Dario Franceschini, il Pd ha deciso di parlamentarizzare la crisi. Sperate in una crisi di governo, che di certo non può verificarsi a Parlamento chiuso. Lei è il presidente del gruppo parlamentare alla Camera: ce la farete a tenerla aperta, e fino a quando? «Per capire perché abbiamo deciso di parlamentarizzare la crisi dobbiamo guardare non avanti, ma indietro: sarebbe stato possibile immaginare, anche solo qualche anno fa, il principale partito di governo che si spacca, la nascita di nuovi gruppi parlamentari, il presidente del Consiglio che chiede le dimissioni del presidente della Camera come se fosse di sua proprietà, senza che di tutto questo non si parli in Parlamento?».
Non starà pensando che Berlusconi ha cacciato apposta Fini alla vigilia delle vacanze estive…
«Ma no. Purtroppo, da sempre Berlusconi rifiuta le normali regole della democrazia. Sfugge al Parlamento perché sfugge al confronto politico. Ne ha paura. Il Senato e la Camera, comunque, la prossima settimana restano aperti. Di fronte a una crisi di questa portata non c’è vacanza».
State puntando a mettere ai voti la sfiducia al sottosegretario alla Giustizia Caliendo, inquisito per la P3. Sicuri che i finiani voteranno con voi?
«Non posso predire cosa faranno i finiani. Non lo so. Fini ha detto che sostiene il governo per ciò che attiene al programma del Pdl, ma che impedirà norme che contrastano con la legalità. E su due analoghe mozioni di sfiducia avanzate dal Pd, i sottosegretari Brancher e Cosentino si sono dimessi proprio alla vigilia del voto, per paura. Mi sembra che Caliendo sia più potente di Cosentino o di Brancher, non so il perché… La prossima settimana il decreto legge sui trasporti e quello sull’energia potranno essere messi ai voti solo se arriverà in Aula la nostra mozione di sfiducia a Caliendo».
E’ sicuro che il presidente Fini vi darà ascolto?
«Il regolamento della Camera obbliga a rispettare negli ordini del giorno la quota, così si chiama, dell’opposizione. Noi abbiamo chiesto solo questo, e Fini ha già riconosciuto che è un nostro diritto».
Sull’evoluzione della crisi c’è maretta nel Pd. D’Alema penserebbe a un ribaltone, altri puntano a un governo-ponte per arrivare al voto…
«Guardi, se riusciamo a far cadere Berlusconi nel Pd ci mettiamo d’accordo in cinque minuti su tutto il resto. Abbiamo discusso a lungo tra noi, e c’è intesa totale su un principio: occorre un governo di transizione che prepari una nuova legge elettorale e apra le porte a un bipolarismo europeo moderno. Se si va al voto con questa legge, con la porcata, si rischia di arrivare a una transizione tripolare, con Fini che esce dall’asse Pdl-Lega. Questa legge può consegnare il Parlamento a chi ha solo il 30 per cento dei voti e del Paese. E’ pericoloso».
In questa crisi è di nuovo strategica la Lega. Che è il vostro nemico numero uno, ma alla quale avete già allungato un ramoscello d’ulivo…
«Mica è tattica, la nostra. Sull’immigrazione, sulla sicurezza, il rapporto con la Lega per noi è impossibile. Ma il federalismo fiscale ci interessa. Da sempre, tanto che in Parlamento non abbiamo votato contro, ci siamo astenuti. E proprio il lavoro di questi mesi ci è servito per far sapere a Bossi che, qualsiasi cosa succeda al governo, il lavoro sul federalismo lo porteremo avanti».
C’è la possibilità che la Lega si sfili dall’alleanza con Berlusconi?
«Le possibilità mi paiono scarse. Ma quello che so e che vedo, perché io non sono della Padania ma sono della pianura padana, è che c’è una distanza siderale tra le cose che gli elettori della Lega vorrebbero e i comportamenti del miliardario arrogante con cui si sono alleati. Una distanza che ormai per i loro elettori sta diventando insopportabile».