Dopo il via libera del senato, è arrivata alla camera una legge sulle intercettazioni con soluzioni gravemente inadeguate a garantire un effettivo equilibrio fra il diritto-dovere dello stato di reprimere e accertare i reati, il diritto alla riservatezza e il diritto dei cittadini a essere informati. L’utilizzo di uno strumento fondamentale d’indagine era limitato dall’imposizione di regole tortuose. Rimanevano il divieto di pubblicazione fino all’udienza preliminare e la pesante sanzione penale a carico degli editori. A quel punto avevamo la possibilità di cambiare solo le parti modificate dal senato e la totale chiusura della maggioranza non faceva ben sperare. La nostra battaglia è comunque andata avanti: abbiamo presentato 400 emendamenti su punti essenziali e abbiamo ottenuto l’allentamento del cosiddetto bavaglio all’informazione. È infatti passata la nostra proposta di rendere pubblicabili le intercettazioni ritenute rilevanti dal giudice nell’udienza-filtro, che dovrà essere fissata entro 45 giorni da quando il pm gli trasmette gli atti.
A questo si aggiungono alcuni passi indietro della maggioranza: abolizione della tagliola delle mini proroghe di tre giorni in tre giorni (ora il pm potrà richiedere proroghe per periodi di 15 giorni); non servirà più provare la colpevolezza sui criteri di valutazione dei gravi indizi di reato; sarà possibile intercettare anche soggetti diversi dall’indagato per conversazioni o comunicazioni attinenti ai fatti per i quali si procede; è scomparsa la norma privilegio che introduceva la necessità dell’autorizzazione del parlamento per deputati e senatori.
Altri miglioramenti hanno riguardato l’agevole possibilità di togliere un’inchiesta ad un magistrato “scomodo” presentando contro di lui un esposto, le limitazioni per reati ambientali e traffico illecito di rifiuti.
Rimane in piedi però tutto il problema dei nuovi strumenti di comunicazione, dai social network ai blog, per i quali il provvedimento prevede gravosi limitazioni alla libera espressione.
E, soprattutto, il provvedimento contiene seri ostacoli all’operato dei magistrati e delle forze di polizia. Ecco perché continua a esserci il nostro no. La necessità di un collegio per autorizzare le intercettazioni avrà un impatto organizzativo disastroso sul sistema giustizia. È stato abrogato un articolo della legge Falcone sui requisiti per le intercettazioni del crimine organizzato. Quanto alle intercettazioni ambientali, si richiede in sostanza la flagranza del reato: è stata introdotta la possibilità di svolgerle anche in carenza della flagranza solo se dalle indagini emerge si può arrivare all’acquisizione di elementi fondamentali per l’accertamento del reato. Tale possibilità però vale solo per gli ambienti diversi dalla privata dimora, per la quale resta valida la regola della flagranza. Un grave errore logico e giuridico fa accomunare i tabulati telefonici alle intercettazioni. Viene infine previsto che per le ispezioni, le perquisizioni o per i sequestri, il pm deve provvedere al deposito delle intercettazioni rilevanti nella cancelleria del giudice collegiale, cancellando l’effetto sorpresa. Una serie di importanti nodi irrisolti da non sottovalutare in quanto mirano a fiaccare l’attività investigativa, a circoscriverne il campo di azione, in contrasto con le scelte assunte a livello internazionale.
Da Europa Quotidiano 28.07.10