Anna Maria Tarantino non credeva di vivere nel Medioevo, e neppure in un villaggio afgano. Così, non ha pensato di rischiare la vita quando ha chiesto a Leopoldo Ferrucci di aiutarla, in cambio di un po’ di denaro, a trasportare dei mobili e a caricare dei pacchi dell’Ikea di Roma. Un tragico errore, perché lui l’ha ammazzata a pugni, senza neanche rendersene conto.
Neppure Eleonora Noventa, 16 anni soltanto, pensava di lasciarci la pelle quando ha detto a Fabio Riccato, 30 anni, che non voleva più essere la sua fidanzata. Lui le ha sparato in una strada di Mestre mentre andava in bicicletta, poi si è ucciso. Le loro storie sono state pubblicate su giornali già pieni delle vicende di killer di ex fidanzate, come Gaetano De Carlo che, in un giorno, ne ha uccise due con una pistola fuorilegge, o il giovane carabiniere Luca Sainaghi che, dopo aver ucciso la sua la sua ex, Simona Melchionda, gettandola in un fiume, per un mese ha finto di collaborare alla sua ricerca. A Napoli, negli stessi giorni, Giovanni Esposito accoltellava la moglie Clara, colpevole di averlo lasciato dopo anni di botte e di violenze.
“Femminicidio”, lo chiamano, e chiedono di chiamarlo, gli studiosi di questa ondata di pazzia assassina che pare inarrestabile. “Uomini che odiano le donne” scrive, invece, chi preferisce le citazioni letterarie e quel titolo del libro di Stieg Larsson che, adesso, è diventato un modo di dire. Femminicidio, una parola coniata per le centinaia di donne vittime della guerra tra narcotrafficanti che flagella Ciudad Juárez, in Messico, ma ormai adottata in tutta Europa. E che oggi è attualissima in Italia dove la codificazione del reato di stalking, che, fino alla sua approvazione, nel febbraio del 2009, faceva storcere il naso a più di un giurista, non ha dato i risultati sperati. Non perché le denunce non comincino ad arrivare, adesso con più frequenza: in un anno o poco più, gli arrestati sono stati oltre 1200, all’80 per cento maschi, i casi segnalati oltre settemila. Ma perché il nuovo reato ha – per ora – fallito l’obiettivo di fermare i potenziali assassini prima della tragedia finale.
Nel 2009, infatti, le donne uccise in Italia da ex mariti o fidanzati sono state 119. Una strage, 19 in più delle cento ammazzate soltanto tre anni prima, che pure avevano già creato allarme e contribuito non poco al cammino difficile della legge. La quale considera le minacce e le molestie continuate nel tempo: perché ormai si sa che chi uccide, stupra o picchia una donna che conosceva bene, in precedenza l’aveva già minacciata almeno una volta. Del resto, una donna su tre – tra i 16 e i 70 anni – è stata vittima di qualche forma di violenza. Come tutte le novità, l’applicazione del reato di stalking si è affermata prima al Nord che altrove: 539 denunce in Lombardia, 403 in Piemonte, 359 in Toscana e poi giù giù fino alle 344 della Campania e alle 331 della Sicilia. E, curiosamente, sempre al Nord è avvenuto il numero più alto dei delitti più recenti con donne come vittime: una tipologia di omicidi che non ha legami, secondo gli esperti, con particolari situazioni di degrado o di arretratezza.
Gli uomini che uccidono le donne, infatti, sono distribuiti tra tutte le classi sociali. Norme come quelle italiane sullo stalking sono presenti anche in Austria, Belgio, Olanda, Danimarca, Germania, Regno Unito, mentre in Spagna c’è una legge tutta nuova che prevede il giudizio entro 70 ore per la violenza domestica e un osservatorio statale che deve monitorare il lavoro dei giudici su questa materia. “Occorre mantenere un atteggiamento laico quando si parla di stalking, e soprattutto seguire degli indicatori che possono aiutare chi indaga a capire quali sono i margini di rischio, chi può arrivare a commettere reati più gravi” spiega Livia Locci, sostituto procuratore del gruppo che, a Torino, si occupa di “fasce deboli”: reati contro i bambini, le donne, gli anziani.
Locci cita esempi illuminanti: “Gli studi del Modena Group on stalking ci dicono che spesso chi giunge a uccidere era incensurato e aveva un’occupazione regolare, mentre fattori negativi, come l’uso di droga, possono indurre lo stalker a nuove molestie, ma non necessariamente gravi. La verità è che più si studia il fenomeno e più si capisce che non ci sono ricette sicure e univoche per prevenirlo: occorre che chi indaga, forze dell’ordine e magistrati, sia estremamente preparato e sappia cogliere fin dalla denuncia la storia delle persone e il legame tra autore e vittima del reato”. Anche poter proteggere chi denuncia è fondamentale: a Torino, il progetto Dafne ha già messo a disposizione di 69 vittime di stalking, quasi tutte donne, servizi di aiuto psicologico, luoghi di accoglienza e consulenza.
