lavoro, politica italiana

"Addio alla pensione di anzianità per chi inizia a lavorare a 30 anni. Gli interventi sulla previdenza", di Gianni Trovati

Un appunto prima di tuffarsi nei calcoli sulle nuove pensioni, rese ufficiali dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della manovra correttiva (è la legge 122/2010, pubblicata venerdì): chi ha iniziato a lavorare dopo aver compiuto i 30 anni getti in un angolo «quote» e calcolatrici e si metta il cuore in pace. Per lui c’è solo l’uscita di vecchiaia, che per ora fa scattare i requisiti a 65 anni (e il riposo un anno dopo). L’unica eccezione, dopo l’emendamento «europeo» che ha equiparato uomini e donne negli uffici pubblici, sono le lavoratrici del settore privato (sono il 24,6% degli occupati), che raggiungono il diritto a 60 anni e la finestra d’uscita a 61: per poter contare sulla pensione di anzianità, loro devono aver iniziato a versare i contributi prima dei 24 anni.

Il pensionometro
Per tutti gli altri è aperta la giostra dei calcoli sulle pensioni, che alla coda delle vecchie norme sulle «quote», cioè la somma di età e anzianità necessaria a centrare l’uscita anticipata, mescolano le novità su pubblico impiego, finestre e speranza di vita. Il «pensionometro» pubblicato qui mostra gli effetti combinati di tutti questi interventi per i lavoratori dipendenti: rispetto a loro, gli autonomi (al netto delle particolarità legate alle varie casse professionali) devono aspettare un anno e mezzo in più, perché l’età minima per andare in pensione è più alta (61 anni oggi, 62 dal 2013, contro i 60 anni oggi e 61 dal 2013 che regola l’addio dei dipendenti) e le finestre d’uscita si aprono sei mesi dopo.

Le quote
Il primo fattore da considerare sono le «quote» introdotte dalla riforma del 2007, che non ha ancora terminato la lunga strada verso l’applicazione a regime. Fino alla fine del 2012, i requisiti per la pensione di anzianità dei dipendenti maturano per chi ha almeno 60 anni di età e 36 di anzianità (quota 96), mentre dal primo gennaio 2013 l’età minima sale a 61 anni (quota 97). Per gli autonomi, come accennato, occorre un anno di età in più.

Le finestre
Raggiunti i requisiti, bisogna aspettare l’apertura della finestra; qui interviene la prima novità della manovra correttiva, che a partire dall’anno prossimo impone ai dipendenti di aspettare 12 mesi dalla maturazione dei parametri all’uscita effettiva (per gli autonomi i mesi sono 18). Un lavoratore nato nel marzo del 1950 ed entrato in ufficio a 26 anni raggiunge quota 96 (61 anni di età + 36 di anzianità) nel 2011, ma per salutare i colleghi dovrà aspettare l’aprile del 2012. Il dato chiave nel meccanismo delle quote è l’età anagrafica. Chi è nato nel 1951 e ha iniziato a lavorare nel 1975, per esempio, otterrebbe la quota 96 nel 2011, ma il diritto scatta solo con il 61esimo compleanno, cioè nel 2012: ancora un anno di attesa per l’apertura della finestra e per il 2013 il riposo è garantito. Il meccanismo non riguarda i lavoratori della scuola e gli iscritti alle casse di previdenza private.

La vecchiaia
L’anno supplementare di attesa previsto dalla manovra riguarda anche chi punta alla pensione di vecchiaia, investita dalla riforma nel nome della Ue per le lavoratrici del pubblico impiego: per quest’anno e il prossimo l’età per la vecchiaia rimane a 61 anni, ma dal 2012 balzerà a 65, equiparando il loro regime a quello dei colleghi maschi. La novità non tocca naturalmente le regole per l’anzianità, e nemmeno quelle per il pensionamento dopo 40 anni di servizio, che rimangono valide per tutti.

La speranza di vita
La manovra introduce però un’ulteriore meccanismo, che dal 2015 modificherà il tempo da trascorrere al lavoro in proporzione alla speranza di vita della popolazione. Il primo aggiornamento è in calendario per il 2015 (in questo caso la quota di lavoro aggiuntivo non potrà essere superiore ai tre mesi), il secondo sarà nel 2019 e poi si verificherà ogni tre anni. Con le dinamiche attuali, il meccanismo dovrebbe aumentare di un anno la permanenza al lavoro a partire dal 2028 (si veda anche il Sole 24 Ore del 19 luglio).

Liquidazioni a rate
L’altra novità per i dipendenti pubblici, uomini e donne, è la dilazione in rate annuali delle liquidazioni “alte”. Per le uscite successive al 30 novembre, la prima rata non potrà superare i 90mila euro, la seconda sarà al massimo di 60mila e la le eventuali quote aggiuntive saranno rimandate al terzo anno. Le anzianità maturate dall’anno prossimo, poi, vedranno calcolare la liquidazione con le stesse regole seguite per i dipendenti privati.

Il Sole 24 Ore 02.08.10

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