Rimuovere una colossale rimozione: questa la sfida raccolta dai 150 deputati del Pd che due giorni fa, insieme a Bersani e Franceschini, hanno visitato il centro storico dell’Aquila.
Dell’Aquila non si parla più infatti, non si vede più un’immagine, non c’è alcuna traccia di impegno nella manovra finanziaria che sarà approvata proprio oggi alla Camera.
Eppure L’Aquila, quindici mesi dopo il terremoto, è lì, paralizzata, senza vita e senza speranza. Prigioniera di una selva di decine o centinaia di migliaia di ferrotubi “Marcegaglia”, con macerie nascoste (come nel caso del palazzo del governo, in cui sono state semplicemente spostate dalla strada al cortile interno), con serrande e finestre chiuse come erano alle 3,32 di quella terribile notte, i fiori seccati nei vasi sui terrazzi, oltre 10mila attività commerciali e terziarie che animavano il centro storico morte, definitivamente morte, 15mila edifici gravemente danneggiati, 90 ettari della zona rossa off-limits per il pericolo crolli. Perché è bene sapere che L’Aquila era e viveva nel e del centro storico. Il centro storico non era semplicemente un quartiere, era il cuore della città e della provincia e quando il cuore si ferma tutto il corpo muore. E negli occhi dei pochi giovani e vecchi che vivono altrove e continuano a vegliare la loro città si legge la assenza di speranza, si legge la disperazione che «con qualche ragione» come ha detto Bersani, è stata urlata in faccia anche a noi non certo malcapitati, ma intenzionalmente capitati lì, a raccogliere rabbia e suggerimenti.
Il centro storico dell’Aquila è oggi la metafora del berlusconismo di governo, un misto di scenografia televisiva persino gioiosa per il pubblico, sì il pubblico televisivo, e di cinismo e abbandono per gli incolpevoli abitanti, usati quando serviva per gli spot e poi definitivamente lasciati a se stessi. A quindici mesi di distanza non c’è – di fatto – un euro per la ricostruzione: per ottenere lo sblocco di quei primi 700 milioni gli aquilani sono dovuti venire a prendersi le manganellate dalla polizia a Roma. Non c’è un provvedimento tipo la legge 546/77 (quella «per la ricostruzione e la rinascita del Friuli, colpito dal sisma del maggio 1976 o la legge 219/81 per la ricostruzione e sviluppo aree terremotate di Irpinia e Basilicata, e la legge 61/98 recante interventi urgenti in favore delle zone terremotate delle regioni Umbria e Marche colpite dal sisma del settembre 1997»). Non ci sono le immagini televisive, dunque, non c’è più il problema. Il sindaco, l’eroico Massimo Cialente, un valente medico che dopo poco tempo di apprezzatissimo lavoro parlamentare per amore della sua gente e della sua città è tornato a casa per fare il sindaco, oggi è solo. Senza mezzi, senza sostegno, senza interlocuzione e ascolto da parte del governo. Tutti gli aquilani sono soli. Gli studenti universitari sopravvissuti alla tragedia per lo più se ne sono andati a completare gli studi altrove e i giovani rimasti sono soli, senza lavoro, senza prospettive, senza spazi disponibili, relegati sulla strada statale ad annegare come possono la loro sofferenza di futuro.
E l’Italia non sa, non vede, non ne parla. Persino i cimiteri sono lasciati al loro destino, con bare riemerse in quella terribile notte e mai più sistemate: basta andare a Santa Rufina o a S. Demetrio Ne’ Vestini.
Abbiamo incontrato una straordinaria fotoreporter, innamorata di questa gente e di questa città, abituata a scavare dietro le immagini, che continua ad andare a L’Aquila a fotografare e a comparare foto dei luoghi a distanza di tempo, foto che raramente vediamo sulla stampa non più interessata a una terra che non è più nel cuore degli italiani. Ce ne ha mostrare alcune, quelle di Via Tempera ad esempio del luglio 2009 e del luglio 2010: un lato della via un anno fa era stato totalmente puntellato dalla ditta Trasacco, oggi non lo è più. Non riesce a darsi spiegazione, né pace: perché?, perché sono finiti i soldi per il noleggio dei ferrotubi?, perché non è necessario il puntellamento?, allora perché a suo tempo è stato fatto? Dettagli. Certo dettagli che inquietano e aiutano a capire le cose che non vanno. Ci mostra anche la foto di una magnifica chiesa del 1300, S. Erasmo Forconese, a suo tempo mostrata a Putin nella speranza che si potesse mettere una mano al cuore, puntellata nella facciata anteriore e abbandonata in quella posteriore che pure è in evidente pericolo di crollo. Dettagli. Sì, ma dettagli che inquietano e aiutano a capire.
Ma non è solo il centro storico ad essere abbandonato.
Si potrebbe parlare del quartiere, allora residenziale, di Pettino, raso al suolo. Gli aquilani giustamente vogliono sapere. Vogliono sapere se il museo a cielo aperto di ciò che fu una grande città è destinato a rimanere tale per sempre, e a quale futuro debbono prepararsi, o se vi è una qualche possibilità di ricostruzione, ed entro quanti anni e con quali risorse. Vogliono sapere se il loro terremoto è solo “loro”, o se è questione nazionale. Vogliono sapere perché da sei mesi non c’è più un rappresentante del governo che metta piede nella loro terra. E vogliono sapere perché nessuna televisione mostra più agli altri italiani le immagini della loro tragedia.
Il governo Berlusconi, nato sulle immagini dei rifiuti di Napoli, deve essere inchiodato alle sue responsabilità, comprese quelle di una cinica censura delle immagini vere de L’Aquila di oggi.
Toccherà a noi occuparcene appena torneremo al governo. Dovremo allora riparare questa colossale ingiustizia, chiedere alle reti Rai di mostrare per giorni e settimane queste immagini agli italiani, perché conoscano e perché sappiano, e poi un nuovo capo del governo con credibilità e autorevolezza morale adeguate dovrà rivolgersi a tutti gli italiani per invitarli a una mobilitazione e a una solidarietà nazionali, le sole che potranno dare risposta efficace a questa tragedia. Anche attraverso una legge di scopo per la quale il Pd è impegnato sin d’ora.
Europa quotidiano 29.07.10
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Tassa di scopo per ricostruire l’Aquila
“Siamo stati a l’Aquila, abbiamo attraversato un centro storico deserto, distrutto e senza cantieri aperti. Abbiamo incontrato una popolazione piena di dignità, abbiamo anche ascoltato le loro critiche e siamo pronti come Partito democratico ad appoggiare la richiesta di una tassa di scopo nazionale per restituire l’anima a una città che non è tale se non ha luoghi di aggregazione. Sarebbe una vera e propria prova di solidarietà da parte di tutto il Paese e di vero federalismo, non quello sulla carta di cui si vanta la Lega”. Così il vicepresidente vicario dei deputati del PD, Michele Ventura, parlando nell’aula di Montecitorio durante la dichiarazione di voto finale sulla manovra economica fortemente criticata dai democratici perchè ingiusta e priva di elementi di sviluppo. Michele Ventura ha ricordato i grandi dimenticati di una manovra che non fa pagare “nè i ricchi, nè gli evasori ma gli insegnanti, i poliziotti, gli agricoltori, i medici, le famiglie. Avete dimenticato il Mezzogiorno – ha concluso – Speriamo che per il suo rilancio non ci si riproponga il Ponte sullo Stretto”.
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