Ci sono tante forme di intelligenza e tante maniere di esprimerla. Ieri, quando nel telefono, una voce amica mi ha comunicato dall´Italia la scomparsa di Elvira Sellerio, ho pensato alla sua intelligenza. È stata la prima cosa che mi è venuta in mente, e la maniera in cui essa si esprimeva. E ho pensato che l´intelligenza di Elvira si esprimeva attraverso l´eleganza. Non parlo di un fatto estetico quanto di un´essenza profonda, di quell´indole che partecipa della ragione e del sentire, dell´intelletto e del sentimento.
Conobbi Elvira nel 1983. Fu attraverso Paolo Mauri, al quale avevo mandato il dattiloscritto di Donna di Porto Pim. Avevo buttato giù un libretto che non sapevo a che genere appartenesse, era un “testo”, un diario di bordo quasi fantastico per raccontare quel che mi pareva, una cosa troppo “anomala”, o almeno troppo eccentrica per l´editoria di allora, e la “Biblioteca delle Silerchie” e Vittorio Sereni purtroppo non c´erano già più.
L´incontro avvenne a Pisa. La simpatia reciproca fu immediata, come la scintilla dell´amicizia a venire. Ricordo perfettamente l´argomento un po´ scherzoso della nostra prima conversazione: un ipotetico gemellaggio fra Pisa e la Scuola Siciliana. Perché mi ero ricordato che fu Federico II di Svevia che introdusse in Italia e in Europa lo zero. Ma chi lo fece in concreto alla sua corte fu un matematico pisano, Leonardo Fibonacci. Così chiesi a Elvira se potevo essere lo zero che completava il prossimo numero della sua giovane collana “La Memoria”, di cui avevo appena letto l´ultimo uscito, un Prosper Mérimée. Mi rispose che le spiaceva, ma il numero 70 era già in stampa, occupato da Montesquieu. Di fronte a tanto mi rassegnai volentieri a essere il numero 71.
L´amicizia è fatta soprattutto di complicità, perché in fondo, come ha scritto uno che se ne intendeva, è la complicità che rivela le affinità elettive. Di questa complicità mi pare un esempio significativo la scelta di una copertina, quell´immagine nel piccolo quadrato circondato dal blu che fa la bellezza della collana. Apparentemente è un fatto banale, ma non lo è. Era l´estate del 1984, credo, io non ero in Italia, doveva uscire Notturno Indiano. Elvira mi chiamò, mi chiese se avessi scelto un´immagine. La “quarta” l´aveva scritta Sciascia, che aveva ben capito lo smarrimento del protagonista di fronte all´universo impenetrabile dell´India. «In India fai talmente l´indiano che per la copertina avrei scelto una miniatura persiana».
Ora che ci penso e che sto ricordando quel nostro primo incontro, la Scuola Siciliana e la cultura di quell´antica civiltà mi sembrano gli elementi costitutivi, quasi genetici, dell´intelligenza di Elvira Sellerio. È la stessa civiltà elegante che in Italia introdusse la prima lirica, il sonetto e le matematiche, che rifiutò le crociate e promosse l´incontro fra le culture. Una civiltà che non è mai morta, nonostante la ferocia degli avversari, e che attraversando i secoli è arrivata fino a noi, con illustri esempi (ne cito solo alcuni, come Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino, Ignazio Buttitta, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Antonino Caponnetto, la Casa editrice che Elvira fondò con suo marito Enzo). Una civiltà, una cultura, un modo di essere e di porsi nella vita che certo non si è spenta e della quale Andrea Camilleri è un magnifico rappresentante. È la “nostra” (o almeno la mia) Scuola Siciliana, alla quale dobbiamo una persistenza della civiltà italiana nonostante la volgarità che ci sommerge, una nobiltà di spirito nella quale si rispecchia la parte migliore dell´Italia.
Con Elvira Sellerio ho pubblicato durante gli anni sei libri. Il settimo uscirà il prossimo gennaio affidato all´attenzione e alla bravura del suo continuatore, suo figlio Antonio.
“La Memoria”, questa splendida e già mitica piccola collana blu, senz´altro una delle più belle collane di narrativa che possa vantare l´editoria europea, è la migliore memoria tangibile che Elvira ci lascia. Ai figli Antonio e Olivia va il mio pensiero affettuoso. A Elvira, da questa sponda dell´Atlantico, la mia profonda nostalgia.
La Repubblica 04.08.10
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