Se davvero verrà confermata stasera, alla vigilia della votazione sulla mozione di sfiducia al sottosegretario Caliendo, coinvolto nell’inchiesta sulla P3, la decisione dei deputati finiani di astenersi domani nella votazione che mette a rischio il governo, a meno di una settimana dalla rottura tra Berlusconi e Fini, darà subito il segno del cambiamento di passo del nuovo gruppo, interno al centrodestra ma distinto adesso dal Pdl.
Un appoggio esterno, né pieno, né convinto a Berlusconi, specie in una materia come la legalità, su cui il presidente della Camera s’è impegnato in prima persona. E tuttavia niente che possa far pensare che «Futuro e libertà», come hanno scelto di chiamarsi i dissidenti, possa già staccare la spina.
Seppure le loro intenzioni saranno spiegate chiaramente in aula, a cominciare dall’esigenza di prendere le distanze dall’iniziativa dei dipietristi, che con l’appoggio del centrosinistra hanno promosso l’iniziativa per far uscire Caliendo dal governo, il risultato di questa presa di posizione – per di più condivisa anche da Casini e dall’Udc – sarà di far sembrare il governo anche più debole di quel che era apparso subito dopo il divorzio tra i due cofondatori. In mancanza di ulteriori imprevisti, infatti, Berlusconi, diversamente da quanto era avvenuto per Scajola, Brancher e Cosentino, riuscirà nell’intento di salvare il quarto membro del suo governo finito sotto accusa. Ma con un numero di voti – 308 o giù di lì – che mostrerà in tutta evidenza come il premier non disponga più della maggioranza alla Camera.
Il Cavaliere aveva preteso un’accelerazione, ieri, prima che la Conferenza dei capigruppo decidesse quando calendarizzare la sfiducia a Caliendo, per mettere chiaramente alla prova Fini. Il leader della nuova formazione nata dalla fuoruscita dal Pdl si sarebbe trovato così stretto davanti a una scelta difficile. Avrebbe smentito se stesso se avesse preso tempo, dopo aver tenuto un atteggiamento rigoroso nei confronti di tutti i casi giudiziari che hanno coinvolto componenti dell’esecutivo. E ancor di più se, una volta accontentato Berlusconi fissando subito dibattito e voto sulla sfiducia, si fosse allineato votando con la maggioranza per il salvataggio del sottosegretario e smentendo tutti i suoi atteggiamenti precedenti. Va da sé che nel caso contrario, di un improbabile voto dei finiani con Di Pietro e il centrosinistra per il licenziamento di Caliendo, la crisi di governo sarebbe stata automatica. E le assicurazioni, giunte nel fine settimana al Quirinale anche da parte dei finiani, sull’allentamento della tensione e sull’impegno a sostenere il governo malgrado la separazione dal Pdl, sarebbero state contraddette dai fatti.
Fini invece ha scelto di smarcarsi con la «mossa del cavallo», un classico del professionismo politico, che aggirerà – sempre che sia confermata – le forche caudine sotto le quali il Cavaliere voleva costringerlo a passare. Lasciando intatto però lo stato dei rapporti tra i due diversi tronconi del centrodestra, e confermando che l’appoggio dei finiani Berlusconi dovrà conquistarselo volta per volta.
A tutto ciò occorrerà aggiungere l’effetto-immagine sul governo che verrà dalla seduta parlamentare sulla sfiducia per la quale è stata prenotata la diretta tv. Anche qui: nei calcoli del premier doveva essere l’occasione per far vedere dopo gli ultimi giorni incerti il governo vincente e l’opposizione battuta. Ma in realtà l’effetto che si preannuncia alla fine sarà l’opposto.
Pensiamo solo se il Cavaliere dovesse decidere di partecipare sedendo, come gli spetta, al centro del banco del governo ed esattamente sotto la poltrona di Fini, che questa volta risulterebbe assiso direttamente sulla sua testa. E se, com’è normale, le telecamere dovessero indugiare sul disappunto, sicuramente palpabile, dei berlusconiani, quando i finiani spiegheranno le ragioni per cui non possono votare con il governo. Inoltre, dalla separazione dei due cofondatori al dibattito sulla sfiducia saranno passati così pochi giorni che non ci sarà stato il tempo di stabilire una nuova collocazione nell’aula di Montecitorio per i due gruppi neo-separati e per deputati che fino a qualche giorno fa erano alleati e iscritti allo stesso partito e adesso si considerano vicendevolmente traditori quando non avversari.
Si dirà che questi sono dettagli, e la sostanza è che Caliendo, alla fine di una dura giornata, potrà tornarsene a casa (e l’indomani in ufficio) a bordo della sua auto blu governativa, diversamente da quel che è accaduto per i suoi tre colleghi – due ministri e un sottosegretario – che nei mesi scorsi hanno dovuto dimettersi dai loro incarichi. E’ così, la conclusione sarà quasi certamente questa. Ma a che prezzo, e di quale governo resterà membro Caliendo, gli italiani lo vedranno bene con i loro occhi.
La Stampa 03.08.10