Ma esiste, nello specifico arcipelago criminale degli “uomini che odiano le donne”, una sorta di “aggravante italiana”? Una più alta percentuale di campanelli d’allarme inascoltati, di ondate di indignazione che finiscono troppo in fretta?
Verrebbe da rispondere di sì. Mentre cresce infatti l’autonomia economica e sociale delle donne – e lo stalking si concentra sulle trenta-quarantenni: quelle forti abbastanza per decidere della loro vita, come fa notare Cristina Karadole, che ha analizzato il fenomeno per la Casa della Donna di Bologna – non cessa la tendenza a lasciar correre, a non denunciare comportamenti che possono rivelarsi pericolosissimi. Quando esplode la rabbia dei parenti ormai è troppo tardi, emergono dettagli dolorosi, particolari agghiaccianti, e alla fine la rassegnazione si accompagna all’oblio.
“Voglio avere giustizia, ma non con le proteste in piazza” ha detto saggiamente Leonardo Melchionda, il padre di Simona, agli amici che, su Facebook, si erano accordati per manifestare davanti alla caserma dei carabinieri di Oleggio, dov’era in servizio il suo assassino. Nel caso invece di Gaetano De Carlo, l’uomo che di fidanzate ne ha uccise due con una pistola che non avrebbe dovuto possedere, è scattata la denuncia contro chi gliel’aveva venduta. Ma intanto, il 22 per cento dei processi per omicidio sulle donne finisce nelle statistiche come “raptus” e porta con sé una parziale o totale incapacità di intendere dell’imputato.
Ora, però, anche nella politica qualcosa si muove, si inizia a guardare al femminicidio come a un’emergenza nazionale. In Piemonte, ad esempio. Anna Rossomando (penalista e deputata pd) ha chiesto la convocazione dei tavoli per la sicurezza guidati dai prefetti: “Su venti milioni di euro stanziati nel 2009 per sostenere il piano contro la violenza alle donne ne sono stati usati soltanto due. Per questo è urgente il confronto tra chi deve prevenire e reprimere i reati e chi deve accogliere le vittime”. Adesso non resta che sperare che anche questa nuova ondata di allarme non cada nel vuoto, e che il femminicidio rimanga in agenda anche per l’autunno.
Il Venerdì di Repubblica 23.07.10
******
“Continuano a farci del male perché abbiamo espugnato un dominio che era assoluto”, di Natalia Aspesi
Ancora una! Per ora, in attesa di altre. Tra le ultime, la sedicenne fatta fuori a colpi di Smith & Wesson 357 Magnum, dall’innamorato trentenne che lei aveva deciso di lasciare. Sui giornali, foto di lei, graziosa adolescente, con cagnolino beato, e tanto per cominciare ad animare un po’ un evento sempre più ripetitivo e quindi dal punto di vista dell’informazione sempre meno interessante, una novità: foto non di tutto il cadavere (chissà, forse alla prossima), ma di una gamba snella dello stesso nuda sino alla coscia, con scarpetta décolleté accanto alla ruota della bici, e a destra, scarpone sdrucito con caviglia umana, presumibilmente dell’assassino-suicida. Segue articolo, non indignato per la tragica orribile fine di un a povera ragazzina, ma romanticamente commosso per la storia di un amore impossibile, stile fiction.
Indubbiamente, se la stampa si spazientisce non ha torto visto che questi ammazzamenti sono ormai usuali e non si può mica ogni volta annoiare i lettori con le stesse filosofie del ramo e il riassunto delle puntate precedenti e le statistiche agghiaccianti e le interviste ai vicini di casa e la certezza che questo ennesimo delitto si poteva evitare ma nulla è stato fatto; e la parola magica che ormai si trova dappertutto, “stalking!”, ha persino il suo sito ministeriale e la sua pubblicità, “Denuncia chi ti perseguita e riprenditi la libertà”. Però non si sa quante lettere minatorie e petardi sotto casa e macchine incendiate e acquisti, appunto, di Smith & Wesson devono accumularsi perché il nuovo reato sia accertato e perseguito. Intanto, dalle prime pagine le fidanzate, amanti, conviventi, mogli diventate ex o ansiose di diventarlo per loro volontà e per questo trucidate, sono passate a quelle interne e se va avanti così basteranno a segnalare il fatto, di usuale cronaca nera, dieci righe su una colonna di spalla con titolino.
