La commemorazione del trentennale della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 80, che causò 85 morti e 200 feriti, sarà senza ministri: per la prima volta in trenta anni, sarà il prefetto di Bologna Angelo Tranfaglia a parlare a nome del Governo, ma solo nella cerimonia prevista alle 8.30 in Consiglio comunale, dove non ci sarà pubblico se non selezionato, prima del corteo che raggiungerà Piazzale Medaglie D’Oro.
Dal palco, in stazione, la commemorazione sarà affidata, invece che ai politici, a due ragazze nate nell’80 in rappresentanza della memoria storica di quell’evento. Ed è già polemica. L’Italia dei Valori, per voce della coordinatrice dell’Emilia Romagna Silvana Mura, condanna con forza la scelta del governo di non essere presente, augurandosi che non sia dettata dagli eventi politici degli ultimi giorni. «Si tratta – scrive Mura – di un clamoroso atto di viltà nei confronti dei parenti delle vittime di una delle più gravi stragi della storia italiana. Non è la prima volta che il governo Berlusconi affronta l’appuntamento con malcelato fastidio – prosegue la parlamentare Idv – ma questa volta si è superato il segno voltando le spalle non solo a Bologna ma alla storia d’Italia». Il deputato finiano della Pdl, Enzo Raisi, già componente della commsissione Mitrokhin e sostenitore della pista alternativa palestinese sulla strage, ha definito dal canto suo «cosa buona e giusta» evitare «fischi e trombette» in occasione della commemorazione in piazza, come avvenuto negli ultimi anni.
«La verità non può più essere negata dietro agli umilianti silenzi del segreto di Stato», dice il segretario nazionale del Pd, Pier Luigi Bersani, in una lettera inviata al presidente dell’Associazione delle Vittime della Strage che «provocò la morte e il ferimento di tanti innocenti – ricorda Bersani – e gettò nel lutto l’Italia intera». «Vogliamo garantire il nostro impegno – assicura Bersani – affinché possa emergere tutta la verità, perché adesso ne abbiamo solo degli spezzoni. Le sentenze ci sono, ma cosa ci sia stato alle spalle di questa strage e delle altre che hanno colpito il nostro Paese è ancora un punto da indagare e non risolto».
Bersani ricorda che nel 2007 il Parlamento italiano ha approvato una legge sul segreto di Stato, non ancora applicata, che rischia di prolungarne la durata. «Noi siamo contrari – scrive Bersani a Bolognesi – e voglio assicurarti il nostro sostegno nel chiedere che il termine dei 30 anni di segretezza venga rispettato e che tutti i documenti vengano resi pubblici, a partire dal prossimo anno».
L’Unità 01.08.10
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“La fuga dei ministri dalla piazza di Bologna”, di MICHELE SERRA
Nel trentennale del gesto politico più sanguinario della storia repubblicana, Bologna per la prima volta ricorda i suoi morti senza il governo e (quasi) senza lo Stato. La presenza onorevole e simbolica del prefetto non basterà a coprire la voragine di un´assenza oggettivamente gravissima, perché sancisce ufficialmente la mancanza di una memoria condivisa.
E dopo trent´anni, riconsegna il lutto alla comunità bolognese come fosse «cosa sua». I precedenti sono noti. La sentenza definitiva sulla strage, che ne attribuisce l´esecuzione ai terroristi neri (strage fascista, dunque, non è una forzatura ideologica) viene defalcata a «verità politica» da buona parte della destra italiana, così che anche la sola strage terroristica che abbia avuto una lettura giudiziaria pienamente conclusa viene risospinta nel limbo insopportabile delle mezze verità e dei misteri inafferrabili. Questa lesione, più recente, è andata a sommarsi al radicato astio che una piazza così orribilmente offesa già nutriva per il potere politico del tempo, accusato di depistaggi, coperture, silenzi: in due parole, di alto tradimento. Di qui la radicata pratica dei fischi rabbiosi che accolgono ogni anno governanti anche incolpevoli, ma giudicati responsabili della continuità omertosa dello Stato, simboli di un potere inaffidabile, ipocrita e distante.
Non interessa, qui, valutare ragioni e torti di questa frattura che in trent´anni, piuttosto che ridursi, si è radicalizzata. Interessa misurarla, la frattura, in tutta la sua incurabile profondità: un lutto nazionale tra i più dolorosi e significativi viene infine giudicato non gestibile, politicamente incontrollabile, dal governo centrale, che lo rimbalza alle autorità locali (con macabro sarcasmo, si potrebbe dire che anche questo è federalismo…). Si noti che il ministro incaricato non avrebbe dovuto parlare in piazza ma in Comune, per tutelarlo dalle contestazioni e per tentare di interrompere il rituale aspro dei fischi. Tanto non è bastato al governo per decidere di essere a Bologna questo 2 agosto.
La fuga di Roma da Bologna colpisce anche perché si aggiunge a un quadro di separazione progressiva e tumultuosa dei cittadini dalla politica, e della politica dai cittadini. Paiono vite parallele, dunque mai convergenti, anche quando l´occasione riguardi tanto la società quanto le istituzioni, vedi le commemorazioni palermitane di Falcone e Borsellino che sono state quasi «privatizzate» dai cittadini per evitare contiguità indesiderate.
Probabile che anche a Bologna molte voci commentino con sollievo la latitanza del governo, «stiano pure a casa loro». Ma un Paese nel quale la politica teme il popolo (a meno di incontrarlo in festose adunate di consenzienti, o di farne comparsa per tripudi di massa) e il popolo disprezza la politica, è un paese schizofrenico, sdoppiato, e in ultima analisi paralizzato fino a che accada qualcosa che sblocchi questo impotente ringhiarsi, evitarsi, detestarsi. Se nell´agenda del governo, alla data del 2 agosto, non è segnata con l´evidenziatore la parola «Bologna», significa che il prezzo di quattro fischi non vale il dovere di rappresentare lo Stato, nemmeno nel chiuso di un Palazzo comunale. Sia viltà politica, sia pura sottovalutazione, sia il calcolato sgarbo a una città ex-rossa e oggi commissariata (e quasi felice di esserlo: altro scacco alla politica), è una prova di sconsolante debolezza.
La Repubblica 01.08.10