare attuazione solo dopo aver condotto “un costruttivo confronto che guardi al merito delle questioni e all’interesse di lungo periodo del nostro Paese, specie in questa fase di gravi difficoltà dove a ognuno è richiesto di fare la sua parte”.”Come sapete – continua Napolitano – ho sempre guardato con attenzione al settore dell’Università e della Ricerca, che giudico fondamentale per la crescita economica e lo sviluppo culturale e civile del Paese”. Dopo aver ricordato il suo recente appello a “salvaguardare la spesa pubblica per investimenti, in modo particolare quelli per la ricerca e per l’alta formazione”, il presidente della Repubblica spiega anche di aver “provveduto ad inviare al Ministro Gelmini copia della vostra lettera, che affronta materie di competenza del Governo, confidando che essa riceverà l’attenzione che merita”.
Il Capo dello Stato ha inoltre fatto sapere di avere risposto ai sottoscrittori dell’Appello per gli Statuti Autonomi degli Enti Pubblici di Ricerca, trasmessogli dal professore Rino Falcone del Coordinamento Osservatorio sulla Ricerca, assicurando di aver inviato, come nel caso della lettera della Rete 29 Aprile, il testo al Ministro Gelmini con “l’invito a considerare attentamente le questioni sollevate in merito alla presenza degli scienziati e dei ricercatori negli organismi di delineazione degli statuti degli EPR, e poi in quelli di governo degli stessi Enti scientifici”.La lettera di Napolitano ha riscossi ampi consensi dal Partito democratico, secondo cui avrebbe usato parole e concetti “assolutamente condivisibili”. Tanto che “i rilievi del Presidente della Repubblica mettono in luce i nervi scoperti della riforma dell`università approvata dal Senato”. Per il responsabile Università della segreteria Pd, Marco Meloni, il suo partito “sta cercando da mesi di portare il governo a un confronto nel merito sulla situazione dei ricercatori, strutturati e precari, i quali, come sappiamo, tengono materialmente in piedi la didattica delle nostre università. Ma il governo non si è mai preso la briga di rispondere alle nostre proposte, né tantomeno a quelle dei ricercatori, mostrandosi così insensibile a questa vera e propria emergenza che in autunno rischia di bloccare gli atenei”.
Queste le principali proposte del Pd: lo sblocco del turn-over per l`assunzione dei nuovi docenti e della misura della manovra che riduce del 50% i contratti temporanei; un reclutamento straordinario nel ruolo di professore per i prossimi 6 anni, finanziato con 140 milioni di euro all`anno; la programmazione delle risorse fin dal momento in cui vengono indette le nuove selezioni per i ricercatori in “tenure-track”; l`abolizione del precariato, con il contratto unico di ricerca. Il nostro auspicio è che, a differenza di quanto finora accaduto, il Parlamento – anche in considerazione delle mutate condizioni politiche -possa prenderle in considerazione al ritorno dalla pausa estiva”.

Tecnica della Scuola 06.08.10

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“Scienziati «senza voce» Il Colle accoglie l’appello”, di Cristiana Pulcinelli

L’università italiana ha avuto la sua autonomia vent’anni fa. Oggi è il turno degli enti pubblici di ricerca. Si tratta di enti importanti come il Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche) , l’Inaf (Istituto nazionale di astrofisica) l’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) che dovrebbero finalmente avere la possibilità di autogovernarsi attraverso degli statuti. L’idea non è nuova, anzi è prevista nella stessa costituzione, all’articolo 33 che recita: «Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». Ma questa opportunità si sta rivelando una beffa. Lo ha denunciato l’Osservatorio sulla ricerca, un gruppo di scienziati che si occupa di politica della ricerca. A fine luglio l’Osservatorio ha lanciato in rete un appello in cui si sottolinea il fatto che «si stanno realizzando gli statuti autonomi di enti di ricerca in cui operano comunità scientifiche di assoluto valore e rilevanza internazionale, senza che nessuno scienziato di queste comunità possa partecipare alla stesura attiva di questi statuti». In due settimane l’appello è stato sottoscritto da oltre 1300 ricercatori tra cui personalità di rilievo come Margherita Hack, Carlo Bernardini, Lucio Luzzatto, Giorgio Parisi, Marcello Buiatti. Il 30 luglio l’appello è stato mandato al presidente della Repubblica. E il 2 agosto Napolitano ha risposto. Nella lettera, il presidente dice che invierà l’appello al ministro Gelmini «con l’invito a considerare attentamente le questioni da voi sollevate in merito alla presenza degli scienziati e dei ricercatori negli organismi di delineazione degli statuti degli EPR (Enti Pubblici di Ricerca, ndr) e poi in quelli di governo degli stessi Enti scientifici». «Il problema – spiega Rino Falcone, tra i primi firmatari dell’appello – è che negli organismi che stanno mettendo a punto gli statuti non c’è nemmenounmembrodella comunità scientifica interna all’ente interessato. Sono organismi composti da burocrati che non hanno nessuna idea di cosa sia la ricerca viva. Quindi non c’è nessuna autonomia partecipata. E il presidente sottolinea i limiti della legge nei due punti citati nella lettera». Tutta la storia comincia nel 2007 quando, sotto il governo Prodi, venne approvata una legge delega per dare autonomia statutaria agli enti di ricerca all’interno però di un quadro di riforma più complesso nel quale veniva istituita, ad esempio, anche una Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca. Secondo la legge del 2007, lo statuto di ogni ente sarebbe stato realizzato dal consiglio scientifico dell’ente più 5 personalità scelte dal ministro tra “esperti di alto profilo scientifico”. Nel decreto legislativo del 2009 voluto dalla Gelmini la legge del 2007 viene modificata: l’organismo che stende lo statuto è formato non più dal consiglio scientifico,madal consiglio di amministrazione (di nomina politica) più 5 esperti “dotati di specifiche competenze in relazione alle finalità dell’ente ed al particolare compito conferito”, scelti dal ministro (e quindi, ancora di nomina politica). Come d’incanto, sparisce l’alto profilo scientifico. Entro il 16 agosto gli statuti dovranno essere inviati al ministro Gelmini. Alcuni sono ancora in fase di elaborazione, ma le premesse non sono buone. Che Napolitano abbia a cuore le sorti dell’università e della ricerca lo dimostra il fatto che ieri ha risposto anche a un’altra lettera, inviata questa volta dai coordinatori della «Rete29 Aprile Ricercatori per una Università Pubblica Libera Aperta» nella quale venivano esposti vari problemi relativi alla nuova riforma attualmente all’esame del Parlamento. Nella lettera il presidente auspica che su università e ricerca si avvii un «confronto costruttivo che guardi al merito delle questioni e all’interesse di lungo periodo del nostro Paese» perché l’esigenza di una riforma e «una dotazione adeguata delle risorse sono due facce della stessa medaglia».

L’Unità 06.08.10