Non tutti gli uomini che odiano le donne, o si accontentano di odiarne una sola, spaccano loro la testa o le sgozzano o gli sparano in faccia. Si potrebbe dire che le donne ammazzate dai loro uomini con la scusa che le amano troppo e non le vogliono perdere, non sono che la cosiddetta “punta dell’iceberg”, come si esprimono spesso le cronache: se non dell’odio, almeno della forte antipatia che sempre più le donne, certe donne, suscitano negli uomini. Ancora oggi, dopo decenni di emancipazione, liberazione, femminismo, leggi paritarie, ingresso in tutte le professioni, spesso le donne continuano ad essere ritenute delle intruse: anzi, più diventano autonome e guadagnano posizioni anche sorpassando gli uomini, più costituiscono un affronto: anche se poi, per senso di colpa, aggiungono alla scrivania di amministratore delegato massime virtù domestiche. E meno male che c’è la Chiesa cattolica ad opporre resistenza all’invadenza femminile: simbolo rassicurante di quale sia il posto delle donne, cristianamente venerate purché se ne stiano fuori dai piedi e non pretendano il sacerdozio: perché poi si sa, gli dai un dito e si prendono il braccio, e se si mettono in carriera, quelle son capaci di diventare papesse!
Saranno certamente dei lunatici, dei depressi, dei folli, dei criminali, (ma non così pochi, però) gli uomini che al grido di “Non sarai di nessun altro!”, oggi come al tempo di Francesca da Polenta in Malatesta, fanno fuori la loro amata sposa, se possibile facendo fuori anche chi li ha sostituiti e talvolta se stessi, come accadde nell’agosto 1970 a Roma, quando il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino ammazzò la moglie Anna, il di lei giovane amante Massimo e se stesso. Ma contribuisce alla loro impossibilità di accettare una perdita e una sconfitta, il fatto che a infliggere l’una e l’altra sia una femmina, la quale si arroga un diritto che certamente ha, ma che certamente non dovrebbe avere, quello di fare quel che le pare. Infatti ancora c’è qualche maschio che grida “Sei mia!” e non tanto nei momenti in cui giustamente si straparla insieme, ma dopo, a mente fredda, come se ci si fosse dimenticati che a un certo punto furono le ragazze, stufe di avere uno che si credeva padrone sia pure virtuale, a gridare in piazza “Io sono mia!” (per non parlare di “L’utero è mio e lo gestisco io!”). Stabilendo, e lo si credeva per sempre, che nessuno possiede l’altro, che ci si ami o no. Invece il sempre non esiste, ed eccoci qui di nuovo a sentire certi maschi lasciarsi andare al “Sei mia!” armati di revolver o di ascia.
Bisognerebbe riflettere poi se l’antipatia maschile verso le donne in generale e quelle della loro vita in particolare, non dipenda anche dal fatto che le ragazze giovani, belle, sorridenti, apparentemente disponibili, sono una immensa foresta che opprime dalla televisione, dalla pubblicità, dai giornali (molto meno dalla strada, invasa da giovanissime sederone svestite malissimo). Ma se c’è questa offerta di massa di donne bellissime, zitte e seducenti, che certamente sanno come spalancare le porte del paradiso, magari anche con lo sconto, perché, devono pensare in molti, la mia, pur brava donna, è una panciona spettinata e musona, che non la dà neanche se le porto i pasticcini? Ma le donne, le vere donne, non dovrebbero essere quelle lì che si vedono su Chi in bikini con dei ricchi vecchioni, donne che basta comprarle come un tempo si barattavano con due mucche e una capra, e si sottomettevano all’imperio del maschio, di qualsiasi maschio con gregge disponibile, come pare avvenga tuttora in quella terra beata che è l’Afghanistan?
Il problema è che anche quell’immenso esercito di bellezze, dopo un po’ suscita antipatia: si tratta sempre di donne, per di più di donne che usano la pelle levigata e il seno naturale (quello chirurgico fa televisione, ma non mercato) e tutto il resto, non per passione e sottomissione o se disinvolte, per qualche centinaio di euro, ma in cambio di assessorati, sottosegretariati, direzioni artistiche, presidenze, posti nei consigli di amministrazione, magari anche solo come capocantiere o ingegnere capo, va bene tutto quello che fa carriera e potere. E indipendenza, e autonomia, e possibilità di scelta. Più odiose di così!
Gli uomini che odiano le donne o che si accontentano di trovarle antipatiche, sono ripagati dalle donne che, finita la rincorsa e l’acchiappo e la vertigine, e i doveri familiari, sempre più, senza arrivare ad odiarli, cominciano a trovarli indisponenti se non superflui. Veramente buona parte delle donne l’ha sempre pensato, ma faceva finta di niente: perché senza un uomo non si era nessuno, non si campava, non potevi essere madre.
Perché, se per errore fatale restavi incinta dopo che ti avevano fatto una testa così per farti cadere nel gorgo del peccato, finiva che lui non ne sapeva niente, che i genitori ti cacciavano di casa ed eri disonorata per sempre, oltretutto mettendo al mondo un cosiddetto, con eleganza, bastardo. Adesso, superate le fiamme della passione che rendono il più noioso degli uomini un irresistibile rubacuori, di cui ogni difetto è una splendida virtù, campare senza si può. Meglio, si potrebbe, perché poi l’agognata solitudine appare troppo audace, ci vorrebbero due palle così, e allora si resta lì, in due per conto proprio pur facendo tutto insieme. Purché non ci si bastoni e oltre, va tutto bene.
Il Venerdì di Repubblica 23.07.10
1 Commento