Del passo indietro del governo sulla legge bavaglio sono state dette tante cose. Che rimane una legge anticostituzionale, che il provvedimento va ritirato lo stesso, che sulla libertà di informazione non si accettano contentini. In pochi però si sono accorti che un bavaglio è rimasto, ed è quello stretto sulla bocca di quanti, nell’era del giornalismo partecipativo, hanno in questi anni contribuito a fare della rete un serbatoio di informazione alternativa e autonoma. Parliamo di blog popolari come Macchianera (ricordate la vicenda del rapimento di Giuliana Sgrena?
Fu il blogger Gianluca Neri a pubblicare il rapporto dei militari americani su quanto accaduto svelando i loro omissis), Nazione Indiana (sulle cui pagine ha iniziato a pubblicare le prime inchieste Roberto Saviano), ma anche dei diari on line di migliaia di semplici internauti. Il comma 29 dell’art. 1 del ddl prevede che la disciplina in materia di obbligo di rettifica prevista dalla legge sulla stampa del 1948 si applichi ora anche a loro. Agli autori è chiesto di pubblicare ogni richiesta di rettifica ricevuta entro 48 e di pagare una multa che può arrivare fino a 12.500 euro nel caso non lo si facesse. Una condizione che è stata denunciata dal Pd con la campagna «Nessuno tocchi i blog» e che sul web ha creato molto malumore, tanto da spingere il «Comitato per la libertà e il diritto all’informazione e alla conoscenza» – sigla che raccoglie numerosi blogger e movimenti – a organizzare un sit-in di protesta di 24 ore, dalla mezzanotte di ieri a quella di oggi, davanti Montecitorio.
Chi non può essere lì fisicamente non rinuncia a manifestare il proprio dissenso sulla rete. Decine i commenti postati sulla nostra pagina Facebook. «Il problema è che – spiega Mauro Attanasi – si legge il mondo di oggi con occhiali di ieri. E questo, chiaramente, perché fa comodo. Fa comodo imbavagliare voci libere adducendo motivazioni che vanno bene per la stampa e le tv. Ma i blog sono un’altra cosa. Per carità, nessuno dice che non devono essere responsabilizzati, ma una cosa è la responsabilità, un’altra i bavagli. La rettifica entro 48 ore è impensabile per i blogger. Io ne ho uno, ma non mi collego tutti i giorni. E se la rettifica la leggo dopo una settimana che succede, pago decine di migliaia di euro perché magari sono in campagna senza connessione?».
C’è poi chi punta il dito sulla probabilità per gli autori dei «diari on line» di registrare il loro spazio al tribunale, come se fosse una testata giornalistica. «Prima di tutto – dice Anna Paola Sorga – perché se c’è obbligo di rettifica tutti si dovranno registrare a una qualche autorità, anche se non si sa bene quale, come fanno i giornalisti, fornire un domicilio legale e insomma andare incontro a tutti gli adempimenti burocratici propri della stampa».
Il problema percepito dal mondo del web, insomma, non è quello di una maggiore attenzione e precisione nella redazione dei propri blog, ma il passaggio da un eccesso a un altro. Da una situazione di assoluta libertà – che molti di loro giudicano a volte come controproducente – a una in cui i blogger non riusciranno ad aggiornare le proprie pagine perché impegnate con le continue rettifiche. Intanto, ne discutono. Con loro la politica. Tante le pagine nate a questo proposito sul social network statunitense. Da “Disobbedienza civile alla legge bavaglio” (83 mila sostenitori) a “I ragazzi dei Post-it”.
Con loro la politica. «No al bavaglio della rete – ha detto Dario Franceschini – Fermiamo questo scempio». Art.21, invece, ha raccolto oltre 10 mila firme. Alcuni blogger, infine, hanno preferito scrivere una lettera aperta al presidente della camera Gianfranco Fini.
L’Unità 29.07.10