Si respira un clima pesante nella destra italiana. Nelle aule e nei corridoi di Montecitorio regnano l’incertezza, la confusione, il retroscena sui colloqui veri o presunti tra esponenti politici dei due schieramenti. E intanto fuori, nel paese reale, ci sono lavoratori che perdono il posto, ragazzi e ragazze che non hanno alcuna certezza per il futuro. Ci sono imprese che faticano a resistere alla crisi, terremotati abruzzesi che non vedono la prospettiva di una vera ricostruzione. Mentre, a causa delle scelte della Fiat, nell’assenza impressionante di una qualche politica del governo (e per ora anche di un ministro), viene al pettine un grande nodo che riguarda la competitività del nostro sistema industriale e di un settore importante come l’auto. Sia che nel Pdl in queste ore si faccia la pace (o la tregua) sia che si vada ad una rottura, ci sono due dati da cui il maggior partito dell’opposizione non può prescindere: è necessario mettersi in sintonia con le persone in carne ed ossa, con chi lavora e produce, con i problemi veri dell’Italia, fare un’opposizione efficace e denunciare con forza che questo centrodestra non è in grado di governare.
Al tempo stesso dobbiamo saper vedere che siamo di fronte al fallimento del Pdl e alla conclusione di una lunga stagione politica che ha segnato nel bene e nel male (per noi più nel male che nel bene) la vita di questo nostro paese negli ultimi due decenni. Attenzione, Berlusconi non è ancora uscito di scena, combatte, cerca in ogni modo di distruggere gli innumerevoli ostacoli che sta incontrando nel suo cammino: Fini è il primo della lista ma non è l’unico, ormai la partita del “dopo Berlusconi” è aperta nel centrodestra e la Lega può decidere di separare il suo destino da quello del premier.
Di fronte a questo scenario, oggettivamente in movimento, il Pd non può stare fermo e condannarsi all’irrilevanza. Dobbiamo lavorare a costruire una fase nuova, a mobilitare forze, a fare proposte per cambiare l’Italia nel segno dell’eguaglianza e della crescita.
Prima si scrive la parola fine sotto il racconto berlusconiano, prima riusciamo a «mandarlo a casa» – come ci chiedono i nostri militanti ed elettori in questi giorni nelle feste del Pd – meglio è per l’Italia.
Non può esserci contraddizione tra la missione per cui il Pd è nato e l’assunzione di un’iniziativa in grado di fronteggiare eventuali accelerazioni politiche e istituzionali nella crisi in atto nel centrodestra.
Se si dovessero creare le condizioni per l’apertura di una fase di transizione così da giungere alle elezioni avendo affrontato alcune riforme sia sul terreno economico-sociale sia su quello istituzionale, ciò potrebbe rappresentare un bene per il paese e il Pd non potrebbe che essere partecipe di questo passaggio.
Una sola cosa non possiamo permetterci: che la fine dell’era berlusconiana (ancora non scontata ma certo finalmente possibile) coincida con la fine del bipolarismo italiano. Un bipolarismo imperfetto, che ha consentito l’alternanza ma non ha prodotto la maturazione di campi alternativi coerenti e capaci di realizzare le riforme necessarie per rendere l’Italia più dinamica e più giusta.
Una scomposizione e ricomposizione del quadro politico è possibile, e il Pd deve porsi il problema di interloquire sia con forze moderate che potrebbero liberarsi nella crisi del centrodestra sia con realtà della sinistra dispersa in tanti rivoli ma interessate a misurarsi con la sfida del governo. Così come occorre guardare con più attenzione a risorse della società civile che in un momento come questo possono rendersi disponibili e mettersi al servizio di un progetto di cambiamento vero.
Insomma, dire che il Pd è pronto a concorrere a un’eventuale fase di transizione non significa aprire la strada a pasticci o a riforme che facciano tornare al passato il nostro sistema politico. Per le stesse ragioni non mi appassiona il gioco del sondaggio sulla leadership e credo che sia sbagliato dall’interno del Pd strizzare l’occhio all’iniziativa di Vendola. Le sue “fabbriche” possono essere utili a riaggregare forze disperse, a lanciare idee e a contribuire a un’affermazione del centrosinistra soltanto se Nichi abbandona l’idea di mettere in difficoltà il Pd.
Non sappiamo ancora quando e come si arriverà alle elezioni: porre la questione della leadership del centrosinistra senza avere idea del quadro che ci troveremo davanti è in maniera evidente soltanto un modo per aprire una competizione interna al centrosinistra che rischia di restringere anziché allargare il campo.
Ma ciò che ci chiedono gli elettori stanchi di Berlusconi e sfiduciati è che il centrosinistra sappia mettere insieme le sue forze attorno a un’idea forte e comprensibile per il paese. Ora è più chiaro che se il Pd rinuncia a giocare il ruolo, che gli spetta, di perno e di architrave del campo progressista si apre la strada a giochi che, da destra o da sinistra, minano alle fondamenta il nostro progetto.
da Europa Quotidiano 30.07.10